VIII

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Nei giorni che seguirono vissi una vita al rovescio in cui tutto sembrava uguale a prima tranne per il fatto che nulla lo era. Le giornate diventavano sempre più fredde e il sole tramontava sempre prima ma assistevo alla mia vita da spettatore silenzioso all'interno di casa mia, uscendo solo per fare la spesa e salutare Mrs. Crowford.

Fortunatamente lei non era cambiata per niente, era ancora la vecchietta vispa e arzilla che ricordavo. Si accorse subito che qualcosa non andava in me ma non potevo rispondere alle sue domande con sincerità, quindi mentivo dicendo che non mi sentivo molto bene e lei si lasciava convincere aggiungendo raccomandazioni sul fatto che bisognava coprirsi per bene e non uscire senza sciarpa in quel periodo.

Meditai molto su quello che era successo. Ripercorsi centinaia di volte mentalmente le tappe di quel viaggio mai esistito in un anno che adesso odiavo follemente. Misi in discussione ogni scelta che avevo preso. Se non avessi convinto Walgreen a farmi viaggiare nel tempo forse sarei riuscito a portarlo in ospedale abbastanza in fretta perché vivesse (forse!) ma Cam sarebbe morta e io avevo promesso di salvarli entrambi.

Vivere in quella casa piena dei nostri ricordi fece ancora più male: quello che mi rimaneva non era altro che il ricordo di qualcosa che non era mai accaduto, un'ombra sottile che diventava ogni giorno più sfocata e io avevo paura che avrei dimenticato quello che c'era stato tra di noi, che avrei dimenticato di Stiles come avevano fatto tutti gli altri.

Walgreen venne a trovarmi. Disse che aveva una buona notizia: era riuscito a scovare il ragazzo che aveva dato vita al Ghul. Mi raccontò che la notte dello scontro era stato così male (perché le ferite del demone avevano impatto su di lui, in qualche modo) che si era trascinato in strada, aveva chiesto aiuto e qualcuno lo aveva portato all'ospedale.

«La morte del Ghul lo ha liberato di tutto il dolore che si portava dietro» disse sollevato. «Certo, porta ancora i traumi di quello che ha passato, ma sta molto meglio. Sono andato a trovarlo.»

Preparai meccanicamente del thè cercando di ignorare il fatto che nello scaffale mancassero le confezioni che mi aveva regalato Stiles. Walgreen mi chiese come stavo, visibilmente preoccupato per me. Disse di essere molto dispiaciuto, che si sentiva responsabile. Lo rassicurai del fatto che non fosse colpa sua. Prima di andar via e sparire in un vortice nuvoloso precisò che se avessi avuto bisogno di qualsiasi cosa avrei potuto chiamarlo.

Il giorno dopo trovai finalmente il coraggio di uscire per cercare Stiles. Forse sua madre non gli aveva dato la collana o forse qualcosa gli aveva impedito di essere al St. Mary's Park quella notte, ma ero certo che esistesse, che fosse nato e che la sua vita non fosse troppo diversa da come la conoscevo (senza l'unico dettaglio che io non ne facessi parte).

Meditai molto sul fatto di cercarlo. Quello che mi frenava era la paura di vedere una sua versione che non conoscevo, uno Stiles diverso da quello che amavo, e cosa peggiore di vedere i suoi occhi passare su di me con indifferenza, senza riconoscermi. Nei giorni precedenti Cam era passata a trovarmi diverse volte e avevamo parlato (lei molto più di me). Mi aveva consigliato di provare a cercarlo, di conoscerlo. Nella sua visione ottimistica del mondo aveva previsto che potessimo innamorarci ancora, come la prima volta. Ma io non sapevo come già fosse stato possibile una volta. Trovavo assurdo che un umano potesse vedere in me - un lupo mannaro con artigli e zanne lunghe fatte per squarciare - una persona meritevole di amore. Poi capii che quello che ci aveva uniti era stata la caccia di quei pezzi, il brivido della ricerca, vivere giorno per giorno uno accanto all'altro con la consapevolezza di fare qualcosa che salvi delle vite. Certo, questo poteva essere lo stesso Stiles, ugualmente curioso, intelligente e capace di vedere il buono dentro di me, ma io non ero più lo stesso e le circostanze che ci avevano unito, neanche quelle erano le stesse. Presentarmi alla sua porta con una verità pesante come quella del mondo soprannaturale senza una spiegazione nella mia testa non aveva senso e ogni scenario che immaginavo finiva con me che lo spaventavo o una vita di menzogne.

