IV

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Una voce mi riportò alla realtà: «Ei ragazzo! Non puoi stare qui!»

Mi girai. Un uomo sulla cinquantina con una grande pancia tonda chiusa in una divisa un po' antiquata era seduto su un tagliaerba verde. Quando mi focalizzò (i lividi, i tagli, il sangue sui vestiti) mi chiese se stavo bene e se avevo bisogno d'aiuto.

«No, grazie» risposi e poi aggiunsi: «Sa dirmi che giorno è oggi?»

«Il 10 Aprile.»

Perfetto, pensai. Avevamo sbagliato "solo" di qualche mese. Grandioso! Avrei voluto spaccare qualcosa. Andai via, zoppicante e acciaccato com'ero.

Mi ritrovai sulla 5th Avenue. Il mio stomaco fece due capriole quando dando un'occhiata in giro vidi che il palazzo all'incrocio sulla 64esima dove ero passato innumerevoli volte era in costruzione, che le poche persone che circolavano erano vestite come in un film di Zemeckis degli anni '90 e che una ragazza alla fermata del pullman aspettava con le cuffiette collegate ad un walkman. Mi sentii svenire: stanco, pieno di dolori, adesso accaldato dal sole, decisi di sedermi sulla prima panchina che trovai (ancora oggi, quando passo davanti quella panchina, che è rimasta lì per tutti gli anni che seguirono, il ricordo di quel giorno mi travolge).

Mi accorsi solo dopo un po' che una copia del New York Times era stata abbandonata proprio lì affianco. La data diceva: 8 aprile 1996.

La lessi tre volte. Il giornale era di due giorni prima e io... ero 23 anni nel passato.

Partì da lì una profonda riflessione che da una parte mi portava all'altra e perfino mettere a posto i pensieri fu difficile. Per prima cosa pensai che avevo 8 anni in quel momento, ovvero il me che si trovava al posto giusto in quella linea temporale, ed era dall'altra parte dell'America, in California. Ma soprattutto pensai che quel bambino aveva ancora una mamma, delle sorelle e un branco, e così sarebbe stato per altri 8 anni circa.

Avrei potuto prendere un aereo, raggiungerli, uccidere mio zio oppure avvertire mia madre. Ma mi avrebbe creduto? Mi avrebbe riconosciuto? Certo che lo avrebbe fatto. Fino a poche ore prima avrei fatto qualunque cosa per poterla riabbracciare soltanto una volta, per sentire di nuovo la sua voce, il suo profumo. E adesso... era a qualche migliaio di chilometri da me.

Seconda cosa: Stiles, Cam e Walgreen. Cos'era successo nel momento in cui ero sparito? Quando sarei tornato indietro? Sarei tornato indietro? Cosa dovevo fare adesso?

Stiles, con le sue passioni da nerd, avrebbe saputo esattamente cosa fare. Si perdeva il conto dei film e le serie tv che aveva visto sui viaggi nel tempo per non parlare dei libri che aveva letto.

«Regole base.» Avrebbe detto. «Non parlare e non farti vedere dal te del passato, morirete entrambi all'istante. Non cambiare gli eventi, questa è difficile, lo so. Non portare oggetti del futuro nel passato e soprattutto non lasciarli lì.»

Mi mancava tantissimo.

Capii che c'era soltanto una persona che poteva aiutarmi anche se l'avrei conosciuta soltanto più di vent'anni più tardi: Walgreen.

In Leadwell Street la clinica veterinaria non era ancora aperta e al suo posto c'era un negozio di dischi. Eppure la piccola porta accanto era la stessa anche se l'insegna non c'era più, o meglio, non c'era ancora.

Bussai. Dopo qualche secondo di attesa venne ad aprire un bambino, dalla carnagione scura come quella di Walgreen, di circa 10 anni.

«Chi sei?» mi chiese con aria incuriosita.

«C'è Walgreen? Sono un suo amico.» Lui si fece da parte per lasciarmi passare.

«Certo! Accomodati» disse entusiasto. Il posto non era molto diverso: stesse cianfrusaglie, solo in minore quantità. Il bambino mi superò per farmi strada e parlò ad alta voce: «Wal! C'è un tuo amico! Vieni!» poi mi indicò un divano di pelle di coccodrillo e si sedette su un pouf grigio lì vicino.

What Was Left BehindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora