73. LAVORO DI GRUPPO A CASA DI LORENZO

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DANIEL
Sono sconvolto dalla stupidità di mia madre. Dopo tutto ciò che ha passato, è pronta a perdonare l'uomo che ha causato questo enorme dolore non solo a lei, ma anche a me e in qualche modo anche a Nora. E tutto questo solo per dei miseri regali ... beh, in realtà miseri non lo sono affatto, specialmente il mio. Ma cazzo non siamo fatti di pietra, e non può pretendere di aggiustare tutto in un battito di ciglia.
«È permesso?» dice un medico bussando alla porta.
«James, sei tu» dico riconoscendolo immediatamente.
«Sei il fidanzato della signorina Pietra, giusto? Daniel mi pare di ricordare» afferma.
«Si! Ciao, sei tu il mio fisioterapista?» chiedo.
«Esattamente, modestamente sono uno dei migliori, quindi scelgono quasi sempre me» afferma ironicamente per strapparmi un sorriso, e ci riesce.
«Sono contento di essere stato affidato a te» ammetto. Con Marta era stato più che competente, e soprattutto non è stato solo un buon medico, ma anche un bravo medico.
Sorride, e poi mi chiede cosa fosse successo. Così inizio a raccontare la storia, cosa che negli ultimi giorni ho fatto assiduamente. Ormai anche i muri la conoscono a memoria.
«Certo che tra te e la tua ragazza non so chi dei due sia più fortunato ultimamente» dice ovviamente con un velo di ironia. Io sospiro, e lui prosegue: «Comunque, il dolore si è un po' alleviato?» mi chiede.
«Insomma, tra i punti che mi hanno messo e i dolori a causa dei colpi ... diciamo che sono un po' un catorcio. Non mi sono mai sentito così impotente ... e non mi piace non avere controllo del mio corpo» sono frustrato.
«Cerca di farti forza, riuscirai sicuramente a rimetterti in carreggiata. Dopotutto non sei messo tanto peggio di Marta qualche mese fa: aveva problemi ad ambedue le gambe, e i suoi movimenti erano alquanto limitati. Io ovviamente, da medico, dovevo tranquillizzarla e cercare di darle forza psicologica rassicurandola e dicendole che mettendoci impegno e volontà ce l'avrebbe fatta. Ma parlando tra noi la sua condizione era alquanto grave, perché fidati, non è facile abituarsi a muoversi sulla sedia a rotelle, né tantomeno utilizzare le stampelle, così come non è facile nemmeno riuscire a riprendere il controllo delle gambe una volta guarite le fratture e le ferite. Quindi forza maschione» termina dandomi una pacca sulla spalla.
Ripenso a Marta e alla paura che le si leggeva negli occhi quando le medicavo il ginocchio, o quando provava ad alzarsi da sola con l'ausilio delle due sbarre in sala fisioterapia. Tremava così tanto, e non faceva altro che abbattersi in un primo momento. Solo col tempo poi ha riacquisito fiducia in se stessa, e sicuramente anche grazie al supporto che ha avuto non solo dalla sua famiglia, ma anche da me e da James. Adesso però è il mio turno, devo farcela.
«Sei pronto ad alzarti?» mi domanda.
«Si» no, non lo sono. Il dolore allo sterno è micidiale, i colpi che ho subito sono stati davvero forti. Cerco di mettermi a sedere aiutandomi con le braccia per poi mettere lentamente i piedi fuori dalle coperte. Rimango seduto sul lato del letto, sospirando per darmi forza prima di alzarmi.
«Sarà meno doloroso di quanto immagini, fidati. Su, alzati» mi incoraggia James.
Così, dopo aver preso un lungo profondo sospiro, mi faccio forza e mi alzo di scatto. Il dolore allo stomaco è durato solamente nel momento in cui ho fatto forza von gli addominali per alzarmi, ma adesso penso di stare bene.
«Come ti senti?» mi chiede.
«Meglio di quanto mi aspettassi, son sincero» finalmente mi sento un po' più tranquillo di prima.