Peggio ancora sarebbe stato presentarsi a lui dicendogli che in un'altra linea temporale eravamo felici insieme e che poi lui stava per morire così per salvarlo avevo viaggiato nel tempo ma qualcosa era andato storto e lui non si ricordava più di me. Avrebbe chiamato la polizia o l'ospedale per farmi internare.

Pensavo a tutte queste cose mentre mettevo un passo dopo l'altro senza neanche dover prestare attenzione alla strada perché anche le mie gambe l'avevano imparata a memoria: quella per andare al suo appartamento.

Non avrei mai bussato, ovvio. Il suo nome sul citofono era scritto con lo stesso carattere di quello che ricordavo e questo mi fece sentire un po' meglio. E adesso? Avrei potuto aspettare che uscisse di casa, o che tornasse a casa - impossibile saperlo -, ma decisi di camminare. Gironzolai a vuoto per un po', realizzando soltanto in quel momento quanto mi fosse mancata New York e in particolare la New York che ricordavo. Calpestavo le foglie secche di diverse tonalità di marrone e arancione che formavano immensi tappeti folti sui marciapiedi di Manhattan e che scricchiolavano sotto il mio peso. Un leggero venticello muoveva le insegne dei locali appese ai pali della luce spenti e l'ombra più alta e sottile di me mi seguiva silenziosa.

Finii per trovarmi in Delancey Street senza accorgermene (o facendo finta di non accorgermene) e di proposito continuai fino a cercare con lo sguardo il leone sul palazzo di mattoni rossi. E lui lì, immobile e fiero, mi guardava dall'alto in basso quasi giudicandomi. Tutto era rimasto uguale. Entrai nello Starbucks lì vicino, ordinai e mi sedetti sullo sgabello vicino al bancone aspettando il caffè.

Che il destino ce l'avesse con me lo capii quando la porta si aprì e Stiles entrò mentre parlava con una sua amica (Kat mi sembrò fosse il suo nome, l'avevo vista un paio di volte). Riconobbi la sua voce e mi girai di scatto. Con una fitta al petto notai che era lo stesso identico Stiles che ricordavo, stessi capelli scompigliati, la stessa camicia azzurrina sotto il cappotto leggero che indossava la prima volta che l'avevo visto suonare, lo stesso sorriso luminoso. Parlavano di un esame ma non riuscii a concentrarmi troppo su quello che dicevano, terrorizzato dal fatto che io fossi a soli due metri da lui e che mi avesse visto (i suoi occhi erano passati sulla mia figura, ne ero certo) ma non mi avesse riconosciuto. Per lui non ero che una persona qualsiasi, seduta in un bar, con lo sguardo triste. Ordinò un thè freddo, pensai che quella fosse l'ennesima prova che lui era lo stesso Stiles che conoscevo. Andarono via non appena la cameriera gli consegnò l'ordinazione. Restai a rimuginare davanti il mio caffè per un altro po' fino a quando notai il sole abbassarsi e decisi di tornare a casa a piedi.

La conclusione a cui arrivai mentre percorrevo la 5th avenue era quella che avrei voluto evitare di accettare, ma che alla fine continuava a bussare alla porta del mio cervello presentandosi come la verità che non avrei potuto ignorare. C'era un fatto tangibile e reale (per quanto accaduto in una linea temporale diversa, cancellata, non saprei) ma che comunque era esistito: Stiles era stato ferito mortalmente. E per quanto una parte di me continuasse a ribadire il fatto che, materialmente, era stato il Ghul a trafiggergli il fianco, una parte molto più rumorosa continuava a ribattere che era successo perché io avevo lasciato che si trovasse coinvolto in quella situazione. L'altra parte allora diceva che Stiles sapeva a cosa andava incontro, che era consenziente e che aveva insistito per partecipare allo scontro, alla ricerca, a tutto. La parte rumorosa chiuse la discussione chiarendo che non sarebbe successo nulla se non ci fossimo incontrati. Difatti, lo Stiles di adesso camminava felice e sereno, senza pericoli e mostri che tentassero di ucciderlo. Ecco qual era la verità: che il mio mondo era una minaccia per la sua vita. Che se non fosse stato il Ghul sarebbe stato il demone successivo o quello ancora dopo, ma sarebbe rimasto coinvolto. Ero io il pericolo. Come uno stupido avevo lasciato che lui fosse coinvolto in una cosa buia e infida che conduceva inevitabilmente alla morte. Non ragionavo più, avevo solo pensieri che non mi appartenevano e cercai di smettere di pensare, a tratti con successo a tratti sprofondavo, e pensavo che Stiles sarebbe stato per sempre il mio Si bemolle, il pezzo mancante che avrebbe reso la mia vita incompleta, perso nel tempo insieme a tutti i ricordi che avevo di lui. 

What Was Left BehindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora