Capitolo 17

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Sono riuscita a dormire solamente tre ore filate, senza contare le volte in cui mi sono alzata per andare in bagno ed affogare la testa nella tavoletta cercando di rimettere tutta la cena e i vecchi scheletri del passato.

Non ho mai avuto grossi rimpianti nella vita, ho sempre cercato di incolpare il mio super ego che mi ha spinto più volte a prendere decisioni avventate e del tutto inappropriate. Esattamente come il fatto di aver conosciuto, in maniera troppo intima, la persona che per un brutto scherzo del destino, è diventata il padre di mia figlia.

Non lo odio, non ho mai odiato nessuno. Odio il fatto che abbia abbandonato sua figlia circa due anni fa, dicendo di aver lasciato le chiavi in macchina. Odio il modo in cui mi comporto quando lui respira la mia stessa aria, il suo strano senso dell'umorismo, i suoi assurdi gusti musicali e la genetica che ha lasciato tutto di lui in Allie.
Se non fosse per i capelli biondi di mia madre, sarebbero due fotocopie - spero solo che da grande non abbiano lo stesso carattere o la mia vita sarà decisamente fottuta.

Ho passato l'intera mattinata con un gran mal di testa, assorta nei miei lunghi pensieri e nelle mie paranoie assurde - ho perfino trovato il coraggio di chiedere dei giorni di permesso all'agenzia di pulizie. Non lo faccio praticamente mai, ma visto che ho tantissime ore accumulate di ferie e una miriade di problemi da risolvere, mi sono concessa dei giorni per me stessa.
Al locale ci devo andare però, siamo in carenza di personale e, a meno che non stia morendo in agonia, non posso prendermi il lusso di saltare qualche ora.

Sono ormai le tre del pomeriggio, i raggi di sole cercano di uscire dalle solite nuvole grigie che ricoprono il cielo, rendendo l'aria meno pungente del solito. Ho deciso di lasciare l'auto a casa, giusto per camminare un po' ovunque, tra i parchi quasi deserti e i negozi in mezzo alle vie della città.

Chris dovrebbe chiamarmi a momenti - sono riuscita a convincerlo a prendersi il pomeriggio libero per stare un po' insieme.
Nonostante la pessima serata di ieri, fremo dalla voglia di starmene con lui e liberare la mente da tutto. Spero solo che si diverta e si lasci andare.

Cammino lungo la strada entrando nel piccolo spaziale della mia palestra. L'unica auto parcheggiata è la sua e sorrido al pensiero che sia arrivato in anticipo. Allegramente aumento il passo fino a fermarmi di fronte al suo finestrino dai vetri oscurati e busso più volte prima di sentire lo scatto dell'apertura.

«Stavo per chiamarti.» Dice posando il telefono dentro alla tasca della tuta.

Questa mattina gli ho espressamente ordinato di vestirsi comodo e lasciare le sue camicie e i completi gessati a casa, a quanto pare mi ha ascoltato. Mi fa strano vederlo "casual", l'ho visto così anche la prima volta dopo la lezione di yoga - gli inferisce un'aria più fresca e giovanile.

«Sembri un ragazzino.» Dico dandogli le spalle e camminando verso la porta di ingresso della piccola palestra.

«Lo prendo come un complimento.» Ribatte sarcastico e per tutto il breve tragitto sento il suo sguardo bruciarmi addosso.

Arrivati all'interno mi fermo davanti al tavolo di legno e suono al campanello aspettando che qualcuno venga ad accoglierci. Chris è appena dietro di me e se ne sta in silenzio con le braccia incrociate al petto. È sempre solito a guardarmi in ogni circostanza, ma il suo sguardo stavolta è più pungente e quasi fastidioso, così mi giro scostandomi i capelli di lato e cogliendolo in flagrante mentre sposta l'attenzione dal mio fondoschiena al mio viso.

«Ti piace ciò che vedi?» Alzo il sopracciglio trattenendo un sorriso sotto al tono di voce duro.

«Quelli...» - indica su e giù le mie gambe - «fanno parte della sorpresa?»

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