66. NOVITÀ SORPRENDENTI

42 10 7
                                    

MARTA
Stavo dormendo, finalmente ci ero riuscita. Ero riuscita chiudere gli occhi dopo giorni di insonnia, quando però un fastidioso rumore nella mia stanza mi sveglia.
Mi giro e mi rigiro nel letto cercando di riprendere sonno, ma oramai è tutto inutile. Mia madre continua a camminare avanti e indietro con quei dannati tacchi per tutta la stanza.
«Mamma, per favore, puoi stare ferma?»
«Marta, Daniel è ... » mia madre lascia la frase in sospeso, facendomi capire comunque benissimo cosa stesse per dirmi. Improvvisamente tutto intorno a me diventa nero. Non riesco a dire più nulla, mi sento paralizzata, come se una parte di me fosse morta assieme a lui. Fisso il vuoto con gli occhi spalancati immersi dalle lacrime.
«No...non può essere...» i medici erano positivi riguardo il recupero. Com'è possibile?!
Mi alzo di scatto dal letto e corro verso la sua stanza col camice bianco addosso, ancora scalza. Non posso crederci che se ne sia andato, così all'improvviso. Come farò ora senza di lui?
Mi sento persa, vuota, colpevole. Nulla avrà più senso ormai, senza di lui.
Giunta davanti alla sua stanza, appoggio il viso al vetro per guardare dentro e mi accorgo che dal pavimento iniziano a nascere lunghi arbusti morti dotati di spine. Ma cosa sta succedendo? Sono confusa.
Apro la porta per saperne di più e, con sorpresa, vedo Daniel che mi sorride, senza dire nulla. Il suo sguardo mi immobilizza emanando serenità. Ad un tratto afferra la bacinella che si trova sul comodino accanto al letto. È colma di glitter rosa, e Daniel inizia a spargerli lungo tutta la stanza come fossero polvere magica. Dire magica, tuttavia, risulta il termine più adatto, dato che gli arbusti, non appena entrano a contatto con quei glitter, come per magia si ritirano, lasciando miracolosamente spazio ad un immenso prato verde profumato. Fisso Daniel negli occhi spaventata, e lui mi pone la mano. Lo guardo storta, quasi confusa. Quando mi decido ad afferrarla, mi accordo di non riuscirci più perché lui si sta allontanando sempre più da me. Poi mi dice addio e, dopo essersi voltato, se ne va senza aggiungere altro.

Mi sveglio di scatto tutta sudata e mi guardo attorno. La stanza è vuota. Guardo l'orario e, sorpresa, mi accorgo che sono solamente le tre di notte. Ho fatto un sogno terribile, un incubo. L'ansia e l'angoscia di questo periodo mi stanno divorando dentro.
Mi alzo dal letto, indosso quell'orribile vestaglia bianca e, senza far rumore, mi dirigo fuori sul terrazzo per fumare una sigaretta. Ho bisogno di sciogliere i nervi. Ammiro il cielo stellato e ripenso alla sera prima di capodanno quando, in quella veranda, io e Daniel eravamo abbracciati ed io mi sentivo protetta, a casa. Ma adesso è cambiato tutto, e non so nemmeno se mai si sveglierà.

