Capitolo 28: Quel tipo.

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Apro gli occhi lentamente e sono ancora nella sala d'attesa del Washington Hospital. Mi guardo nervosamente in giro tra infermieri che mi ignorano e l'odore di caffè che emette la macchinetta accanto a me.

Molte sono le persone in attesa, proprio come lo sono io e, mentre loro stanno lì a smorzare l'impazienza con una tazzina di caffè; io rimango a tremare sulla sedia. Ma un pensiero prevale su tutti:

Perché sono qui?

Finalmente un infermiera viene a richiamarmi e, dalla sua espressione, posso capire che c'è qualcosa che non va.

«Mi dispiace, signorina Scott. Non c'è l'ha fatta.» Pronuncia, con miserabile empatia nei miei confronti.
«Chi?» Mi viene da domandare.

Mi alzo di scatto e lei si volta, come per farmi strada verso una direzione ignota.
Sento un vuoto allo stomaco ed alla bocca di esso. L'aria mi si blocca ad intermittenza e, tra i rumori delle scarpe che cigolano nel pavimento lucido dell'ospedale, sento anche il battito del mio cuore.

Lei apre una porta e, con un volto triste, mi lascia entrare. Mi avvicino al lettino ed il cuore mi salta alla gola.

Fermo sul letto, non respira, con il volto bianco.
Mi avvicino avvertendo una stretta al cuore ed un pizzicore agli occhi man mano che mi avvicino.
Mi rendo conto che la vista non mi manca e che quello sul lettino è proprio Max.

Non lo sento respirare, non lo vedo muoversi e se penso che la signorina mi ha detto:
«Non c'è l'ha fatta.»
Mi rendo conto che davanti a me, ho il corpo senza vita di Max.

Gli tocco le mani incredula, confusa, allibita e straziata dal dolore. Ha le mani così fredde.
Le mie lacrime scorrono a fiumi e mai avrei voluto andasse via da me senza sapere che lo amo più della mia stessa vita.

Lo guardo da capo a piedi facendomi sempre le stesse domande:
«Perché? Com'è successo?»
Tra me e me.
Lacrima dopo lacrima.

Poi, improvvisamente, sento una voce provenire dai miei del letto di Max.

«Ho perso..»

Mi giro di scatto e Max si trova sia in piedi davanti a me che steso sul lettino. Indietreggio spaventata.
Ha lo sguardo assente e non stacca gli occhi dal corpo esanime di se stesso.

«Ho perso Thomas..» Ripete.

Si gira di scatto verso di me con gli occhi pieni di lacrime.

«.. e te.»

Balzo a sedere sul letto, cercando di riprendere fiato.
«Vanessa, tesoro! Svegliati! Sta arrivando tuo padre.» Urla mia madre dal salotto mentre posso sentire il rumore di pentole che sbattono e posate che si mischiano tra di loro.

Strofino gli occhi ancora presa dal sonno. Anzi, dal tragico incubo.

Sento la pioggia tamburellare contro le vetrate delle finestre. Sta diluviando. Promette un bel Natale.

La stanza pare soffocarmi tra il rumore della pioggia, il buio pesto e la frenesia della mia famiglia che si cela oltre la porta della mia stanza.

Il cervello mi martella in testa. Mi ributto sul letto e la visione di prima svanisce lentamente. Sono al sicuro, nella mia camera, nella casa di Hardin e Tessa, nel morbido letto che mio fratello ha acquistato appositamente per me.

Pian piano prendo coscienza di essere felice di non trovarmi in ospedale. Ancora di più che Max non sia morto, spero.

Ma che sogno strano. La mia coscienza naviga nel senso di colpa di ieri sera; o almeno da quando Aaron mi ha confessato che Max adesso si rifugia in quelle droghe pesanti.

Max Level. || Arón PiperDove le storie prendono vita. Scoprilo ora