Sono sdraiata.
Di nuovo.
Lui si siede sulla poltrona accanto a me, accavalla le gambe ed apre il suo quaderno rigido.
Sfoglia le pagine in ricerca.
Io intreccio le mie mani, facendo attenzione alle ferite; oggi sono più nervosa del solito.
L'enorme porta finestra che affaccia sulla campagna aperta, in un edificio non molto distante dal centro di Londra. Mia madre aspetta nella stanza accanto e se solo penso che dopo mi farà un sacco di domande, svengo all'idea.Facciamo questa vita da mesi, precisamente quattro. Ogni martedì vengo qui, nello studio del Signor Ryder, il mio psicologo, per parlare dei miei problemi.
Incapacità nella gestione della rabbia.
Così l'hanno chiamata.Ricordo che mia madre pianse davanti a me e davanti ai medici, come una bambina a cui avevano tolto qualcosa. Questa reazione peggiorò la situazione creando in me quanta più rabbia potessi accumulare. Non che io ne andassi fiera perché la realtà è che io non dovrei essere qui.
Ho solo diciassette anni.
Non dovrei proprio trovarmi in questa situazione.
Dovrei essere con lui, magari. Mentre lui, oggi, invece faceva l'idiota con le ragazze pure più piccole di me. Se solo penso a quella puttana di Cassidy Parker che faceva l'oca col mio uomo, giuro che..«Allora, Signorina Scott, come va oggi?» Enuncia, interrompendo i miei pensieri.
Quest'uomo stila una lista di domande, dalla più inutile alla più stupida, sfidando giorno dopo giorno la mia pazienza, vedendo fin dove riesce ad arrivare.
Però, ogni volta, a questa domanda rispondo sempre allo stesso modo:
«Non lo so.»E subito segue il rumore della penna che scrive su quel dannato quaderno. Ogni mia risposta o reazione è registrata su quel quaderno, peggio di una videocamera.
C'è qualche breve momento di silenzio che segue.Lui, il Signor Ryder, usa questi brevi momenti per "alleggerire l'asticella del nervoso", così la vede lui: un'asticella non troppo complicata da riempire di rabbia, ma molto difficile da svuotare.
Così cerca di mantenermi calma, anche se le sue domande sfidano la mia pazienza, come la seconda domanda che viene:
«Hai sentito Hardin in questi giorni?»Mio fratello è partito da qualche mese e, nonostante sia difficile per entrambi sentirci costantemente, un modo lo troviamo sempre. Per me questo è comunque un argomento intoccabile, quindi mi limiterò ad annuire per rispondere.
La penna scrive e silenzio.
Ogni tanto mi capita di pensare, in quei momenti di silenzio, se ho risposto adeguatamente. Perchè ho capito in questi mesi di sedute, che non è solo la bocca a dar voce a ciò che vogliamo dire, ma anche il corpo.
«E come sta?» Domanda.
Non ho capito, siamo qui per parlare di me o di come va la vita ad Hardin?
Cerco di controllare l'irrefrenabile impulso di rispondere male e, con gli occhi chiusi rispondo:
«Sta bene.» Anche se in realtà non ne sono proprio sicura.
«Vanessa, respira.» Enuncia il dottore.Vanessa, respira. Che frase del cazzo.
Eppure la sento almeno sei volte al giorno, se sono di buon umore. Non è difficile percepire la mia rabbia: è come se avessi una granata nel cervello pronta ad esplodere.
Tutto uno stress accumulato che mi sta facendo impazzire.
Non mi riconosco neanche più.
Mi rivesto di un atteggiamento che non sapevo di avere ma che, in qualche modo, mi protegge.«Te lo chiederò senza giri di parole..»
La voce del Signor Ryder si sente di rado tra i miei pensieri, io ho il cervello altrove.Penso ad Hardin, con la paura di perderlo.
Penso a mio padre, che non mi cerca se non con qualche messaggio dove dice di volermi bene.
Penso a mia madre, che s'illude che così facendo, frequentando queste sedute, io possa risolvere la situazione.
STAI LEGGENDO
Max Level. || Arón Piper
Fanfiction"Ricordo che la prima volta che t'incontrai, eri seduto sul divano, non distante da me. Tenevi la sigaretta tra le labbra e guardavi il tuo amico parlare con quell'espressione di chi aveva i pensieri altrove ma non voleva farlo capire. Ti guardavo;...