Finalmente è arrivata l'ora delle visite. Questa notte ho dormito pochissimo e anche adesso non riesco assolutamente a prendere sonno. Avevo davvero bisogno di chiacchierare con qualcuno, e mia madre mi ha salvata.
«Grazie mamma per essere venuta subito» le dico.
«Ma figurati tesoro! Comunque c'è una bellissima notizia: abbiamo avuto i risultati della TAC e non hai alcun tipo di trauma o lesione. Niente di niente. Quindi ti tratterranno ancora un paio di giorni per ulteriori controlli e poi, finalmente, potremo tornare a casa» mi annuncia con un sorriso a trentadue denti, ma io riesco a farle solo un piccolo sorriso perché in realtà non ero affatto preoccupata per la mia salute, ma per quella del ragazzo che amo e che ha sacrificato la sua vita per me. E come se non bastasse so che mi sentirò in colpa quando io potrò lasciare questo ospedale mentre lui, invece, sarà ancora qua.
«Tesoro so che è difficile - mi prende dolcemente la mano percependo la mia preoccupazione - ma devi essere forte. E comunque Daniel mi sembra un osso duro, non credo si arrenderà tanto facilmente. Stai tranquilla» cerca di rasserenarmi. Il suo sorriso è così dolce che riesce a colmare leggermente la mia ansia.
Veniamo distratte dalle urla di Ginevra. Mi alzo incuriosita ed esco dalla porta. Sono nell'atrio e cerco di vedere chi è che ha davanti. Ginevra è di spalle, in piedi davanti a Nora, come un felino che sta per attaccare il nemico per difendere il suo cucciolo. Nora si stringe alle sue gambe spaventata. Ma che cosa sta succedendo?
«Te ne devi andare, non abbiamo bisogno di te» la sento urlare.
«Ginny ti prego, sono i miei figli.»
I miei figli? Quindi questo significa che sta parlando con il padre di Daniel e Nora!
«I tuoi figli?! Erano tuoi figli anche quando hai deciso di abbandonarci, eppure non mi sembra che ti sia fatto tanti problemi ad andartene senza preavviso! Ma lo colleghi il cervello alla bocca prima di parlare? Perché a quanto pare non ti rendi proprio conto di quello che stai dicendo. E poi non chiamarmi mai più Ginny, ma semplicemente Ginevra. Non siamo più niente già da anni noi due» afferma seccatamente.
«Va bene, come vuoi, ma ti prego, lascia che continui ad aiutarvi» dice con tono supplicante. La sua voce non mi è nuova.
Vedo Ginevra voltarsi, dandogli le spalle senza ribattere a ciò che ha detto. Lo ignora e, dopo aver preso per mano Nora, si dirige verso di me. È proprio in quel momento che riesco a vedere che l'uomo con cui stava parlando è lo stesso che l'altro giorno vidi uscire dalla stanza di Daniel. Quindi significa che quell'uomo è suo padre! Ecco perché era nella sua stanza, ed ecco spiegato il bacio sulla fronte. Chissà quanti anni sono passati dall'ultima volta che Ginevra lo vide, dev'essere veramente scossa. È tornato proprio ora, ma perché?
«Marta, ti prego possiamo entrare?» mi chiede con voce affranta.
«Ma certo, venite» rispondo e, mentre guardo l'uomo, chiudo la porta.
Vorrei chiederle come si sente, cosa ci fa lui qui, cosa intendeva dire con "Lascia che continui ad aiutarvi" dato che Daniel mi ha detto che non si è fatto mai più sentire. Ma non me la sento di farle tutte queste domande. Così mi limito a chiederle come stesse.
«Non doveva tornare» risponde, ignorando completamente la mia domanda. Poi prosegue: «Cosa pretendeva di ottenere? Pensava che, dopo avergli donato un rene, lo avremmo perdonato e tutto sarebbe tornato come prima, come se niente fosse mai accaduto?» scoppia in un pianto disperato. Non l'ho mai vista così. Da quando la conosco è sempre stata una donna forte, determinata e sempre sorridente e dolce con tutti, persino con me il primo giorno che la conobbi. Ora invece sta mostrando la sua parte più fragile, e né io né mia madre sappiamo cosa dirle. Nora si avvicina dolcemente a lei dicendole di non piangere, mentre piange anche lei. Probabilmente è traumatizzata.
«Ehi, vuoi una bella cioccolata calda? - chiede mia madre alla piccola. - Qua vicino c'è un bellissimo bar. Ho sentito dire che fanno una cioccolata calda buonissima, possiamo aggiungerci anche la panna. Andiamo?» le sorride. Come per magia è riuscita a farla calmare e, dopo averla aiutata a mettersi il giubbotto, si incamminano per mano verso l'uscita. Io e Ginevra rimaniamo da sole. Adesso tocca a me. Non posso rimanere zitta a fissarla, devo aiutarla.
«Vuoi parlarmene?» mi azzardo di chiederle. Ginevra annuisce e, dopo essersi soffiata il naso, incomincia.
«Il primo dell'anno, quando arrivai qui in ospedale, ero distrutta. Avevo paura che Daniel morisse, e mi stavo spegnendo. Non riuscivo a reagire, nonostante avrei dovuto avendo un'altra figlia, oltretutto piccola, ma purtroppo non riuscivo a mantenere la lucidità. Ero nell'atrio a camminare avanti ed indietro in attesa di notizie sull'operazione di Daniel, Nora invece era con Roberto a fare una passeggiata. Non volevo che vedesse il fratello in quello stato, né tantomeno me, dato che non ero più la stessa. Ad un tratto arrivò un medico per avvisarmi che avevano trovato un donatore pronto ad operarsi immediatamente. In quel momento ho ricominciato a respirare. Sapevo che oltre al trapianto di rene stava subendo anche un altro intervento per rimuovere il proiettile, ma per lo meno era una bella notizia. Così, dopo aver terminato l'operazione, sono entrata nella stanza per vedere finalmente, dopo ore di attesa interminabili, mio figlio. Era là, disteso su quel letto di ospedale con il lenzuolo che lo copriva fino al petto. Il suo viso era pallido, ma anche violaceo in alcuni punti, probabilmente per i pugni presi. L'ho abbracciato, l'ho pregato di svegliarsi al più presto ma purtroppo ancora non si è deciso ad aprire gli occhi. Mentre ero lì, a piangere sul suo petto, è entrato lo stesso medico di qualche minuto prima per chiedermi se avessi voluto conoscere il donatore. Ovviamente ho detto sì, volevo ringraziarlo per essersi sottoposto così improvvisamente ad un intervento per salvare la vita di un ragazzo, la notte di capodanno. Mi sono avviata verso la stanza dove era ricoverato il salvatore di mio figlio e quando entrai, scoprii con sorpresa che si trattava di Edoardo, il mio ex marito, il padre di Daniel e Nora. Non so se Daniel ti ha raccontato com'è andata fra di noi...» si interrompe, ed io annuisco senza aggiungere altro. Lei sospira, disperata.
«È stato uno stronzo, non si è comportato da padre e non si è assunto le sue responsabilità. Cosa pretende di avere ora? Ormai è tardi» dice decisa. Non mi sembra intenzionata a perdonarlo. Ma come darle torto? L'ha abbandonata quando era incinta di Nora. Non l'ha sostenuta durante la gravidanza e neanche durante il parto e gli anni successivi. Nemmeno la conosce quella piccola creatura...
Sono triste per lei, non so davvero come aiutarla. Oggettivamente non ci sono molte parole di conforto da dire. Così mi limito ad abbracciarla, e lei si lascia cadere in un pianto disperato sul mio petto, come fosse una bambina. Sento le sue mani stringere i miei vestiti, mentre singhiozza disperata. Le accarezzo la schiena dolcemente e le sussurro di calmarsi, ma invano. Quella storia deve averla distrutta psicologicamente, come biasimarla.

GREEN EYES. A new start. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora