6. "Credo che saremo bloccati qui per un po'"

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Spero che il capitolo vi piaccia, buona lettura ❤️

Il giorno dopo si ritorna a lavoro. Ho dovuto sopportare Greyson fino al tardo pomeriggio, ma almeno dopo un po' sono riuscita a sgattaiolare in camera con la scusa di andare in bagno e non sono più scesa in salotto. In realtà adesso che ci penso non ho neanche salutato Greyson.
Beh, chi se ne importa.

Ethan è già tornato a casa, così come tutti i dipendenti. È sera tardi, sono le dieci, e io sto finendo di controllare alcuni documenti legali. Teoricamente dovrebbe farlo con me anche Ethan, ma ci sono tanti numeri, e lui e la matematica non vanno per nulla d'accordo. Faccio prima a farlo io da sola che a spiegarglielo.

Mi schiarisco la voce. Oggi è stata una giornata impegnativa e l'unica pausa che ho fatto è stata tre ore fa, per stalkerizzare i dati forniti per il contratto di Greyson. Il suo nome per intero è Greyson Peter Harris, ha ventisette anni, una sorella -ma questo già lo sapevo- ed il suo compleanno è a marzo, ma ho già dimentico il giorno. Sarò anche brava in matematica, ma la memoria non mi aiuta proprio.

Firmo l'ultimo documento, poi lascio che le mie labbra rilascino un sospiro di sollievo. Il vento batte forte sulle finestre, si sta alzando una tempesta. È sempre così, a Kangaroo Island: quando viene a piovere si alza un vento fortissimo, che fa cadere alberi e tremare gli edifici. Mi ricordo che quando ero piccola avevo sempre paura che la casa cascasse.

La porta si apre all'improvviso ed io caccio un urlo dallo spavento. Mi calmo solo quando vedo una figura familiare entrare dentro al mio ufficio. «Ah. Sei tu.»

Greyson inarca un sopracciglio. «Tranquilla, non sono nessun assassino.» Chiude velocemente la porta dietro di sé, per il vento troppo forte.

«Molto rassicurante.» Borbotto, nascondendo i suoi documenti sotto gli altri fogli e posando la penna al suo posto. «Cosa ci fai ancora qui?»

«Ethan mi aveva chiesto di finire della cose per lui.» Alla sua risposta alzo gli occhi al cielo, è un classico che chiede agli altri quello che dovrebbe fare lui. «Adesso però ho finito.» Poggia alcune carte della fiera a cui dovremo partecipare sul tavolo, di fianco i moduli che stavo compilando io. «Ciao, Delilah.»

«Ciao.» Lo saluto. Anche se non lo sopporto, rimarrà qui finché non si licenzia o noi non lo licenziamo -cosa altamente improbabile-, quindi per ancora tanto tanto tempo. Preferisco una convivenza pacifica piuttosto che una guerra, anche perché Greyson sembra una persona abbastanza calma.

Greyson accenna un sorriso e poi ritorna davanti alla porta per aprirla, ma ci mette più del previsto. Lo sento imprecare qualcosa sottovoce e mi alzo, anche perché ho finito. «Va tutto bene?»

Il nuovo dipendente si gira verso di me, con gli occhi leggermente spalancati. «Non si apre la porta.»

«Che cosa?!» Grido, e in quell'esatto momento le luci si spengono improvvisamente. Merda, la corrente è saltata.

Un'altra imprecazione, questa volta da parte mia. «Spostati.» Gli dico nel modo più gentile possibile, cercando di aprire la porta. Mentre tiro e spingo, la maniglia fa un rumore strano e dopo un secondo me la ritrovo tra le mani, separata dalla porta.

«Cosa è stato quel rumore?» Chiede Greyson dopo qualche secondo. Io non dico niente e ben presto mi ritrovo la torcia del suo cellulare puntata in faccia. Scende fino alle mie mani, e osserva con la fronte corrucciata la maniglia. «Delilah...»

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