19 Ricordi

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Matteo si ritrovò ancora una volta  in uno dei suoi ormai abituali incubi ma questa volta ne era consapevole, capiva benissimo cosa stesse succedendo, si trovava in piedi in un corridoio abbastanza stretto, le pareti fatte da mattonelle di un verde scuro  spento, dietro di lui soltanto il buio, davanti a lui invece, la luce aumentava progressivamente, Matteo non vedeva la fine nonostante si sforzasse di capire cosa ci fosse in fondo a quel corridoio apparentemente infinito, ad un certo però si sentì colpito da un un senso di ansia che lo costrinse a guardarsi indietro, dove però regnava l'oscurità, ma proprio questa oscurità scatenò la paura che lo fece iniziare a correre nel senso opposto, quasi come se qualcuno o qualcosa lo stesse inseguendo, come se una volta iniziata quella frenetica corsa non potesse più smettere e intanto che avanzava correndo, la paura e l'ansia aumentavano senza un apparente motivo,  quel corridoio gli sembrò infinitamente lungo ma una volta arrivato alla fine l'ansia e la paura scomparvero, serenità e sicurezza presero il loro posto, non riusciva a controllare con un senso logico le sue emozioni, queste erano dettate probabilmente dal suo subconscio che nel sonno aveva la meglio sulla parte razionale, ora che era arrivato alla fine del corridoio la luce  non era più soffusa ma quasi accecante faceva apparire molto meglio le cose, il verde delle pareti che prima appariva spento e cupo ora era più simile a quello di uno splendido smeraldo, il pavimento da nero ora era bianco e anche la porta che era apparsa  difronte a lui  era bianca, sembrava quasi che il brutto incubo si fosse tramutato in un sogno angelico, questa idea però fu subito smentita quando aprí la porta, una volta dentro la luce tornò soffusa, il pavimento nero e le pareti spente e lugubri, la sicurezza e la serenità però non se ne erano andate. Una volta dentro Matteo iniziò a riconoscere le persone che lo avevano preceduto, era tutta la squadra, tutti seduti o accasciati, chi legato con delle catene al muro e chi sdraiato come se fosse pronto ad esalare il suo ultimo respiro, Matteo fece per avvicinarsi ad ognuno ma questi non lo riconoscevano, alcuni nemmeno lo vedevano, provò in tutti i modi a farsi riconoscere ma invano, cercò di far tornare in se stessi i cari e vecchi amici con cui aveva combattuto per suo fratello, ma anche questo tentativo non dette risultato, poi la luce si soffuse ancora di più e in quell'istante paura e ansia tornarono, questa volta però non c'era alcuna via di fuga, una voce calma e pacata  alle spalle di Matteo lo fece girare lentamente ed una volta girato riconobbe subito chi aveva difronte, ero io, ancora una volta il protagonista dei suoi incubi, come se ormai mi fossi tramutato nel suo Freddy Krueger personale, le mie parole suonavano come angeliche in mezzo a quella che a lui pareva una tempesta, con tono pacato e rilassato mi rivolsi a lui "Matteo, perché hai paura ?"
Tutta questa tranquillità nelle mie parole per lui era soltanto un pretesto per agitarsi ancora di più; mentre il sogno andava avanti questo gli appariva sempre più reale  ma nonostante questo mi rispose
Matteo:"Come fai a sapere che ho paura ?"
Io con tono sempre tranquillo gli risposi "Matte sei mio fratello, ti ho cresciuto io, so cosa provi solo da come respiri"
Il sogno sembrava sempre di più realtà  ma Matteo nonostante la paura non volette fermarsi
Matteo:"Perché stai facendo tutto questo ? Tu non sei così, tu non sei questo, perché li stai uccidendo tutti ?"
Io feci un espressione incuriosita, quasi stupita, mi trovavo difronte a lui e  nonostante la calma delle mie parole sembrava non funzionare continuai a parlargli con tono sereno ma rivelandogli  una lugubre ed altrettanto triste realtà a cui fin'ora lui non aveva fatto caso
"Matte io non ho ucciso nessuno, lo hai fatto tu, compresa Aurora "
Matteo guardò a lato e vide tutta la squadra senza più un briciolo di vita, poi imperversò dentro di lui una sensazione strana, quasi come un'empatia verso i suoi amici, riusciva a non sentire più il sangue scorrere nelle loro vene, abbassò lo sguardo mentre singhiozzava,  poi rialzò la testa e con i suoi grandi occhi innocenti mi guardò come per chiedermi aiuto, poi con l'aria che sembrava soffocarlo mi disse
Matteo:"Cosa stai dicendo ?"
