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La notte trascorse tranquilla, per come può esserlo al porto di Canton durante la stagione dei commerci: un caos di grida, risse, ubriachi.

Alle prime luci dell'alba la Stella Cadente levò gli ormeggi e si allontanò verso est.

Più tardi, verso l'ora della lepre, una portantina sbucò da un vicolo e attraversò le banchine fino alla grande giunca da carico con lo scafo rosso e azzurro.

— Altolà — disse il soldato che faceva la guardia.

I due servitori poggiarono a terra la portantina. Anche se erano vestiti con la stessa livrea azzurra, erano una coppia davvero male assortita. Il primo era un uomo robusto con la faccia sfregiata di cicatrici. Il secondo era magro, ossuto e giallastro come una cavalletta.

Li seguiva un giovinetto imberbe poco più che adolescente, che fece un profondo inchino.

— Vogliate annunciarci subito al capitano della nave. — disse il giovane. — Il nostro signore deve parlargli immediatamente.

La tenda della portantina si scostò, ne uscì una mano con le unghie nascoste da lunghi astucci luccicanti.

Il soldato fece un profondo inchino, raggiunse la giunca e lanciò un richiamo: dalla nave calarono una passerella da cui scese un altro soldato che si fermò a parlare con il primo, tutti e due insieme raggiunsero la portantina.

— Scusate — dissero — ma il capitano sta facendo colazione...

Il giovane paggio si avvicinò e parlò sottovoce: — Ditegli che mangerà più tardi e di spicciarsi, oppure saranno guai. Il mio padrone ha poca pazienza. E anche il vostro.

— Il signor Guo?

— Certo, chi altri. È stato il signor Guo che ci ha detto di venire a quest'ora. E abbiamo già perso fin troppo tempo.

I soldati parlarono brevemente tra loro, poi si inchinarono: — Dì al tuo padrone di perdonarci.

I servi in livrea blu allora ripresero la portantina e, barcollando, la fecero salire sulla passerella fino al ponte della giunca.

Dopo un istante arrivò di corsa il capitano, che era un ometto grassoccio ancora mezzo svestito.

— Eccellenza — disse — Scusatemi. Non mi avevano avvisato del vostro arrivo.

— Il mio padrone ha molta fretta — esclamò il paggio. — C'è un posto dove possiamo conferire in privato?

— Prego, venite nella mia cabina...

Il paggio si avvicinò al capitano e sussurrò pianissimo: — Mi raccomando di non ridere dell'aspetto del padrone, si offenderebbe molto. È uno dei mercanti più ricchi e potenti di Canton, contrariarlo potrebbe avere effetti imprevedibili.

Lo sportello si aprì e lo strano occupante della portantina mise piede sul ponte. Era un nano, con una lunga barba scura che gli arrivava fino ai piedi, un cappello altissimo e un sontuoso abito di seta tutto intessuto d'oro.

Il nano si guardò intorno con sguardo mortalmente serio e il capitano cadde in ginocchio e si prostrò tre volte, subito imitato dai suoi soldati.

A quel punto i servitori in livrea (Tigre Scarlatta e Abbondanza) rimasero a sorvegliare la portantina, mentre il mercante (Piccola Furia) e il paggio (Yu) si spostarono nella cabina.

Vi era una sola seggiola, ma il comandante la riempì di cuscini e Piccola Furia vi si accomodò solennemente. Poi fece un gesto, come se lui fosse una persona troppo importante per mettersi a parlare con un capitano di nave.

La più grandeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora