<<Camille.>> rispondo bruscamente, stringendogli apaticamente la mano. Chiusa qui sola con un perfetto estraneo, di bene in meglio.
<<Camille, sicuramente non americana. Che bel nome, francese?>> sorride.
Ma dico, come può essere così rilassato in questa situazione?
<<Esatto, francese. No, non di Parigi, prima che tu me lo chieda. Voi americani fate sempre così. Non esiste solo Parigi. Ti saluto.>> sbuffo e chiudo la porta davanti ai suoi occhi, serrandolo fuori.
<<Non di Parigi, ma simpatica.>> lo sento borbottare, per poi udire i suoi passi allontanarsi dalla mia stanza.Non sono sempre così fredda e acida, ma sto uscendo fuori di testa in questo momento. Non è esattamente il momento giusto per quel Dylan per venire qui e provare a fare amicizia. D'accordo, siamo in quarantena insieme, ma non per questo dobbiamo diventare meilleurs amis.
Mi butto sul letto e fisso il soffitto, osservando un velo di polvere fluttuare nell'aria, colpita da un flebile raggio di luce, filtrato dalle nuvole scure.
Sta per piovere, come sempre qui a Vienna. Le giornate di puro sole sono molto rare, ma ciò non mi dispiace mai particolarmente. Amo la pioggia, il suo profumo, il suo dolce rumore. Ha sempre cullato le mie prime notti insonni in questo studentato, quando mi mancava casa.
Sì, casa.Sposto lo sguardo sul pannello di sughero appeso sopra la scrivania, dove ho fissato alcune foto.
Foto della mia Marsiglia, con i suoi palazzi bianchissimi dal tetto scuro luccicante, colpito dalla luce del sole. Foto della mia famiglia sorridente in una delle nostre vacanze in montagna. Foto del mio papà, con un'espressione concentratissima sul viso, intento in un barbecue nel nostro giardino. Foto di me insieme a Lucas, Cécile e Enrique, i miei migliori amici, ad una delle nostre serate in discoteca, la nostra preferita, in rue d'Avignon.
Senza pensarci, mi alzo per sfiorare quelle immagini. Con il dito, accarezzo dolcemente i loro visi, mentre una lacrima bagna il mio zigomo.
<<Tornerò presto, ve lo prometto, mes amours. Andrà tutto bene.>>🍃🍃🍃
<<È permesso?>> chiede, bussando sulla porta della mia stanza.
Quella voce calda e profonda mi sveglia dal mio sonno. Strofino gli occhi con il palmo, sbavando un po' il mascara, ma poco mi importa ormai. Lancio un'occhiata all'orologio sul comodino, che segna la diciannove e quaranta. Ho dormito per quattro ore durante il pomeriggio? Non succede mai, probabilmente è stata la tensione accumulata di questa tremenda giornata.
Mi alzo e apro la porta, per poi trovarmi davanti Dylan. La cosa un po' mi sorprende, per poi ricordarmi che effettivamente poteva essere solo lui, dato che siamo soli qui.<<Volevo chiederti se hai fame. Io sto preparando la cena nella cucina di sotto.>> dice.
Vedo la sua espressione cambiare nel momento in cui nota i miei occhi gonfi e arrossati dal pianto, le guance rosse rigate dal mascara a causa delle lacrime e i capelli arruffati.
<<Hei, stai bene?>> chiede preoccupato, poggiando una mano sulla mia spalla.
Annuisco, tirando su con il naso per evitare di scoppiare a piangere davanti a lui.
Fallisco, sentendo i miei occhi bagnarsi nuovamente.
<<Oh no, Camille.>> si avvicina a me ed io abbasso lo sguardo.
Sfiora con estrema delicatezza le mie guance per scacciare le lacrime, come se fossi di porcellana e avesse paura di spezzarmi.
<<Hei, guardami.>> sussurra. Timidamente punto i miei occhi nei suoi.
<<È tutto okay. Si aggiusterà tutto. Va tutto bene.>> ripete, sorridendomi.
