The date

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P.O.V. Mark

L'ombra che le sbarre proiettavano sul pavimento andava allungandosi man mano che il sole tramontava in mezzo alle onde: l'Oceano, per quanto potevo vedere dalla stretta finestra della mia cella, era molto agitato quel giorno.
La prigione era rumorosa: potevo sentire le urla dei pazzi, gli insulti degli altri detenuti, gli ordini delle guardie e il tintinnio acuto delle sbarre quando i secondini sbattevano i loro manganelli su di esse... Ma in realtà non mi curavo nulla di tutto ciò. Ero seduto sulla mia branda da non so quante ore, ero talmente assorto nelle mie riflessioni che non avevo fatto caso né al tempo che passava né all'ambiente spoglio che mi circondava.

Pensavo a Barbara.

***

La prima volta che l'avevo vista era una ragazzina che saltellava per la fabbrica incurante dei richiami di suo padre e della domestica che l'accompagnava. Io ero entrato a lavorare lì da pochi mesi e non avevo ancora colpito positivamente Thomas Calloway, né mi ero avvicinato ai miei compagni socialisti: tutto ciò che mi interessava era mantenere un basso profilo. Cosa che sarebbe risultata impossibile se la figlia del capo, tra tutti gli operai, avesse perseverato nello squadrare da cima a fondo proprio me.

«Tu sei nuovo!» esclamò, piazzandosi davanti alla mia postazione con le mani sui fianchi e senza mostrare nessun imbarazzo.

Le lanciai una breve occhiata timorosa, stimando che dovesse avere l'età di Elizabeth o anche di meno: questa era l'unica cosa che quella ragazzina intraprendente avesse in comune con mia sorella.
«Sì.» risposi comunque, temendo di risultare scortese e che lei si risentisse. Pensai che così se ne sarebbe andata, ma la ragazza non accennava a muoversi:
«Non dovrebbe rimanere qui, signorina, è pericoloso!» borbottai, puntando nuovamente il mio sguardo sulla fucina in funzione.

Barbara alzò le spalle con aria noncurante:
«Curioso, usi le stesse parole di mio padre!»

«Barbara Calloway!» tuonò la voce del padrone dal piano superiore. «Vieni qui immediatamente!»

Mentre la ragazzina si girava verso le scale con aria incerta, la fucina ribollì e con orrore vidi che stava per produrre una fiammata che l'avrebbe investita in pieno. Non mi fermai a riflettere: afferrai Barbara per la vita e la tirai indietro, al sicuro tra le mie braccia. Le feci scudo con il mio corpo fino a quando la fiammata non si estinse ed entrambi riaprimmo gli occhi, affannati e spaventati ma illesi. Mi incantai a osservare quelle iridi calde e liquide di lacrime, mentre lei iniziava a torturare il labbro inferiore con i denti: fu in quel momento che capii che avrei amato quella fanciulla contro ogni logica e contro ogni regola.
Non amavo definirmi un idealista o un sognatore, ma ero fatto così: le promisi fedeltà eterna nell'istante stesso in cui, con un respiro profondo, Barbara Calloway mi sorrise e mi sussurrò un grazie riconoscente.

«Barbara!» gridò Thomas Calloway all'improvviso, strattonando indietro la figlia ed osservandola con attenzione e preoccupazione. Poi si voltò verso di me:
«Lei ha salvato la vita di mia figlia, giovanotto. Qual è il suo nome?»

«Mark Smith, signore.»

«Bene, Smith, lei merita una ricompensa. Cosa desidera?»

Lo fissai con gli occhi sgranati, lottando per non lasciarmi sfuggire ciò che bramavo più di ogni altra cosa: tornare a Rosenville e riabbracciare la mia famiglia. Ero solo un umile operaio, che per di più aveva fornito generalità false al momento dell'assunzione.
«Io voglio...» balbettai, mentre venivo analizzato da due paia di occhi intelligenti e incuriositi.
«Io voglio che lei sostituisca questa fornace, signore. Non è la prima volta che esplode in questo modo.»

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