3. Libertà

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Tra una strategia e l'altra, papà mi racconta come sono riusciti a portare a casa la vittoria. E io ascolto; ascolto come se fosse la storia più interessante del mondo, come se da quelle parole dipendessero la vita o la morte di qualcuno. In realtà è così, perché ho davvero tanto rispetto e ammirazione nei suoi confronti.

Ma non sempre andiamo così d'accordo e, nel tardo pomeriggio, ne ho l'ennesima prova: mi sono da poco svegliata da una breve dormita di un'ora e mezza; sono sul divano a controllare i messaggi che i miei amici mi hanno mandato mentre io ero nel mondo dei sogni e, ad un certo punto, mio padre, spuntato da chissà dove, si ferma davanti a me e mi prende il telefono dalle mani «Chiara, ma perché sembri non riuscire a vivere senza quell'aggeggio?» Mi domanda, appoggiandolo dietro di sé.

Io lo guardo incredula, e ancora parzialmente addormentata, cerco di dargli una spiegazione «Mi sono appena svegliata, sta mattina ho lavorato e suppongo io mi sia meritata un po' di riposo. E poi lo sai, mi dici queste cose come se fossi una bambina, ma ho 22 anni e sono ind-»

«Hai 22 anni, ma certe volte ti comporti ancora come una bambina. So benissimo che hai i tuoi spazi, però è estate, esci, divertiti, fai qualcosa, ma non stare davanti a quel cellulare. Credimi, se potessi io lo spegnerei per sempre.» Mi dice lui, lasciando svanire il suo fare autoritario in un sorriso.

Questa mi è nuova, ora non posso neanche stare in contatto dieci minuti con i miei amici? Davvero, non ho parole, e il brutto è anche che mia madre ora non c'è. Lavora allo studio quando non ci siamo io e Sofia, ma penso che anche se fosse stata presente, non avrebbe potuto smuovere mio padre.

Vabbè, farò quello che mi dice e lascerò stare il cellulare per un po', tanto non è quello il problema, però sinceramente quando non c'è Jacopo, mi sento un po' persa. E non so perché, però sono talmente abituata ad averlo attorno, che quando per qualche motivo se ne va, sento subito la sua mancanza.

Mi alzo dal divano e sbadiglio. Penso che andrò fuori a fare quattro passi con Maeve, il nostro Border Collie. Io e mio fratello l'abbiamo chiamata così in onore della protagonista di una serie. Ci piaceva il personaggio che interpretava e, anche se abbiamo fatto un po' fatica a convincere i nostri genitori, alla fine l'abbiamo avuta vinta.

«Questa sera c'è una festa in Villa Grande. Dovresti venire, almeno avresti qualcosa da fare.» Mi propone mio padre, intento a sorvegliare ancora il mio telefono.

Mi viene da sorridere e dico un deciso no. «Ci saranno tutti i tuoi colleghi — che tra l'altro io conosco a malapena — perciò scusami, ma sarà alquanto imbarazzante. E poi verso mezzanotte-»

«Verso mezzanotte cosa? Tu verrai e basta, Chiara, che tu lo voglia o no. Conoscerai nuova gente, ti farà bene stare un po' lontana da quel coso.» Dice, prima di indicare il mio telefono dietro di sé.

Ho una sola obiezione da fare, e spero che non verrà respinta. «Lasciami almeno portare la macchina fotografica.» Dico, con gli occhi supplicanti.

«Va bene, quella la potrai portare. Vedrai che ti divertirai, Chiara. Lo faccio per il tuo bene, lo sai che mi interesserò sempre di te, finché vivrai qui con noi.»

«Lo so papà.» Dico io, prima di prendere il guinzaglio e andare a chiamare Maeve.

«Ci vediamo dopo.» Gli lascio detto poco prima di uscire. Io e la mia macchina fotografica siamo davvero inseparabili; non potrei vivere senza di lei. E il fatto che sta sera la possa portare con me, mi dà sicurezza.

Se la festa dovesse essere noiosa, almeno avrei un diversivo. In fin dei conti, prevedo già che andrà a finire così, che mi annoierò a morte, mentre mio padre parlerà per tutta la serata con i suoi colleghi. Come se non li vedesse mai.

Momentum || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora