lo sapevo

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LUI

Non mi preoccupava giustificare la mia presenza. Non mi preoccupava invadere i suoi spazi in modo preponderante. Non mi preoccupava il giudizio dei presenti. Era tempo di riprendermi ciò che mi apparteneva. Non c'era più spazio per gli errori.

M'incamminai assorto. Preparavo un discorso di cui, io stesso, non ero convinto. Ideavo un piano in cui, io stesso, non credevo.

Improvvisazione. Quella era la via da percorrere.

Seguii il vociare dei bambini. Studiai l'ambiente.

Compresi quale fosse la giusta postazione. Mi accomodai. Scelsi quel tavolo con astuzia.

Un numero indefinito di bambini occupava un enorme tavolo. All'estremo di esso c'erano tre sedie vuote.

Vidi Lei. Era di spalle. Cercava di mediare la pace tra due bambini.

Sembrava sortire un forte controllo su di loro.

La osservai. Quel nuovo ruolo le si addiceva.

Posizionai la mia sedia nella sua direzione. Per poterla osservare.

Dall'altra parte del tavolo notai l'individuo. Era immobile, osservava Sanem. Un sorriso irritante dominava il suo volto.

La sua presenza però non mi turbava.

Vedevo lei sin troppo assorta. Dialogava con i suoi piccoli alunni. Intratteneva discorsi con quelli più attenti. Redarguiva i più vivaci. Ma la cosa di cui ero certo era che non degnava quell'individuo di uno sguardo.

Ero lieto che avesse ragionato sul mio avvertimento. Sembrava distaccata. Al punto di rendermene orgoglioso.

Poco prima di accomodarsi si guardò intorno. Istintivamente frapposi fra me e il suo raggio visivo quel vecchio menù malandato, che fino a pochi secondi prima non avevo neanche notato.

Sorrisi. Quelle azioni di spionaggio stavano diventando il mio punto forte.

Tornò a darmi le spalle. Si accomodò.

Nonostante quel professore -del quale volutamente continuavo a rimuovere il nome- non avesse mai smesso di tenerla d'occhio, lei sembrò distratta. Non lo notò.

Sicuro di aver scansato il pericolo, riposi il menù sul tavolo. Sospirai.

Reclinai la schiena contro lo scomodo schienale della sedia e cercai di mettermi comodo.

Nei pochi secondi in cui riuscii a beneficiare dei suoi occhi, del suo sguardo, notai un velo di malinconia.

Forse mi stavo solo illudendo, ma ero certo che quella condizione precaria fra noi non era ciò che volevamo entrambi davvero.

Avrei investito me stesso e tutto il mio tempo per confermarlo. Era proprio quello il punto. Avrei dedicato la mia vita a lei.

Il fastidioso professore si accomodò simultaneamente al suo fianco.

Raddrizzai la schiena.

LEI

Mi accomodai.

Visitammo gran parte della città. Perlopiù musei.

Avevo indossato un abbigliamento poco consono, ma utile al mio scopo.

I tacchi non avevano giocato a mio favore. Ovviamente.

Nonostante il vociare dei miei alunni, non avvertivo null'altro che silenzio.

Solo un tuono -che preannunciò un temporale- riuscii a catturare la mia attenzione.

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