Io gli risposi semplicemente
"Guardati le mani "
Fu così che Matteo abbassò lo sguardo ancora una volta  e si guardò le mani, queste erano completamente sporche di sangue e come se non bastasse nella mano sinistra impugnava una pistola, i suoi vestiti erano tutti macchiati di sangue, fu coltò così da una marea di emozioni che provate tutte insieme gli trafiggevano il cuore provocandogli un dolore immenso tanto da farlo inginocchiare, i sensi di colpa erano miliardi, le lacrime che percorrevano il suo viso erano fredde e trasparenti, ora aveva la testa rivolta verso il basso e lo sguardo perso nel vuoto, ebbe però il coraggio di chiedermi un'ultima cosa
Matteo:"Cosa mi sta succedendo ? Io non ho mai voluto questo, erano i miei amici e mia sorella, scusami se ti ho deluso, non potrò mai essere ai tuoi livelli, come posso rimediare a tutti questi errori ?"
Io mi abbassai a terra, gli tirai su la testa e lo accarezzai, poi con il solito tono soave gli risposi
"Sappi che qualunque cosa farai tu rimarrai sempre mio fratello, non importa se vinci o perdi, tu sarai sempre nel mio cuore ed io nel tuo"
Le mie parole però non servirono a farlo smettere di piangere, si alzò in piedi e come se fosse posseduto mi puntò la pistola addosso, sembrava quasi come se la sua mente non fosse collegata al corpo, le sue ultime parole assomigliarono più ad un lamento condito dalle lacrime
Matteo:"Non riesco a fermarmi fratello, aiutami "
Ed io gli risposi con la stessa semplicità con cui avevo iniziato la discussione
"Io sarò sempre pronto ad aiutarti , devi solo ricordarti che sono dentro al tuo cuore"
Poi mi sparò e mai come prima quel sogno sembrò reale, subito dopo  calò l'oscurità.
Dopo lo sparo Matteo riaprí gli occhi e iniziò a piangere come se tutto quello che aveva vissuto fosse successo veramente, i sensi di colpa per gli amici persi riaffiorarano come se veramente li avesse uccisi lui, ci mise più di un'ora a riprendere la calma, in quell'ora però i pensieri che  ad  ogni notte che passava si moltiplicavano non gli davano tregua, cercò di dare una spiegazione al suo ultimo sogno e lo interpretò come un esame di coscienza, come il bisogno di avermi accanto a fargli coraggio, come i sensi di colpa e i lutti degli amici che ancora non aveva elaborato, ma specialmente l'ansia e la paura di perdere gli ultimi rimasti nell'ultima missione che si avvicinava sempre di più .
Si fece una doccia e poi scese in salotto dove tutti ormai erano seduti a fare colazione, quella mattina si costruí l'ultimo e grande piano. Mentre Aurora e Matteo spiegavano, le teste  di Alessio, Sonny e Alessandro lavoravano, cercavano di percepire ogni minimo particolare da ogni più piccola  parola detta dai miei fratelli , una volta costruito il colpo si dovette fare la resa dei conti con la lista del materiale e delle ultime faccende da sbrigare, ognuno sapeva cosa fare, ognuno aveva un compito preciso da svolgere e fu così che subito dopo pranzo la squadra si divise.
Aurora se ne andò via con una delle macchine di Thomas che però sembrava identica alla sua, un'Audi R8 grigia, il suo compito era quello di pagare le armi di cui  Micael ci aveva gentilmente  rifornito giorni prima senza alcun pagamento, il punto di incontro era un bar non molto distante dal Duomo di Milano, lei fu la prima ad arrivare, così prese un caffè e si sedette, nell'attesa che il prima possibile Micael si fosse fatto vivo. Durante però questo attendere, il profumo dei pancake che erano appena stati fatti per un cliente del bar, gli inebriò i sensi tanto da farle venire in mente un ricordo parecchio lontano.
Si ricordò di una mattina in cui in casa nostra fu svegliata  da parecchi rumori e appunto per questi decise di scendere  al piano di sotto dove però al posto di un ladro trovò me, ero appena tornato dall'America per la prima volta e gli stavo cucinando i pancake per colazione, lei e Matteo non li avevano mai assaggiati prima di quel momento ed io che avevo vissuto per 6 mesi in America avevo anche imparato a cucinarli, durante la colazione di quella mattina in cui Matteo era assente poiché ancora nel letto a dormire, io e lei avemmo una discussione piuttosto curiosa
Aurora:"Quanto starai a casa ?"
