71. NOVITÀ INASPETTE

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MARTA
Mi giro e mi rigiro sotto le coperte infastidita dal suono della sveglia. È già mattina, e i raggi del sole penetrano dalle fessure della finestra come per svegliarmi. Mi stropiccio gli occhi assonnata e, anche se la voglia non mi assiste, mi alzo per prepararmi, onde evitare di far tardi il primo giorno di rientro a scuola. Anzi, ora che ci penso oggi è la prima volta che guiderò la Vespa che mi ha regalato Daniel. Sono emozionata di doverla provare. Finalmente sarò indipendente e non dovrò più prendere la metropolitana. Mi mancherà solamente chiacchierare con Mirco durante il tragitto.
Dopo aver fatto il letto e sistemato perfettamente il pile ai piedi di questo, mi dirigo in cucina per prepararmi un caffè.
«Buongiorno mamma, buongiorno papà.»
«Buongiorno cara - rispondono in coro. - Pronta per rientrare a scuola?» prosegue mia madre.
«Non troppo ad essere sincera, sono un po' preoccupata per la situazione ... e per Daniel.»
«Forza, questa non è la mia Marta. La mia Marta è forte e non si abbatte così facilmente» dice mio padre cercando di incoraggiarmi.
Obiettivamente ha ragione, ma chiunque dopo una serie di eventi catastrofici, uno dietro l'altro, perderebbe la forza. In ogni caso devo mettercela tutta. Così gli sorrido e, dopo aver bevuto il caffè e aver mangiato alcuni biscotti con le gocce di cioccolata, torno in camera per prepararmi. Infilo dei jeans verdi militari, una maglietta attillata nera semplice e le solite scarpe nere. Poi vado in bagno e mi guardo allo specchio.
«Sembri appena uscita da un film di guerra» dico parlando a me stessa. Così attacco la piastra alla presa e mentre aspetto che si scaldi cerco di coprire le occhiaie con il correttore e a dare un po' di colore al mio viso bianco cadaverico. Fortunatamente la terra fa miracoli, e non sembro più uno zombie vivente. Terminato con il trucco, sistemo la pochette e afferro la piastra e, ciocca dopo ciocca, tento di dare senso ai miei capelli.
Dopo aver sistemato il bagno e raccolto i capelli per terra, metto il giubbotto, infilo lo zaino sulle spalle, afferro per la prima volta le chiavi dello scooter ed esco di casa. Appena varcata la soglia del portone faccio un sospiro pregando che la giornata vada per il meglio e, una volta cavalcata la sella, metto in moto e parto.

