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Walgreen mi cedette una stanza per riposare e mi medicò quelle poche ferite così profonde che ci avrebbero messo più tempo per guarire.

Mi stesi sul materasso scomodo che in quel momento mi sembrava la cosa più confortevole del mondo per quanto ero stanco. Erano più di trenta ore che non dormivo e sorrisi fra me e me pensando che Stiles mi avrebbe corretto dicendo che erano ventitré anni che non dormivo. Cominciai a pensare e pensare. Che fosse stato davvero il destino a creare tutto questo? Ma qual'era lo scopo? Forse che qualcuno riuscisse a sconfiggere il Ghul? O che io impazzissi? L'unica cosa che faceva grandi giri e poi si presentava di nuovo era Stiles o meglio, me e Stiles. Mi resi conto di quanto sembravo ingenuo alle mie stesse orecchie. Un mostro demoniaco, un viaggio nel tempo di vent'anni, uno scontro che provoca la morte di una persona, forse due, per cosa? Per far sì che noi ci conoscessimo? Che noi ci amassimo? Avevo ammesso davvero di amare Stiles? E pure non glielo avevo detto. Così giurai, su quel letto scomodo immerso nell'odore di spezie da cucina che passava dalla piccola finestre aperta appena dal ristorante indiano adiacente, che quando sarei tornato indietro la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata dirgli che lo amavo più di quanto avessi mai amato qualsiasi cosa.

Poi caddi in un sonno profondo e senza sogni.

Mi svegliai l'indomani mattina, quasi completamente guarito e con un grande appetito. Walgreen mi aiutò nella ricerca dei tre pezzi del Dirkey. Dopo le dovute raccomandazioni su quello che non avrei dovuto assolutamente fare (ad esempio parlare con chiunque a meno che non fosse indispensabile) usò i suoi poteri per darmi indizi sulla collocazione del primo pezzo. La ricerca, che non aveva senza Stiles lo stesso sapore di avventura ed entusiasmo, ci condusse il Senegal. Viaggiare con i portali di Walgreen rese le distanze di migliaia di chilometri percorribili in un battito di ciglia e invidiai il suo potere per questo.

Il secondo prima eravamo nel suo studio, quello dopo sulla costa del lago Retba. E mentre da noi erano appena le tre del pomeriggio lì il sole cominciava a tramontare, infuocato, nel cielo dalle sfumature arancioni.

«Nel lago» di cui non avevo mai sentito parlare, mi spiegò Walgreen, «ci sono delle alghe che producono un pigmento rosso e che fanno sì che l'acqua del lago sia rosa.»

Sembrava di essere in un dipinto. L'assenza di vento rendeva la distesa d'acqua immobile, uno specchio rosa che all'orizzonte incontrava il cielo arancione. Alcune piccole barche a remi erano appoggiate sulla riva, vicino a piccole montagne di sale, prodotte dal lago stesso. La lama si trovava sul fondale, per cui dovetti tuffarmi, quasi dispiaciuto di rompere quella quiete naturale, e nuotare con difficoltà (la salinità del lago rendeva molto facile galleggiare, quasi impossibile andare in senso opposto) verso il fondo. Quando ruggii un piccolo luccichio provenne da alcuni metri di distanza e tornammo vittoriosi a casa - solo un minuto dopo! - con la lama del pugnale fra le mani.

L'indizio seguente ci spinse in Germania, più precisamente in Baviera, al Castello di Neuschwanstein (nome che non fui in grado di pronunciare malgrado i numerosi tentativi). Scoprii che Walgreen era a conoscenza di così tante informazioni che mi fece sospettare di aver usato un incantesimo per iniettarsi una dose di cultura smisurata oppure che potesse leggere da un'enciclopedia invisibile tutte le informazioni che dispensava. La verità, mi spiegò, era che amava leggere e aveva sfruttato il suo potere di teletrasporto molte più volte di quelle che potevo immaginare (furono le sue parole), in più, aveva avuto decenni per farlo. «Hai presente Ludovico II di Baviera?» chiese prima di aprire il portale. Io feci un cenno della testa che si traduceva in un timido «sì» ma che voleva dire "Non ho idea di chi sia ma tanto so che stai per spiegarmelo" e di fatti lui continuò: «È stato il re che ha ordinato la costruzione di questo castello. Il suo popolo pensò che voleva rifugiarsi dal mondo reale, fuggire dalle sue responsabilità e restare solo in quella fortezza immensa, per cui gli diedero il nome di Re Pazzo. Ma la verità è che lui era un Nissen, come me, e amava viaggiare attraverso i portali magici.»

Il castello fu una delle cose più belle che io avessi mai visto. Walgreen ci fece arrivare prima sulla collina a poche centinaia di metri da dove si poteva ammirare completamente. Due torri gemelle affiancavano la struttura e poi altre di diverse altezze con pinnacoli ornamentali, balconate e sculture lo rendevano irregolare ed asimmetrico ma proprio per questo, ancora più armonioso. La vastità del castello era bilanciata dallo sfondo quasi magico del fiume pöllat e dalle alte montagne con la cima innevata. Sento che nessuna mia descrizione potrebbe descrivere la maestosità di quei posti e dargli giustizia. Come due comuni visitatori gironzolammo tra le stanze (oltre 200) del palazzo fino alla sala del trono, dove la guardia del pugnale era nascosta.

Ci misi una settimana a capire il terzo indizio a cosa portasse (Stiles ero sicuro ci avrebbe impiegato mezza giornata, forse anche meno) e Walgreen quasi pianse di gioia quando venne fuori che saremmo dovuti andare a Tokyo. Inizialmente non capii da cosa derivasse quella sua felicità quasi commossa fino a quando non mi spiegò che ci trovavamo nell'hanami, ossia il periodo di fioritura dei ciliegi. Ne avevo sentito parlare, certo, ma la sua gioia ai miei occhi appariva ancora immotivata. Disse che era la quarta volta che avrebbe visto la fioritura e non stava nella pelle.

Scoprii che il Giappone non era come me lo ero immaginato, anche perché non ci avevo pensato troppe volte prima di allora. Mi colpì la grandezza e il grigiore della maggior parte dei palazzi, la tranquillità degli edifici religiosi, la cordialità degli abitanti. Venne fuori che il pezzo che cercavamo si trovava proprio nel parco di Ueno, al che Walgreen mi disse: «Adesso vedrai con i tuoi occhi perché ero così contento di venire qui.»

Il parco di Ueno si trovava nel quartiere di Taitō e contava circa 8000 alberi di ciliegio. Non posso descrivere, e non riuscirei a farlo neanche tra decine di anni, le sensazioni che provai camminando sotto gli alberi in fiore.

«Questa è la vera magia» disse Walgreen in un sussurro. Sembrava di camminare dentro nuvola. L'elsa del pugnale si trovava all'interno del tempio buddista collocato al centro del parco. Continuammo ad esplorare intorno, rapiti dal fascino dei ciliegi, anche dopo aver trovato il pezzo.

Quando tornammo a New York sentii di aver lasciato un pezzo di me in ognuno dei tre posti in cui eravamo stati. 

What Was Left BehindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora