Capitolo 7

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Un'altra settimana era volata velocemente, come la mia punizione.
Finalmente avrei rimesso piede fuori casa. Mi avevano persino impedito la mia passeggiata mattutina, quella in cui scaricavo tutta la tensione e la rabbia accumulatasi durante i giorni. Io e le ragazze eravamo più unite che mai. Non avevo mai avuto al mio fianco persone più sincere. Lo erano su tutto. Forse il fatto di non conoscermi alla perfezione le rendeva in quel modo. Sapevo che a loro potevo raccontare di tutto e loro erano consapevoli che potevano rispondere come meglio credevano.
Ci consigliavamo quasi su tutto. Hanna, ormai, si era abituata alla vicinanza assidua della Felton nel gruppo. Non ci faceva quasi più caso, anzi le frecciatine antipatiche fra le due andavano a scemare e questo rendeva felice anche me.
Lucas continuava a scrutarmi durante le lezioni, nel corridoio e persino nelle ore di educazione fisica. Sembrava quasi uno stalker. Avevo paura ad uscire di casa e di ritrovarmelo di fronte, ormai.
Nate, invece, si era totalmente dimenticato del nostro litigio e aveva ripreso i suoi soliti incontri clandestini dopo la scuola. Che poi, c'era ancora qualcosa che non mi quadrava.
Brandon era sempre il solito. Più passavano i giorni, più mi convincevo che gente come lui era meglio lasciarla perdere. Nonostante ciò lui non perdeva mai l'occasione per ricordarmi quanto fosse figo e idiota.
Era entrambe le cose, praticamente.

«Vado a correre!» Esclamai correndo verso la porta.
Mia madre scosse il capo portando le mani ai fianchi, mentre mio padre sogghignò.
Non riuscivano proprio ad essere severi.
M'incamminai verso il vialetto ascoltando il fruscio delle foglie sugli alberi. Il vento mi svolazzava la coda da una parte all'altra e il cuore prese a battere in maniera anormale quando vidi di fronte a me Brandon.
Correva verso di me e non s'accorse subito della mia presenza, così ne approfittai per abbassare la testa sperando di non essere riconosciuta.
«Stewart!»
Tentativo fallito. Alzai la testa e smorzai un sorriso, mentre rallentavo sempre di più.
Con il fiatone abbassai il busto sorreggendomi con le mani dalle ginocchia e respirai profondamente.
«Sai se utilizzassi più energia per fare sesso anziché per parlare, saresti arrivata in meno di un minuto laggiù.» fece cenno con la testa fermandosi.
Accennai una smorfia e ritornai eretta.
«E tu che ne sai scusa?»
«Che ne so? Stai parlando con il re del sesso.» Fece modesto. Si vantava di tutto ciò e proprio questo mi faceva ridere. Eppure ero curiosa di intervistare le sue pecore sulle sue prestazioni sessuali.
«Che ne sai se io non impiego questa energia anche per quello?» Corrugai la fronte cercando d'essere più convincente che mai, ma a sentire la sua risata divertita direi di non esserlo stata neanche un po'. Con lui tutti i miei tentativi fallivano.
«Non farmi ridere, dai...»
«Mi sottovaluti.»
«Sei tu che ti sopravvaluti» schiacciò un occhio, «ti do un consiglio: parla di meno e agisci. Con il sesso risolvi tanti problemi.»
«Sì, ma a quanto pare non c'è alcun rimedio per la demenza.» feci soddisfatta incrociando le braccia al petto.
Mi si avvicinò con fare provocante e superiore. Quando lo ritrovai a pochi centimetri dal mio viso tutti i muscoli s'irrigidirono per pochissimi secondi.
«Bimba... questa confidenza potresti utilizzarla per altro, nei miei confronti.»
Riformulai il tutto e compresi. Che porco maiale!
Gli diedi uno spintone e lui ridacchiò divertito. Senza esitazioni si riavvicinò.
«Buona passeggiata Stewart.» mi sussurrò all'orecchio incamminandosi nuovamente verso casa.
Rimasi per qualche secondo a fissarlo, poi ripresi a correre evitando la situazione.

La giornata cominciò con una A. Il saggio svolto con le ragazze aveva dato dei buoni propositi e proprio per questo apparivo agli occhi degli insegnanti come una delle poche studenti della quarta C che pensava a studiare, anziché ridere e scherzare.
Insomma, ero soddisfatta dei risultati per gli sforzi che avevo fatto per permettermi al pari con gli altri. Che poi per altri s'intende quattro o cinque. Il resto erano sempre troppo impegnati ad osservare Brandon, Marcus e compagnia bella.
Sam, ad esempio, era sempre nel suo mondo, fra stelle, pianeti, nebulose c'era Marcus Adams. Avevano preso a chiacchierare, anzi, erano una specie di amici.
Lui si fermava a chiederle come andava e lei rispondeva a monosillabi mostrandosi come ipnotizzata. Cercavo in tutti i modi di farle capire che in quella maniera era già cascata ai suoi piedi, ma lei lo sapeva già, quindi pareva completamente inutile.
«Secondo voi me lo chiederà mai d'uscire?» Di punto in bianco Sam parlò. Kris con la patatina fra i denti rimase accigliata a fissarla, mentre io ed Hanna ci concentrammo più sulla sua ciocca di capelli arricciata intorno al suo indice.
«Non starai mica parlando di quel troglodita di Adams? Perché se è così... » fece una breve pausa, ingoiò la patatina e deglutì rumorosamente, «ti ammazzo.»
Sam abbassò lo sguardo ed io avvertii lo sbuffo esausto di Hanna, «Non te lo chiederà mai.» disse lei accennando una smorfia, «È un idiota, come il resto del gruppo. Senza offesa eh!» Si rivolse a Kris alzando una mano.
Kris biascicò, «Se non fosse per Brady tutto sarebbe normale...in classe, nei corridoi, a mensa e in quel gruppo. Lui stravolge tutto, perché quei coglioni sono come ipnotizzati da lui, lo seguono dovunque. Solo Marcus è cretino di natura.» spiegò, «ecco perché è il suo migliore amico. Sono due pezzi di un puzzle insensato.» Si voltò ad osservare il tavolo del fratello e lo feci anch'io.
Brandon era tranquillo, mangiava il suo panino farcito con patatine, maionese e roba simile, mentre gli altri ridevano e scherzavano tra di loro. Ero curiosa di sapere quali erano gli argomenti che trattavano quando si trovavano insieme:

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