Io dopo aver messo in bocca un boccone  cercai di evadere da quella domanda
"Non parliamo sempre di me dai, è cambiato qualcosa a Vespolate in questi sei mesi?"
Lei nonostante avesse capito il mio tentativo di cambiare discorso aggrottò le sopracciglia ma mi assecondò
Aurora:"No tutto uguale, anche se una cosa è cambiata, da quando non ci sei tu sembrerebbe che ci siamo meno risse al pub"
Io colsi subito il  tono di sarcasmo con cui me lo disse ma non mi feci abbattere da quel poco di acidità e malizia che fa di mia sorella una ragazza speciale, così le dissi
"Bhe ma senza di me la gente non trova um senso nel picchiarsi, poi diciamoci la verità sicuramente il pub compra anche meno whisky da quando sono partito"
Lei però volette troncarmi subito il discorso spensierato che avevo cercato di costruire sul nascere
Aurora:"Ti ho fatto una domanda, quanto resti ?"
Io le risposi quasi sottovoce come se mi vergognassi
"Tre giorni, poi devo tornare perforza, non ho scelta"
Lei smise di mangiare, si alzò ed in preda ad una fusione tra rabbia e dispiacere mi disse
Aurora:"Perché devi tornare ? Non puoi rimanere con noi ?"
Fu così la mia volta quella di troncare il discorso sul nascere e rispondere in modo freddo, evitando inutili drammi
"Devo tornare, non ti chiedo di capire adesso, ma un giorno avrai tutte le risposte che ora ti mancano"
Il suo ricordo terminava così con  la mia risposta fredda che non le lasciava spazio per rispondere, fu colpita da come il solo odore di un dolce potesse scatenarle in testa tante emozioni come quelle che sentiva alla pancia in quel momento, emozioni che non potette godersi poiché Micael era arrivato e dopo lo scambio di due chiacchiere e di una valigetta nera contenente la somma richiesta i due si divisero per tornare entrambi da dove erano venuti. Nel frattempo nella villa Alessandro sistemava tutta la sua tecnologia per il gran giorno, partí dalle cose più semplici come sintonizzare gli auricolari e le microspie o programmare ricevitori di frequenza e droni, finí poi per sistemare i cavi e i programmi che gli sarebbero serviti, proprio nel sistemare i cavi però se ne ruppe uno che gli riportò alla mente il giorno in cui ci conoscemmo; era da poco entrato nella sala di controllo degli informatici dell'FBI, ai tempi la base si trovava ancora a New York  e normalmente come ogni persona nuova in un ambiente ostile veniva deriso e schernito da chiunque compresi agenti e colleghi, proprio nel sistemare il suo computer uno dei cavi finì per rompersi e uno dei responsabili di quell'ala della struttura finí per urlargli contro, insultandolo e schernendolo, poi apparvi io che ero da quelle parti per scegliere uno degli hacker che mi avrebbe pulito da ogni mio reato commesso per le casse dello stato, assistendo a quella triste scena non potetti fare altro che scacciare quel avvoltoio che scaricava i problemi della  sua noiosa vita su un ragazzo appena arrivato
"Scommetto che tu quando sei arrivato eri più bravo di lui"
Gli dissi con tanto di quel sarcasmo da far intendere subito che quella breve frase avrebbe dovuto farlo sparire da quel posto, ma non lo fece e continuai "Scommetto anche che nessuno ti derideva e ti prendeva in giro, come ti sentivi quando succedeva ? Vuoi che te lo dico io ? Ti sentivi insignificante, una nullità, ma ora sei il responsabile e quindi pensi sia giusto rifare il male che hanno fatto a te, ma ricordati che quando esci da qua dentro, non sei nessuno , non hai amici, non hai parenti, non hai saputo nemmeno costruirti una famiglia e hai il coraggio di prendertela con un ragazzino, ci penso io a lui tu vai e cerca di non farti più vedere qui quando ci sono io." Quelle parole taglienti piene di sarcasmo e di rabbia avevano creato un aria di tensione molto alta, la sala era completamente in silenzio, nessuno osò aprire bocca perché sapeva la rilevanza del mio ruolo e sapeva che ero a conoscenza di vita, morte e miracoli di ognuno di loro, appena il responsabile se ne fu andato la tranquillità ripopolò quella stanza piena di informatici, Alessandro normalmente fu colpito dal vedere cosa avevo fatto per lui e non tardò a parlarmi
Alessandro:"Grazie, ma non avrai delle conseguenze per quello che hai detto e fatto ?"
