Capitolo 1

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L'aria fredda e pungente batte incessantemente scompigliando i miei capelli in un groviglio di ciocche ribelli che svolazzano da una parte all'altra - esattamente come me, che da anni a questa parte posso definirmi come una foglia strappata con irruenza dal suo albero e vaga smarrita dove la porta il vento. Il vento gelido di Toledo, dove mi sono posata per il momento, in una grande città per i miei piccoli standard, piena di persone confortevoli ma distanti, diversi giovani e molti vecchi, verdi immensi e appartamenti sfasciati. Un mix di strani contrasti, che per il momento considero come casa.

Sono riuscita a staccarmi dall'arido e disperso paesino di campagna dove sono cresciuta con i miei genitori conformisti, dalle messe alla chiesa del paese e dal coro dopo scuola, dalle sfuriate delle suore ogni qualvolta decidevo di mettermi una t-shirt con una rock band al posto della solita divisa color avorio. Sono riuscita a scappare da tutta quella realtà che ormai cominciava a starmi stretta perfino quando aiutavo mio nonno ad arare i campi immensi della nostra fattoria. E se il prezzo da pagare per la mia libertà è il freddo pungente di questa città, va benissimo così.

Non ho mai avuto grande aspettative dalla vita, sono riuscita a stento a diplomarmi con un sorriso e un calcio in culo, mi bastava semplicemente andarmene altrove e ripartire da zero, senza la pressione di dover dimostrare per forza qualcosa a qualcuno. Mi sono solamente rimboccata le maniche per stare bene con me stessa, pronta a buttarmi a capofitto in tutto, senza regole, senza costrizioni, senza vincoli.

Conto mentalmente i passi che percorro frettolosamente verso casa, stando attenta a non toccare le righe del marciapiede come è il mio solito fare, mentre dondolo da una parte all'altra stringendomi nel cappotto troppo leggero per questa stagione - dovrei ricordarmi di comprarne uno appena ho pagato l'affitto del mese. Ormai siamo arrivati ad ottobre inoltrato e le decorazioni di Halloween nelle varie case del mio squallido quartiere mi ricordano che devo ancora procurami dei dolcetti per i bambini che da tre anni a questa parte bussano alla mia porta con i loro costumi buffi e terrificanti allo stesso tempo.

Muovo la testa di lato cercando di scostarmi i capelli senza dover togliere le mani da dentro le tasche e in lontananza, vedendo la mia porta rossa, sento già il mio cuore scaldarsi.

«Eccoci qua, porta rossa!»

Mi giro nella sua direzione fermandomi di fronte ai gradini della mia umile dimora e sento già un grande senso di colpa attraversarmi dentro. È davvero un bravo ragazzo e mi dispiace promettergli di chiamarlo domani per poi buttare via il suo numero e dimenticarlo per sempre. Ma non posso farci niente, sono fatta così. Non riesco a dire di no alle persone e devo incolpare mia madre per avermi educata in questo modo, quindi allo stesso tempo non riesco neppure ad impegnarmi con nessuno. Sono sempre gentile con gli altri e in compenso ricevo solo clamorosi pesci in faccia - il tempo mi ha fatto da maestro, aiutandomi a forgiare una solida corazza a prova di delusioni.

«È stato bello, che dici?»

Noto subito il nervosismo dietro al suo sorriso e d'istinto gli tocco il braccio annuendo calorosamente.

«Grazie...per la cena...ho passato una bella serata.» Mostro il mio più sincero sorriso e lo sento rilassarsi sotto il mio tocco.

«Sono appena le undici...potrei entrare dentro e magari prendiamo un caffè insieme...se ti va?»

Oh Nathan.

Sento il cuore andare quasi in frantumi nonostante il mio io interiore continui a insistere nel scaricarlo il più velocemente possibile. Non voglio farlo soffrire, quindi prima lo faccio e meglio sarà per lui.

«Senti...» Vengo interrotta all'istante.

Un semplice bacio a stampo delicato che mette a contrasto le sue labbra calde e confortevoli con le mie secche e screpolate. Probabilmente neanche le uniche cose ad essere in netto contrasto tra di noi - in lui sento la voglia di provarci, di conoscermi, di uscire ancora, contro tutti i miei motivi per scaricarlo qui davanti al mio portone con una scusa banale. Ma perché diavolo ho accettato il suo invito a cena? Non potevo starmene zitta e riempirgli la tazza di caffè?

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