Arrivata davanti al cancello della scuola parcheggio al posto dove solitamente Daniel mette la sua moto. Mi manca, ma tanto oggi lo vedrò, quindi non devo essere triste.
Da lontano vedo Luca, Laura e gli altri. Mi dirigo da loro e, dopo aver salutato tutti, qualcuno bussa alla mia spalla destra.
«Mirco! Sei tornato finalmente!» dico, per poi gettarmi fra le sue braccia. Mi è mancato tantissimo, e devo ammettere che avrei proprio avuto proprio bisogno del suo supporto dopo l'accaduto.
«Scusami se non mi sono fatto sentire prima, ma ogni volta che ti chiamavo scattava la segreteria. Il fuso orario è sfalsato e non sono mai riuscito a beccarti...scusami tanto.»
«Stai tranquillo» dico sinceramente. Ma poi, non so perché, mentre lo abbraccio mi sale la voglia di piangere. Poggio con più forza il viso sul suo petto per non farmi vedere, ma lui capisce perfettamente che qualcosa non va. Le sue braccia mi avvolgono con gesto protettivo e le sue labbra mi baciano la fronte. A quel punto Mirco mi prende il viso tra le mani e mi fissa negli occhi.
«Non mi mancava vederti piangere - dice cercando di farmi sorridere. - Ma sei sempre bellissima.»
Com'è dolce, è davvero un ragazzo dal cuore d'oro. Nonostante l'errore che ha commesso, devo ammettere che senza di lui sarei persa. È un ottimo amico, e lo è stato fin dal primo momento in cui misi piede in questa scuola.
Fissa la mia cicatrice sulla fronte scrutando gli occhi, e poi mi chiede di raccontargli tutta la faccenda in ogni minimo dettaglio. Così faccio.
«...e poi ha sparato a Daniel, due volte» non riesco a completare la frase che altre lacrime iniziano a graffiarmi nuovamente il viso.
«Ma adesso è sveglio, il peggio è passato. Cerca di stare tranquilla.»
Io continuo a singhiozzare e poi, dopo essermi asciugata gli occhi, Mirco riprende.
«Piuttosto, io oggi dovrò andare in ospedale, ma non solo per andare a trovarlo, ma perché deve parlarmi suo fratello, Gabriel.»
«Come mai?» chiedo incurvando le sopracciglia.
«Ieri è andato a trovare Daniel per chiarire la situazione con lui. Pare vadano molto d'accordo nonostante si siano appena conosciuti. Comunque, mentre Daniel gli stava raccontando tutta la vicenda di Luigi, gli ha accennato anche alla storia della pistola puntata alla mia tempia da due uomini. E quindi ora vuole parlarmi per sapere tutto a riguardo.»
La mia attenzione si è focalizzata sul fatto che ieri Daniel ha conosciuto Gabriel e che non me ne abbia ancora parlato. Perché non me lo ha raccontato? Forse non ha voglia di discuterne con me? Questa notizia mi ha un po' amareggiata, e l'umore è sceso ancora più di prima.
«Tutto bene?» mi chiede Mirco, sempre in grado di leggermi negli occhi fin da quando mi ha conosciuta. Accenno solo un si col capo e poi gli chiedo come è stato passare il Natale e il Capodanno in America per cambiare discorso.
«Boston è una città meravigliosa! Non sono mai stato in America, e ritrovarmi a vivere momentaneamente là è stato strano. Andarci in estate dev'essere sicuramente più attraente, considerando che mio cognato ha una barca a vela con la quale è solito andare a pesca e a farsi una giornata in mezzo al mare mangiando pesce alla griglia.»
«Cavolo che spettacolo! Anche a me piacerebbe tanto visitarla» ammetto incantata dal racconto.
«Prima o poi ti ci porterò, parola di scout» dice facendo una V con le dita mentre tira fuori la lingua.
Scoppio in una risata e, dopo averlo ringraziato, gli domando com'è stato aver conosciuto la piccola Camilla.
«È stupenda ed è veramente piccola. È emozionante stringere tra le braccia una creatura così piccola, soprattutto sapendo di essere lo zio» dice fiero.
«Finalmente hai avuto l'onore di conoscerla.»
«Sì, anche se troppo tardi. Oramai ha già poco più di sette mesi.»
«Ma è l'età più bella quella: i primi passi, i primi versetti e i sorrisi spontanei che ti fanno in ogni momento. Io amo i bambini!»
«Sì, su questo hai ragione. Ma è la mia prima nipotina e avrei tanto voluto conoscerla appena nata. La distanza non ce lo ha permesso, e quindi l'ho potuto fare solamente ora» si sfoga emanando tristezza.
«Posso immaginare. Ma suvvia la vita è lunga, potrai passare tanti altri momenti felici con lei, vedrai.»
Mirco mi sorride e poi mi abbraccia. Veniamo interrotti dalla campanella che segna l'inizio della lezione e così, dopo averlo salutato, mi dirigo in classe assieme a Laura e Luca.
Una volta arrivata, mi siedo al banco e sistemo quaderno, astuccio e diario in un ordine quasi maniacale. Per sbaglio faccio cadere una penna per terra e, nel mentre mi chino per afferrarla, Naomi la schiaccia con il piede destro per impedirmi di prenderla. Mi tiro sù con la schiena per poi alzarmi in piedi.
«Alza il piede Naomi» la minaccio.
«Altrimenti?» ghigna con quel suo solito sorriso perfido.
«Ti prego, non è momento.»
«Siamo solo al primo giorno e già per te "non è momento"?!» mima le virgolette con le dita, per poi appoggiare le mani sui fianchi.
Senza risponderle, mi piego, afferro la penna da sotto la scarpa e la tiro con forza, facendola scivolare a terra.
«Non rompermi i coglioni Naomi, ti ho detto che non è momento. Quindi lasciami stare, non ho voglia di giocare con te» concludo vittoriosa, e mi metto a sedere senza degnarla di uno sguardo. Mi ha stancata, è dal primo giorno che mi odia senza alcun motivo. O meglio, il motivo è Daniel, ma non può continuare a tormentarmi per tutto l'anno scolastico. Se continua così si renderà conto di chi sono veramente. Sta giocando col fuoco.
La professoressa Merani entra in aula con la sua solita valigetta di pelle rossa e gli occhiali posti sulla punta del naso, donandole un'aria perfida, anche se in realtà è una bravissima donna.
«Buongiorno ragazzi! Oggi faremo un'attività leggermente diversa dal solito: vi dividerò in gruppi e dovrete lavorare sul concetto di "Inclusione a scuola". Dovrete come prima cosa esporre nozioni che possedete a riguardo ed idee personali. Poi a casa dovrete elaborare delle attività ipotetiche che fareste fare ad una quinta elementare qualora dovessero esserci bambini non integrati nel gruppo classe. Avrete due settimane di tempo per preparare una ricerca da presentare alla classe in PowerPoint e le attività da far fare ai vostri compagni fingendovi maestri. Loro, ovviamente, faranno finta di essere i bambini. Che ne pensate? Potrebbe essere utile come attività?»
Tutti i miei compagni si mostrano entusiasti a tale notizia, io invece un po' meno dato che ho una pronuncia inglese imbarazzante. Idee per le attività però ne ho tante, quindi speriamo di riuscire a fare un buon lavoro.
«Allora, i gruppi sono i seguenti: Laura, Marica e Gabriele fanno parte del Team 1; Luca, Jasmine e Tatiana sono i membri del Team 2; Naomi, Lorenzo e Marta formeranno il Team 3, ...» non presto attenzione alla creazione degli altri Team a causa della notizia di dover lavorare con Naomi. Ci guardiamo e lei, col suo solito sguardo perfido, mi guarda sorridendo. Tra tutte le persone con cui potevo lavorare, mi è capitata proprio lei. Questa è pura sfiga.

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