È solo più tardi che si scopre che un bacio
è stato una breve escursione,
l'inizio di un lungo viaggio,
o un soffio che si sposta, forse per sempre,
in una nuova dimora.* * *
Cap. II
Coronet era una metropoli caotica e movimentata. A Ben non erano mai piaciuti i luoghi affollati ma erano l'ideale per non dare nell'occhio. Attirare l'attenzione su di sé era l'ultima cosa che voleva.
Era atterrato su Corellia da qualche giorno, giusto in tempo per eseguire gli ultimi ritocchi al suo vecchio Tie imperiale, che aveva affettuosamente ribattezzato Phoenix perché, un po' come lui, era risorto dalle sue stesse ceneri.
C'erano degli adattamenti che doveva effettuare solo all'ultimo momento, come ad esempio impostare i parametri del sistema di navigazione, in modo che potessero adeguarsi perfettamente all'atmosfera del pianeta. Era una delle tante dritte, sui caccia stellari, che aveva imparato osservando suo padre.
Aveva atteso quel momento da un anno, ed ora avvertiva l'adrenalina scorrergli nelle vene. Era impaziente ed eccitato, e questo lo faceva sentire dannatamente vivo. Libero.
Bevve un altro generoso sorso di birra corelliana, poi la posò con decisione sul bancone dell'affollatoStarkiller Bar e si fermò a riflettere, in piedi, con la mano ancora sopra la bottiglia.
Si guardò attorno. Sondò l'aria per assicurarsi che non ci fossero in arrivo brutte sorprese.
Il locale era, come di consueto, pieno di avventori di ogni razza e costume. C'era un tavolo particolarmente rumoroso in cui bivaccavano tre piloti pamarthiani, ma niente di particolarmente insolito.
L'ultima volta che ci era stato aveva visto lei e questo lo aveva scombussolato non poco. Gli era apparsa davanti a tradimento e non aveva potuto opporsi al suo richiamo. Aveva sperato che non sarebbe riuscita a contattarlo e a riaprire una breccia nel legame, invece Rey aveva stravolto tutti i suoi piani. Come aveva sempre fatto, del resto, anche quando combattevano su fronti opposti.
Rivederla lo aveva reso felice, non poteva negarlo, ma gli aveva fatto anche molto male. Quando si trattava di Rey, i suoi sentimenti erano fortemente contrastanti.
L'amava? Certamente. Ma a modo suo e in quel momento non la voleva tra i piedi. Quello che lo attendeva era un confronto con se stesso, più che con dei degni avversari e lui non voleva distrazioni, né supporti di ogni genere. Era la suasfida, e voleva affrontarla da solo.
Quel loro incontro nella Forza lo aveva destabilizzato, ed era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
Paradossalmente, non credeva che Rey avesse sofferto la sua mancanza. L'aveva baciato, e questo era vero, come l'effetto dell'alcool nella birra corelliana che in quel momento gli bruciava le vene, e ne era rimasto sorpreso. Ma credeva che lo avesse fatto solo in segno di riconoscenza, per averle salvato la vita. Lei aveva i suoi amici, la sua nuova famiglia, aveva sulle spalle l'enorme responsabilità di ricostruire l'Ordine Jedi. In tutto quello la sua presenza non era contemplata.
Quando si era risvegliato, in mezzo alla giungla di Batuu e non l'aveva trovata al suo fianco, era rimasto confuso, disorientato; era sceso dal Tie e si era addentrato nella direzione in cui aveva sentito provenire un gran vociare. Si era mantenuto in disparte e aveva osservato in silenzio i ribelli gioire per la vittoria su Sidious, poi l'aveva vista abbracciare il traditore FN-2187 e Poe Dameron, e si era sentito morire.
Era giusto che Rey fosse tornata da loro, erano stati la sua famiglia per più di un anno, ma non poteva permetterle di coinvolgerlo. Lui non aveva niente a che fare con quella gente e non avrebbe mai voluto averne. Non lo avrebbero mai accettato e non avrebbero mai capito le sue intenzioni.
Quello che Rey desiderava era impossibile, per questo se n'era andato, era fuggito via senza nemmeno una spiegazione o un addio. Non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarla se l'avesse avuta davanti ancora una volta.
Doveva arrivare a perdere la sua vita per poterla ritrovare. Avrebbe voluto risvegliarsi e non ricordare più nulla del suo passato, invece era un fardello che doveva continuare a portare. Non voleva che Rey lo aiutasse a sorreggere il peso delle sue colpe. Aveva intenzione di rimediare, per quanto gli fosse stato possibile, ma era un suo problema. Era giusto che si costruisse una nuova esistenza lontano da lui.
Proprio in quell'istante il gong avvisò i piloti che mancavano solo dieci minuti all'inizio della competizione e buona parte degli avventori delloStarkiller si avviarono chiacchierando verso l'uscita del locale.
«Ehi, Solo!» Si sentì chiamare in tono insolente e pretenzioso. La voce proveniva dal tavolo particolarmente rumoroso. Sbuffò e alzò gli occhi al soffitto senza girarsi, quello sbruffone di Valeek non voleva proprio saperne di mollare.
«Ti farò mangiare la fottuta polvere di Corellia» lo aggredì con arroganza, «pensi davvero di poter gareggiare con quel vecchio rottame?»
Dovette ricorrere a tutta la sua buona volontà per evitare di reagire. In altri tempi sarebbe stato felice di raccogliere la provocazione di quel ragazzone alto, biondo e grassoccio e farlo a pezzi. Gli sarebbe bastato alzare una mano per soffocarlo, scaraventarlo contro una parete e levarlo di mezzo.
