II

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Stiles venne da me ad ora di pranzo carico del cibo da asporto del nostro ristorante preferito.

Decidemmo che per quella giornata non avremmo parlato di Ghul, Dirkey, strategie, combattimenti, possibile morte.

Guardammo la tv con disinteresse (perché ciò che ci interessava davvero era l'altro). Lesse un libro poggiato sulle mie gambe. Ci dimenticammo di cenare.

Sapevamo che quella era con tutta probabilità l'ultima notte prima dello scontro e la vivemmo con la calma piatta e instabile della tempesta che ci avrebbe investiti a distanza di ore.

Approfittammo di quei momenti, illuminati soltanto dalla luce che proveniva dalla finestra accanto al letto dalle insegne dei locali e dei ristoranti e il chiarore fioco e giallo dei lampioni della strada, per scoprirci meglio di quanto non avessimo mai fatto. Stiles sotto quei riflessi rossastri e dorati prendeva le sembianze di una divinità mai esistita e affabile, dai tratti delicati ma decisi, spigoloso nei punti giusti e levigato negli altri ma con la pelle ovunque liscia come velluto. Mi persi nella distesa di nei distribuiti senza criterio eppure proporzionalmente sulla sua schiena, fino alle spalle, per poi girare sulle braccia e disperdersi come una folla di persone che finisce gradualmente. Lasciai baci su ogni centimetro del suo corpo mentre le mie mani a turno accarezzavano i suoi capelli morbidi. Creavamo sottili ombre al nostro fianco e le immaginai come i Derek e Stiles di un mondo parallelo, anche loro intenti ad esplorarsi.

Fu tutto molto lento, sfumato (nei ricordi, non nelle emozioni, quelle chiare e decise bruciavano nella stanza e sotto la pelle), graduale.

Era un gioco di saliva, labbra rosse, gemiti silenziosi. Un calore avvolgente che ci legava come colla ed esaltava l'odore della pelle di Stiles di cui mi nutrivo avidamente, da cui diventavo indipendente. Si trattò di fiati spezzati, pressioni leggere, invasioni momentanee. Poi stimoli, spinte. C'era stato dolore, ma durò poco, e poi piacere. Una sensazione di completezza, una visione di pezzi che si incastravano perfettamente. Spinte scostanti, nomi sussurrati, baci fugaci e il battito del suo cuore che correva. E poi il desiderio (che provavamo a sottomettere per far sì che quell'istante durasse una vita) colpì, entrambi, d'improvviso. Un'energia che si diffondeva, si diramava e annullava la gravità. La pressione che si diluiva sotto le note dell'ultimo gemito interrotto. I nostri occhi si tenevano incollati, poi i miei brillarono di azzurro e si riflessero nel suo marrone ma lui non fu spaventato da quella reazione non umana, al contrario, sembrò guardarmi con ancora più desiderio. Il piacere allora si liberò con sollievo e lentamente il respiro tornò regolare. Non servirono parole, sarebbero state d'intralcio. C'erano soltanto carezze, gesti gentili e premurosi, le lenzuola sotto cui ci rifugiammo quando il calore dei movimenti si disperse e una leggera pioggia iniziò a farci compagnia mentre ci addormentavamo.

L'indomani mattina avrei voluto che il giorno tardasse ad arrivare. Stiles dormiva sotto la mia spalla, poggiato sul mio petto, con aria angelica e incredibilmente serena. Non avrei mai voluto svegliarlo. Il telefono sul comodino vibrò come per ricordarmi di non essere in grado di sfuggire dalle mie responsabilità e anche se ero cosciente del fatto che quel messaggio sarebbe arrivato, prima o poi, mi procurò ugualmente una sensazione di gelo interiore e mi chiuse lo stomaco.

Cam: "Ci siamo. Sulla 131esima, a West Harlem, sotto la strada panoramica di Riverside drive. La vittima, Andrew McCoy, 32 anni." Provai un misto di rabbia e frustrazione, promisi a me stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta, l'ultima vittima.

Risposi: "Vediamoci oggi pomeriggio da me."

Lei disse: "A dopo."

Stiles fece dei piccoli versi pieni di sonno per attirare la mia attenzione. Mi girai verso di lui, gli accarezzai il viso e lui sorrise mantenendo gli occhi chiusi.

What Was Left BehindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora