Capitolo 13

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«Abbiamo una serie di laboratori incentrati sulla condivisione e l'importanza del gioco. Nella loro fascia d'età è importantissimo stare a contatto con i bambini e staccarsi dai genitori, accresce il senso di indipendenza e responsabilità.»

Annuisco seguendo la signora lungo un corridoio color porpora abbellito dai disegni dei bambini ormai segnati dal tempo. Allie ci segue timidamente stringendomi la mano e guardandosi intorno, tutto questo è nuovo per lei e credo che sia il posto giusto - la sua espressione cambia una miriade di volte tra lo stupore e la gioia immensa.

Visto il pomeriggio libero, dopo aver pranzato da Michael insieme agli altri, ho deciso di dare un'occhiata all'asilo vicino al locale, non molto lontano da casa. Me lo aspettavo più grande sinceramente, ci sono all'incirca quindici bambini, ma forse è meglio così - non vorrei lanciarla subito in una mandria di pianti e urla. Le maestre sono state subito cordiali e gentili, hanno risposto ad ogni mia domanda lasciandomi soddisfatta di questo posto.

È arrivato il momento di separarmi da lei.

«Starà bene, non si preoccupi.»

Porgo la mia attenzione alla direttrice che incita di sedermi indicando la sedia vuota di fronte alla sua scrivania. Perfino questo ufficio è così colorato e tappezzato di disegni vari lasciati dai bambini.

«Sono sicura che sarà così.» Sorrido portandomi Allie sulle gambe.

«Passiamo alla parte più noiosa, ho bisogno dei suoi documenti e quelli della bambina per registrarvi.»

Frugo alla rinfusa dentro la borsa scostando i giochi di Allie e le varie cianfrusaglie all'interno - potrebbe perdersi qualcuno là dentro.

«Mamma guarda!» Allie mi prende il viso tra le mani per cercare di attirare la mia attenzione, stringendomi forte la guancia facendomi quasi male.

«Aspetta...» cerco di non sembrare troppo impacciata mentre tiro fuori il portafoglio assieme a delle salviette che scivolano dalle mie mani e cadono a terra. Vorrei tanto imprecare in questo momento, ma di certo non farei una buona impressione.

«Leah, perché non porti la bambina a vedere la stanza dei giochi?»

Una ragazza dietro di me si avvicina ad Allie e inizia a parlarle con lei. Cerco di lasciar perdere il senso di ansia che mi pervade mentre osservo mia figlia porgerle la mano e allontanarsi. Non sono abituata a vederla con altre persone e per quanto possa sembrare stupido, potrei avere perfino un attacco di panico in questo momento.

«Ci farà l'abitudine. All'inizio fanno tutte così.»

«Così come?» Non stacco gli occhi dalla ragazza che sta portando via Allie da me. Dalla sua mamma. Perché non piange?

«Hanno paura di lasciare qui i propri figli. Lei dipende dalla sua bambina e non il contrario come pensa. Andrà tutto bene, vedrà che dopo qualche settimana ci farà l'abitudine.»

Annuisco poco convinta sistemandomi meglio sulla sedia. Non la sto lasciando in un manicomio per diamine! È solo un asilo nido.

«Torniamo a noi. Nome completo della bambina?»

«Alexandra Rose James, però la chiamiamo tutti Allie.»

Sì, mia figlia ha il mio stesso nome. L'ho deciso volutamente in ospedale quando è nata, in fondo un sacco di persone nel mondo danno il nome dei figli maschi ispirandosi ai padri e nonni, perché non può essere lo stesso con le femmine? Sono sempre stata fiera della mia decisione alquanto femminista.

«Allie, perfetto. Il suo?»

«Alexandra Lilian James.» La direttrice mi guarda per qualche secondo ma lascia perdere qualsiasi cosa stesse per chiedermi e continua a scrivere.

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