Prese un lungo respiro e si impose di calmarsi. Non doveva manifestare i suoi poteri o sarebbe stata la fine. Aveva lavorato sodo per arrivare fino a quel punto, non avrebbe mandato tutto all'aria per un deficiente pamarthiano con insane manie di grandezza.
Gli avrebbe dimostrato a breve, con i fatti, di che pasta erano fatti i Solo.
Si girò, poggiando i gomiti sul bancone, riservandogli un'occhiata divertita e un sorrisino sghembo.
«Kothan si!» Urlò Valeek sollevando la sua tazza di Porto in segno di sfida.
«Kothan si!» Risposero in coro due mezze cartucce, che dovevano essere i suoi scalcinati compagni di squadra.
Se ricordava bene qualcosa del linguaggio di Pamarthe quelle parole si traducevano in che tu possa morire alla massima velocità.
Bene. Non cercava niente di meglio.
Scrollò le spalle e si diresse verso l'uscita. Valeek posò la tazza vuota e lo raggiunse in fretta, gli diede una spallata per scansarlo e si infilò nell'uscita prima di lui, seguito dai suoi due compagni sghignazzanti.
Recuperò l'equilibrio scuotendo la testa. Il desiderio di fare a pezzi quel demente lo stava divorando, ma non poteva. Non aveva alcuna intenzione di usare i suoi poteri per vincere la gara o, peggio, fare fuori qualche concorrente. Han Solo era stato il migliore pilota della galassia senza sapere nulla della Forza. Voleva dimostrare a se stesso che poteva vincere con le sue sole capacità.
Il Gauntlet era una gara misteriosa e particolarmente pericolosa che, in passato, era stata patrocinata proprio da suo padre. Era una specie di carnaio. Tra i migliori partecipanti che riuscivano a sopravvivere e che dimostravano di avere coraggio e una sufficiente dose di spericolatezza, venivano scelti i piloti che avrebbero formato le squadre per le Five Sabers, ed era quello il suo vero obiettivo, il suo sogno. Lo era fin da quando era un ragazzino e seguiva Han nei suoi viaggi in cui reclutava piloti da ogni parte della Galassia.
A quei tempi era troppo piccolo per gareggiare, ma contava di poterlo fare, un giorno, e rendere suo padre orgoglioso di lui. Era qualcosa che gli doveva, per onorare la sua memoria, e sapeva che ne sarebbe stato felice.
Il Gauntlet era anche una gara subdola. Le regole cambiavano ogni anno e non si avevano indizi sul percorso da seguire se non all'inizio della competizione. Durante il periodo della dominazione del Primo Ordine era stata sospesa per ovvi motivi, e quella era la prima volta che veniva organizzata dopo la vittoria della Ribellione sull'esercito di Palpatine.
Ben si diresse a passo svelto verso l'hangar, da dove sarebbero partite le navi, che non era molto distante dallo Starkiller Bar. Gli altri piloti erano tutti intenti a controllare i loro caccia fino all'ultima molecola, alcuni già si erano infilati il casco e si apprestavano a salire sulle rispettive navi. Avvistò il suo Tie Phoenix nero e una scarica di adrenalina gli provocò una leggera scossa.
Amava pilotare, lo faceva sentire bene. Amava spingersi oltre le sue capacità, sfidare la gravità, scoprire fin dove poteva arrivare, rischiando la pelle senza rimpianti.
Aveva assaporato l'impotenza e l'immobilità della morte, ora voleva saggiare la vita, goderla e respirarla fino in fondo.
Il Phoenix era lo stesso Tie con cui era atterrato su Exegol. Lo aveva trovato tra le rovine della seconda Morte Nera. Era l'unico, tra i tanti rottami, ad essere rimasto miracolosamente intatto. Col tempo lo aveva modificato, migliorato, aveva cambiato le ali rendendolo molto più simile al velocissimo Tie Interceptor. Aveva passato mesi a cercare pezzi, barattare apparecchiature, a sporcarsi le mani di carburante e olio per motore, e gli era piaciuto tantissimo.
Non aveva bisogno di ricontrollare ogni cosa, sapeva che era tutto a posto ma, poco prima di salire sul caccia, qualcosa lo spinse a fermarsi. Avvertì una sottile vibrazione nella Forza che gli provocò una leggera vertigine e gli fece acuire i sensi. Durò solo un istante, ma fu abbastanza potente per metterlo in allarme.
Si guardò intorno con circospezione, ma non vide nulla che potesse in qualche modo costituire una minaccia per lui, a parte la risatina malvagia che Valeek e suoi due smidollati compagni di squadra gli riservarono, e l'occhiolino divertito di Dana Torres.
Ricambiò la risata tirata ai primi e ignorò completamente la seconda. Forse non era stata una buona idea andarci a letto, lo aveva fatto solo per levarsi uno sfizio, ma lei l'aveva presa un po' troppo sul serio.
Scacciò ogni tipo di pensiero deleterio e salì a bordo infilandosi il casco, aveva ancora pochi secondi prima che la sfida cominciasse ed era essenziale capire come si sarebbe svolta. Le navi in gara erano una cinquantina, disposte in semicerchio con i musi rivolti verso la minuscola uscita dell'hangar.
Dopo l'ultimo gong di avvertimento una voce artificiale gli parlò nel casco.
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Qualcosa finisce. Qualcosa inizia
FanfictionRey aveva ancora molto da metabolizzare di quello che era successo, e isolarsi da tutto le era sembrata l'unica alternativa per accettare l'inevitabile e per trovare un motivo per andare avanti, senza di lui. Ormai era una lotta continua con se stes...