capitolo 25

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CAPITOLO 25

Ci sono giornate in cui, fin dal mattino, il sole risplende benevolo e la sua luce mette quasi allegria, carezzando coi suoi raggi il viso di qualcuno che ancora tarda ad alzarsi dal letto; giorni in cui un buon caffé caldo rigenera i sensi, il suo gusto amaro stuzzica piacevolmente le papille e il suo aroma inebria, accompagnando gli strascichi che un bel sogno ci lascia dalla notte precedente, aiutandoci a lasciarlo andare.

Ci sono giorni, infine, in cui ci si sveglia languidi e felici, pieni di forza e voglia di agire, di far qualcosa, di rovesciare il mondo col sorriso sulle labbra.

Ecco, questo per Niels non era affatto uno di quei giorni.

Ammesso e non concesso che a Londra raramente vi fosse bel tempo, quella mattina una fitta nebbia invadeva le strade, impedendo di vedere poco oltre al proprio naso. L'umidità, mista al gelo invernale, penetrava fin nelle ossa dei pochi, coraggiosi passanti che a quell'ora s'erano avventurati per le strade.

Da lontano giungeva il lugubre rintocco della campana di una chiesa che suonava a morto.

Niels, con gli occhi pesanti e una sensazione di viscidume su tutto il corpo, che appesantiva i muscoli facendolo sentire una specie di larva umana, ci mise molto più del solito a decidere di abbandonare il suo caldo e accogliente piumino per rompere il bozzolo ed uscire dalla sua stanza.

Poiché erano già le dieci e mezza, nonostante fuori paresse sera da tanto che era buio, non si preoccupò di muoversi silenziosamente come invece faceva sempre, essendo solito svegliarsi molto prima della governante.

Scese le scale con passo pesante, ritmico e cadenzato come il canto della campana che non si decideva a cessare, e si rifugiò in cucina dove frugò nella dispensa per un buon quarto d'ora prima di arrendersi all'idea che il caffé in polvere era finito.

E Niels, che di quella raffinata bevanda amara aveva fatto il suo nettare vitale, per importanza pari se non superiore a quella dello stesso sangue che gli scorreva nelle vene, prima di bere il suo caffé mattutino era intrattabile come un licantropo il giorno prima della luna piena (ed i licantropi, specifichiamo, sapevano essere davvero burberi).

Grugnendo parole sconosciute al genere umano se ne uscì di casa senza lasciare alcun avviso, deciso a fare colazione da qualche parte lungo la strada.

Il pensiero di dover trovare da solo il mercato nero l'aveva assillato per tutta la notte, e quando finalmente era riuscito ad addormentarsi i suoi sogni erano stati un miscuglio di grige tenebre e figure improbabili, confusi e vertiginosi come una caduta nel vuoto.

Prima aveva sognato di perdersi nel labirinto sotterraneo che costituiva la rete fognaria inglese, costretto a vagarvi fino all'inedia, quindi s'era immaginato che, una volta trovato finalmente il posto, delle orrende creature lo aggredissero, protendendo verso di lui i loro orribili artigli neri. Niels aveva tentato di fuggire, ma le sue gambe, come accade sempre in sogni del genere, si erano fatte così pesanti che a malapena riusciva a muovere qualche passo.

Alla fine, poco prima che i mostri lo afferrassero e lo divorssero, s'era svegliato ansimante e sudato verso le cinque e mezza del mattino e non era più riuscito ad addormentarsi.

Questo però non gli aveva impedito di rimanere nel suo letto a rimuginare sul fatto che, se la vita era crudele, l'amore lo era ancora di più.

Camminò in mezzo alla nebbia lattiginosa seguendo più il suo istinto che i suoi occhi per orientarsi fra le varie strade che percorse, in preda ai suoi foschi pensieri che così bene si intonavano con quel giorno, o che forse, più semplicemente, ad esso andavano adattandosi: così come è difficile non sentirsi tristi in un giorno di pioggia, o rinfrancati in un giorno di sole, allo stesso modo si finisce per sentirsi sempre sperduti e inquieti, quando si è circondati dalla bruma.

A.C.U.M.E. spa, la società dei Cacciatori di mostriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora