𝑑𝑜𝑑𝑖𝑐𝑖

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L'arrivo ad Atlanta è silenzioso, solenne quanto una cerimonia funebre. Temperance guarda il paesaggio scorrere fuori dal finestrino mentre abitazioni, segnali e negozi compaiono sempre più spesso agli angoli delle strade. Non appena passano il cartello che annuncia l'entrata in città, aumenta la stretta sul volante, incapace di resistere a quella specie di scarica elettrica che lo attraversa nel momento in cui schiude le labbra e proclama: "Siamo arrivati."

Adam annuisce, spostando lo sguardo verso il profilo costellato di lividi del suo compagno di viaggio. Si erano fermati un'ultima volta prima che facesse buio, a comprare le sigarette e soprattuto qualcosa da bere, e poi avevano viaggiato durante la notte. Adam aveva passato quelle ore insonne, con gli occhi incollati al parabrezza davanti a sé ad osservare i pochi metri di strada illuminati dai fari di Eve, la nuca ancora indolenzita passivamente sostenuta dal poggiatesta.

"Ce l'hai quasi fatta," osserva lui, percorrendo con gli occhi i lineamenti marcati del suo volto. Guarda l'uomo che gli ha tolto tutto ciò che aveva e non prova assolutamente niente.

"Conoscerai i miei fratelli," continua Temperance, il tono di voce che si fa subito più cupo e teso. "E John."

"Come vuoi tu," Adam abbassa lo sguardo, passando i palmi sul tessuto ruvido dei jeans. "Se... se dovrò aiutarti, Tem, sappi che farò qualsiasi cosa che,"

"No," lo interrompe subito l'altro, frenando d'istinto. L'auto si ferma in mezzo alla strada con uno scossone e Adam, immediatamente, si spinge contro la portiera; è come un istinto di sopravvivenza che gli ordina di uscire di lì al prossimo gesto avventato del suo compagno di viaggio.

"Tu non farai niente. Questa faccenda riguarda solo me, tu sei già abbastanza..."

"Incasinato?"

Tem accenna finalmente un sorriso, spostando lo sguardo altrove: "Se vuoi metterla così."

Lui annuisce appena per poi passarsi una mano dietro la testa, e ripete: "Come vuoi."

Passano dei secondi a dir poco interminabili, in cui sembra quasi che l'aria diventi più pesante, quasi irrespirabile. I finestrini sono alzati e ciò non fa che aumentare quella sensazione claustrofobica, l'aria si sta consumando tra i due. Forse per la prima volta da quando hanno iniziato quel viaggio, Adam e Temperance provano la stessa sensazione nello stesso momento. Ed è una sensazione di soffocamento, di terrore e aspettativa, e l'uno guarda negli occhi dell'altro, trovando nient'altro che loro stessi.

Ora che sono diventati uguali.

"Adam, ma che ti è successo?" prorompe all'improvviso Tem, interrompendo quel momento di riflessione silenziosa, portando poi le mani sulle sue spalle. "Hai ricordato altro, dopo l'omicidio?"

Lui porta le mani sulle sue. Le stringe per un attimo - sono fredde, sono congelate - e poi le allontana.

"Non importa," risponde Adam. "Ripartiamo: dobbiamo finire il tuo viaggio."

Tem lo osserva accigliato, quasi deluso dal suo gesto, freddo quanto lo sono le proprie mani. Stringe un pugno, sfiorando con le dita la sottile linea della cicatrice.

Con un sospiro stizzito si volta di nuovo verso il volante e rimette in moto. Poi, con un tono di voce totalmente diverso da quello che aveva usato fino a poco prima, esclama: "Casa Williams si trova appena fuori città. L'attraversiamo tutta senza fermarci, quindi preparati a un tour accelerato di Atlanta."

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Ad aprire la porta di casa Williams è un ragazzino che non deve avere più di diciassette o diciotto anni, alto e dallo sguardo timido. Resta a fissare Adam e i suoi lividi, sorpreso, le labbra semi dischiuse come se stesse cercando le parole giuste. Adam, dal canto suo, non dice nulla; ormai si ritiene totalmente estraneo alla vicenda, ma con la coda dell'occhio intravede delle figure spostarsi in giro per la casa, dietro alle spalle del ragazzino.

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