Cerco di ricambiare, sforzandomi di almeno accennare un sorriso.<<Vorrei stare un po' da sola.>> dico, allontanandomi un po' da lui.
<<Io invece credo che ti farebbe scendere con me->>
<<No. Sul serio, lasciami sola perfavore.>> confermo infastidita.
Lui sembra contrariato, ma annuisce e chiude la porta.È strano quel che è appena successo. Mi ha consolata come se mi conoscesse davvero.
Scuoto la testa.
Che strano.Dopo qualche ora, quando la fame inizia a farsi sentire nonostante siano ormai le undici, scendo le scale e mi dirigo verso la grande cucina. Immensa, progettata per un gran numero di studenti, ora sembra ancora più grande. Vuota solo per me.
Noto un piatto coperto sul tavolo.
Mi avvicino incuriosita, richiamata dal leggero profumo che ancora emana.
Sopra c'è un biglietto, un pezzettino di carta a quadretti un po' stropicciato con una calligrafia disordinata.Per Camil. Spero si scriva così, non so il francese purtroppo.
Mi lasciò sfuggire una risatina per quel suo errore nello spelling del mio nome, e continuo a leggere.
So cucinare poco e male, ma questa è la mia specialità. Pasta al pomodoro italiano.
Nonna è italiana. Quando vorrai, potrò insegnarti la ricetta segreta, e magari tu puoi insegnarmi qualche cosa tipica francese tipo le crêpes (questo so scriverlo), tanto abbiamo tanto tempo.
Nel frattempo, mangia che è buono.
Dylan (stanza 132)È veramente un gesto dolce e inaspettato, nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me.
E lui, sconosciuto, lo aveva fatto.
È un gesto così semplice, ma allo stesso tempo così bello, così gradito, così premuroso.
Cucinare mi piace moltissimo, e credo sia una delle cose migliori del mondo cucinare per qualcuno. Preparare accuratamente apposta per lui, pensare cosa potrebbe piacergli e invece cosa evitare.Gusto la pasta di Dylan, ormai fredda, ma comunque deliziosa. Non un piatto particolarmente ricercato o complicato, ma sicuramente delizioso, con quella salsa di pomodoro che stuzzica le mie papille.
Lavo i piatti, notando con piacere la cucina già pulita dal mio ormai coinquilino, e poi mi metto alla ricerca.
129, 130, 131... 132.
Busso decisa sulla porta color panna.
<<Avanti.>> esclama.
<<Hei, grazie mille, era buonissimo. È davvero stato un gesto bellissimo da parte tua.>> ringrazio, timidamente. Mi vergogno un po' del mio comportamento scortese di poco prima.
<<Figurati. Vorrei solo farti sentire un po' a casa.>> dice, con il suo solito sguardo dolce.
E con quella semplice frase, con quell'atteggiamento nei miei confronti, riesce a farmi sentire meglio.
<<Grazie davvero. E comunque, il mio nome si scrive Camille, non Camil.>> preciso, riferendomi al suo biglietto.
Sbatte la mano sulla fronte, fingendosi affranto.
<<Cavolo, dovrai insegnarmi il francese.>>
<<D'accordo. Bonne nuit allora.>>
<<Scusa?>> chiede confuso.
<<Bonne nuit, significa buonanotte.>> spiego.
<<Oh, allora bonne nuit anche a te, Camille con due elle e una e.>> risponde.Ridacchio per via della sua forte cadenza americana, e mi reco nella mia stanza.
Maman dice sempre che l'accento americano rovina il francese.
Ma se l'americano è Dylan, non saprei.Lasciate una stellina e un commento.💛
so che questo primo capitolo è un po' triste ma prometto che mi farò perdonare nei prossimi!
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𝐀𝐩𝗼𝐜𝐚𝐥𝐢𝐬𝐬𝐞.- Dylan O'Brien ff
Hayran KurguVienna, 2020. Il mondo sotto una pandemia. Scenario apocalittico. Amuchina a prezzo dell'oro, mascherine vendute con il contagocce. Tempi del "ti va di salire da me a lavarti le mani?". Due ragazzi costretti in quarantena insieme nello stesso studen...