Io gli risposi cordialmente con un sorriso sereno "No, gli agenti hanno un grado superiore agli informatici quindi quel che vi diciamo è un ordine non un consiglio"
Lui fece un sogghigno e si presentò, io feci lo stesso poi tirai fuori da un cassetto un cavo e gli dissi "Ricordati che qui non siamo più davanti ad un bancomat con un portatile pronti a confondere i suoi programmi e fargli sputare fuori soldi a ripetizione, qui siamo nella parte più oscura del mondo, le persone non sanno nemmeno che esistiamo, dobbiamo essere pronti ad ogni imprevisto, questa volta il cavo cel'ho io"
Gli diedi così il cavo che avevo preso dal cassetto lí a fianco e lui mi ringraziò, poi gli sorse una domanda essenziale
Alessandro:"Perché hai fatto questo per me ? Non sono nessuno"
Ed io con la pacatezza che faceva di me una persona tutt'altro che presuntuosa gli risposi " Bhe in primis perché odio i prepotenti e in secondo luogo perché ho letto il tuo fascicolo e voglio che tu sia il mio hacker personale e nessuno insulta il mio hacker personale"
Quella fu l'ultima frase che Alessandro ricordava di quel giorno, ma mentre cambiava il filo con uno di scorta che io gli avevo insegnato a portarsi sempre dietro, rideva, da solo, quasi come un fuori di testa o perlomeno fu questo il pensiero di Sonny che lo sentí ridere da solo senza un apparente motivo, lui stava preparando le armi che sarebbero servite, prendeva tutto l'occorrente facendo anche qualche aggiunta per gli imprevisti che non li avevano mollati un attimo dall'inizio dell'operazione. Proprio mentre sistemava, cadde a  terra una pistola, una 44 Magnum per l'esattezza, quella pistola gli fece tornare in mente il giorno in cui io gli presentai Aurora, che all'epoca era solo una bambina, infatti Sonny quel giorno era passato a salutarmi poiché si trovava da quelle parti per via di un raduno di motociclette per cui un tempo era un gran appassionato, eravamo in casa mia e mentre sorseggiavamo una birra tirò fuori una pistola uguale a quella che gli era appena caduta e la appoggiò sul tavolino, io con un tono un po' più preoccupato del solito gli dissi " Non lasciarla in giro, c'è a casa mia sorella e non voglio che veda tutto questo, voglio tenerla allo scuro di tutto fino a quando potrò, se io mi trovo in questi giri non lo dovrà essere anche lei"
Sonny rimase stupito, non tanto per le mie parole, ma poiché non gli avevo mai detto di avere una sorella
Sonny:"Hai una sorella ? Da quando ?"
Io ripresi a scherzare e gli dissi "Da un paio di giorni " poi Aurora entrò nel salotto dove eravamo bellamente seduti io e Sonny,  i due si presentarono, ma negli occhi di Sonny si era accesa una luce che non vedevo accendersi da parecchio tempo, Aurora ai tempi non era la stessa che è ora, infatti era molto timida e tranquilla, senza un filo di malizia o pessimismo, probabilmente non sapeva nemmeno cosa fosse il sarcasmo, amava la vita nonostante gli avesse portato via i genitori, vedeva tutto a colori vivaci ed aveva sempre un gran sorriso, dopo essersi presentata infatti tornò in camera sua lasciando me e la sua nuova conoscenza ancora un volta da soli, Sonny sembrava incuriosito, iniziò così a farmi mille domande a cui io rispondevo senza sosta
Sonny:"Come ha detto che si chiama?"
Io:"Ma te lo ha appena detto e già non te lo ricordi ? Aurora"
Sonny:"Ah sì giusto mi ero distratto, ha finito scuola ?"
Io:"Si, da poco"
Sonny:"Cosa ha studiato?"
Io:"Ma non potevi chiederlo a lei?"
Sonny:"Quanti anni ha ?"
Io:"È piccola e anche tra trenta anni sarà piccola , altre domande del cazzo ?"
Sonny si rese conto che forse aveva mostrato un po' troppo interesse e fu così che cerco di scherzarci su
Sonny:"Ma si stai tranquillo, solo che se a te appargono le sorelle come i funghi non è colpa mia"
Io in modo insensato e senza ogni logica gli risposi in modo un po' scazzato ma con tono allegro "Tu sei un fungo", quell'ultima frase che la sua mente ricordava lo fece sorridere, poi raccolse la pistola e la sistemò insieme a tutto il resto.