***

MARTA
Dopo aver studiato tutta la mattina e aver pranzato a lavoro da mia madre, monto in sella per andare a trovare Daniel prima di dover andare a casa di Lorenzo.
Una volta parcheggiato lo scooter poco lontano dall'ospedale, mi accingo verso la stanza del mio ragazzo. Quando entro lo vedo immerso nei sogni, e sorrido, fino quando all'improvviso si sveglia emettendo un urlo.
«Ehi - dico avvicinandomi a lui per prendergli la mano - è tutto okay, era solo un sogno.»
Sta sudando e respira affannosamente. Gli riempio un bicchiere con acqua fresca e glielo porgo.
«Stai meglio?» chiedo mentre sorseggia l'acqua cercando di calmarsi. Lui annuisce senza rispondere. Così proseguo.
«Ci sono io adesso. Stai tranquillo.»
«Quello sparo ... non se ne va più via dalla mia testa, mi perseguita ed io non so più dove sbattere la testa.»
«Perché non vai in terapia a farti aiutare? Magari parlarne con qualcuno potrebbe esserti d'aiuto.»
«Perché io non ho i soldi che mi escono dal culo come a te ... » stava per continuare quando, diciamo per fortuna, si accorge di essere stato sgarbato.
«Scusa, mi dispiace. Non volevo prendermela con te, è solo che ... è difficile. Non sto bene, mia madre nemmeno, ho attacchi di panico e non ho soldi. In tutto questo devo ancora pagare tuo padre, e la faccenda con Luigi non è definitivamente chiusa. Alla lista delle sfortune ora si è aggiunto quel Lorenzo, e oggi sei anche da lui ed io ... »
Lo interrompo: «Ehi ehi ehi, stai calmo. Risolveremo tutto, te lo prometto.»
Daniel mi stringe forte a sé mentre affonda il viso sul mio petto per piangere come un bambino. Mi spiace che stia così, anche se ciò non gli dà il diritto di rispondermi in quel,a maniera, ma cercherò di passarci sopra per stavolta.

Arrivata a casa di Lorenzo noto che Naomi non è ancora arrivata, spero arrivi al più presto.
«Accomodati - mi dice cordialmente. - desideri un caffè?»
«Si, grazie.»
Mi guardo attorno, attirata dalla bellezza della casa. È super moderna e a dir poco mozzafiato. L'ingresso della casa è un'enorme sala composta da due enormi divani di pelle bianca ad isola con al centro un piccolo tavolino in cristallo. Dietro ad uno dei due divani vi è una televisione appesa al muro tanto grande da sembrare una sala cinema. Poco distante un camino in pietra e una parete organizzata a libreria dove si possono trovare libri di ogni genere e fotografie di famiglia.
Delle scale a chiocciola in legno portano al piano superiore, dove vi sono la camera da letto, la camera di Lorenzo, due bagni e due cabine armadio, anch'esse grandissime e allestite perfettamente nei minimi dettagli.
Un piccolo corridoio porta all'immensa cucina collegata ad un piccolo giardino privato, nel quale vi è un tavolo di vetro con sei sedie totali, e una piccola poltrona poco più avanti. Una scala esterna è collegata al balcone della sua stessa camera.
Lo osservo mentre prepara la moca da riempire con il caffè e mi accorgo di una fotografia attaccata con una calamita al frigorifero. Mi avvicino facendo finta di nulla per vedere più da vicino chi è il ragazzo accanto a lui e noto che si tratta di Cristian, il ragazzo dai capelli rossi. Nessuno dei due apparentemente sembrano dei criminali, ma evidentemente la regola "mai giudicare un libro dalla copertina" vale anche per le persone.
«Ti piace?» mi chiede cogliendomi alla sprovvista.
«È il tuo migliore amico?» domando per evitare di rispondere alla domanda.
«È mio cugino, ma è come un fratello per me. Mia madre è morta quando io avevo solo quattro anni. Non ricordo molto di lei, ho solo alcuni ricordi vaghi di quando mi leggeva la favola della buonanotte, ma nulla di più. Quegli anni sono stati terribili per mio padre, e sua cognata ci è stata molo d'aiuto nonostante anche lei stesse soffrendo per la morte improvvisa della sorella.»
«Com'è successo? Se posso chiedere, senza essere indiscreta.»
«Un terribile incidente in auto.»
«Cavolo, mi dispiace molto. Non lo sapevo.»
«Non lo sa nessuno.»
«Come mai me lo hai raccontato allora?»
«Ad essere sincero no lo so. Mi è venuto spontaneo raccontartelo. Non so perché.»
Rimango in silenzio, sentendomi a disagio, senza sapere cosa dire. Percependo il mio disagio, Lorenzo prende la palla al balzo e cambia discorso avvisandomi che il caffè sarà pronto a momenti.

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