In un bar vicino alla base segreta invece Alessio stava prendendo un caffè, era andato per fare un sopralluogo e capire bene tutte le entrate, le uscite e ogni restante buco da cui si potesse uscire o entrare da quella struttura ben congegnata, ma proprio mentre aspettava il suo caffè al bancone scorse tra la lunga trafila di alcolici il whisky con cui fece la sua prima sbronza, si chiamava Jameson Whisky ed era irlandese, ricordava molto bene quella sbronza poiché non era un alcolico di qualità, anzi tutt'altro, ma i ricordi non erano solo brutti, infatti la sola vista lo trasportò indietro nel tempo con la mente, quella sera, era insieme a me, chi d'altronde all'infuori di me poteva fargli iniziare a bere il whisky, a quell'età, avevamo solo quattordici anni, prendemmo la nostra prima sbandata ad un età forse un po' precoce, quella sera continuammo a bere, ridere e scherzare, ci conoscevamo da quando eravamo piccoli, non che lì fossimo grandi certo, però erano già passati degli anni, siamo sempre stati noi due soli contro tutto e tutti, quella sera un gruppetto di figli di papà non aveva altro da fare che continuare a fissarci male, passarci di fianco e spingerci volontariamente, erano in 5, ma non ci faceva paura il numero, semplicemente non avevamo voglia di andare nelle grane, quell'intenzione  però fu subito smentita fuori dal bar quando una volta usciti uno di loro ebbe il coraggio di sputarmi su una scarpa, mi ricordo bene che non feci in tempo ad abbassare lo sguardo per vedere il danno fatto che Alessio iniziò a prendere a pugni il colpevole, che normalmente venne difeso dai suoi amici che però non avendo idea di come eravamo cresciuti noi, cioè a pane e schiaffi, finirono solo per andare a casa pieni di dolori, io e Alessio non ci fecimo quasi nulla e finita quella piccola, movimentata discussione ci accendemmo una sigaretta ed iniziammo a parlare , iniziai io il discorso "Grazie Ale, so che su di te posso sempre contare"
Alessio:"Certo che puoi, ma ora mi devi pagare un altro bicchiere perché ho sete"
Io mi misi a ridere per poi rispondergli sempre con un filo di sarcasmo"Ma se non ti reggi in piedi, cosa vuoi bere ancora?"
Lui però sempre più convinto continuò
Alessio:"Dai non fare polemiche un bicchiere e poi si va a nanna"
Io acconsentí e lui ribadì
Alessio:"So che su di te posso sempre contare"
Io gli sorrisi e feci per entrare nel bar ma uno volta dentro pensando che lui mi stesse seguendo mi girai e non lo vidi dietro di me, tornai quindi fuori e lo trovai piegato in due con del vomito ovunque, mi misi a ridere e gli dissi "Mi sa che te lo pago un altro giorno il bicchiere"
Lui mi rispose ridendo  come se fosse un gioco
Alessio:"Vaffanculo, io non lo bevo più quel whisky di merda"
Fu questa l'ultima frase che riportò la mente di Alessio al presente, durante quel suo viaggio temporale e mentale aveva fissato imperterrito il seno della barista che per giunta se ne era accorta, il caffè si era pure fatto freddo ma Alessio notate le forme della barista inizò a provarci, lei non sembrava dispiaciuta, tanto da lasciargli il numero, una volta uscito dal bar con il bigliettino del numero in mano Alessio pensò "Se ne esco vivo, questa qui la chiamo" e così che tornò alla villa.
Matteo quel pomeriggio lo passò a ripassare e ripassare il piano e quando ebbe finito si era fatta sera, dopo mangiato andarono tutti a letto presto, riinizò così a pensare al sogno, alle sue paure ed alle sue sicurezze, il giorno dopo sarebbe finito tutto, nel male o nel bene, il cuore gli diceva di continuare ma la testa aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere, si sentiva in mezzo alle due parti ed era quasi in preda al panico, combattuto da ogni cosa, poi però si ricordò perché era lì, si ricordò cosa aveva fatto, si ricordò specialmente le mie ultime parole nel sogno "Io sarò sempre pronto ad aiutarti, devi solo ricordarti che sono dentro al tuo cuore"
Fu così che dopo aver rimembrato quelle parole si mise una mano sul cuore, chiuse gli occhi e magicamente tutti i pensieri che aveva sparirono, ne rimase uno solo, questo era intenso più che mai quella sera, il giorno dopo la parte oscura, non sarebbe più esistita e a distruggerla sarebbe stato lui.

La parte oscura Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora