2. Buongiorno Presidente

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L'auto passò a prendermi puntuale come sempre e mentre guardavo fuori dal finestrino, assonnata come non mai, pensai al Presidente che mi aspettava. Sarebbe stato impeccabile ed io, come sempre, avrei faticato a mantenere un minimo di disinteresse nei suoi confronti.

Giuseppe Conte, la persona che mi aveva spinto a lasciare il familiare ambiente universitario per quel covo di vipere che era la politica.

Arrivai a destinazione e mi precipitai in bagno per controllare di essere ancora in ordine. Lo chignon era al suo posto e al trucco mancava solo un tocco di rossetto che non avevo fatto in tempo ad applicare. Rimediai grazie al fedele stick che portavo sempre in borsa.

Per mia fortuna, camicia, giacca e gonna non si erano spiegazzati troppo nel tragitto. Indossavo quasi sempre i pantaloni perché erano molto più comodi, ma per quella mattina avevo deciso di cambiare.

Dopo un ultimo sguardo allo specchio, decisi che ero abbastanza decente da presentarmi davanti all'uomo da cui ero innegabilmente attratta.

Bussai alla porta e la sua voce mi invitò ad entrare.

"Buongiorno," dissi entusiasta di vederlo.

"Buongiorno a te, Emma. Ti anticipo che mi serve la tua presenza anche domani. Mi spiace rovinarti il fine settimana, ma è in corso un'emergenza. Siediti e ti spiego meglio."

Il Presidente, in un elegante completo blu, mi illustrò nel dettaglio le misure che avrebbe messo in campo per contrastare la diffusione del virus. Avrebbe iniziato con un decreto che istituiva la Lombardia e altre 11 province come zona rossa. La questione si faceva sempre più complessa e non c'era un secondo da perdere.

Annotai tutti gli incontri della giornata, le comunicazioni da fare e ogni cosa che mi sembrasse opportuno ricordare.

Lo guardai e vidi tutto il peso della responsabilità che lo schiacciava. Era ansioso di fare il meglio per il paese, ma allo stesso tempo timoroso di non fare abbastanza.

Lo vedevo invecchiato di colpo, stanco, afflitto. Probabilmente non aveva chiuso occhio.

"Perfetto. Ho annotato tutto."

"Bene. Hai già fatto colazione?" chiese Giuseppe.

"Veramente no."

"Allora mi fai compagnia? Ho bisogno di un po' di normalità e tu sei la persona che ci si avvicina di più," disse facendomi un mezzo sorriso.

"Ma certo."

Giuseppe mi precedette per aprire la porta del suo studio e poi si fece da parte con galanteria. Adoravo il fatto che fosse sempre così cortese.

Appena fuori incontrammo Enrico. Lavorava a Palazzo Chigi già da qualche anno quando arrivai per la prima volta. Aveva all'incirca la mia età e ci aveva provato con me fin dal primo momento. Sfortunatamente per lui, non era decisamente il mio tipo e poi da quando avevo conosciuto Giuseppe, non c'era spazio per nessun altro.

Avevo rifiutato Enrico con gentilezza, ma non l'aveva presa affatto bene. Controllava ogni mia mossa e chissà come, me lo ritrovavo sempre tra i piedi.

Il rompiscatole per eccellenza salutò entrambi e poi mi chiese se poteva parlarmi in privato. Ovviamente allontanarmi da Giuseppe era l'ultima cosa che volevo, ma non volevo nemmeno fare la figura di quella che non collaborava con i colleghi.

Il Presidente propose di aspettarmi in caffetteria e così rimasi lì con quel maledetto rompiscatole.

"Allora, si può sapere che vuoi?"

"In realtà, volevo sapere da quanto te lo scopi. È solo una curiosità," disse alzando le spalle come se nulla fosse.

"Come, scusa?"

"Non fare la finta tonta. Non sei solo la sua assistente... Vi guardate in modo stucchevole e guai a chi osa avvicinarsi a te. Non me lo sono certo sognato, lo sguardo di fuoco che mi ha lanciato prima!"

"Non c'è niente di vero e poi, anche se fosse non sarebbero affari tuoi. Non ti conosco nemmeno," dissi decisa a mantenere un contegno.

Forse c'era molta confidenza tra me e Giuseppe, ma nulla di più. E lo sguardo di fuoco di cui parlava, quello se l'era sicuramente sognato. L'idiota era anche visionario.

"Non mi conosci perché non sei mai voluta uscire con me, non ricordi? Ma capisco che un semplice archivista non ti interessi. Miri molto più in alto... " concluse Enrico squadrandomi come se fossi una specie di scalatrice sociale senza scrupoli.

"Sei solo un idiota e non voglio nemmeno sprecare il mio tempo con te. Ma prova a parlarmi di nuovo in questo modo e ti farò perdere il posto."

"Dovrei avere paura?" chiese il moro dalla faccia da ebete.

"Esattamente."

Detto questo mi girai e iniziai a camminare verso la caffetteria.

Quello che aveva detto era falso, ma non riuscii ad evitare che la cattiveria di quelle parole mi ferisse. Non che mi sarebbe dispiaciuto essere più che una assistente, ma le maldicenze immotivate erano ingiuste.

Il Presidente aveva preso posto ad un tavolino con due sedie e su una delle due aveva appoggiato la sua giacca per segnalare che era occupata.

Era stato così gentile a volermi accanto a sé per fare colazione, ma sapevo bene che non aveva nessun secondo fine. Gli ricordavo la normalità che aveva prima di entrare in politica, niente di più.

"Eccomi qui. Mi dispiace per l'attesa" dissi avvicinandomi al tavolo.

Giuseppe mi sorrise e tolse la giacca dalla sedia. "Tutto bene? Hai una faccia strana."

"Non è niente..."

Mi guardò poco convinto. Si alzò per ordinare la colazione da farci portare al tavolo e quando tornò continuò a guardarmi dubbioso.

"È forse una questione di cuore? Stai insieme a quel tipo di prima?"

"Assolutamente no!" risposi con un po' troppa veemenza.

"Ma è evidente che c'entra qualcosa. Ti ha forse detto qualcosa di spiacevole?"

Si stava davvero preoccupando per me o lo faceva solo per via della sua naturale cortesia? E poi, potevo davvero dirgli la verità? Se lo avessi fatto, di sicuro Enrico avrebbe perso il posto. Non che non lo meritasse.

"Non voglio affliggere nessuno con i miei problemi. Davvero, non è nulla."

"Sì, che lo è. Dovresti essere sincera con me, non ti pare?"chiese stringendo le mie mani tra le sue al di sopra del tavolino.

"E va bene. Quel ragazzo di prima mi ha accusato di avere un rapporto non solo professionale con te," dissi guardandolo in imbarazzo.

"Che cosa? È uno scherzo?"

"Purtroppo no e diciamo che non è stato così elegante con le parole come lo sono stata io."

Volle conoscere ogni dettaglio di quella conversazione e dopodiché, pretese nome e cognome di quel beota di un archivista.

Chiamò subito il capo del personale pretendendo il licenziamento di quel maledetto. Purtroppo non riuscì ad essere accontentato, ma almeno ottenne che fosse spostato da Palazzo Chigi.

Enrico aveva una raccomandazione pesante a tenerlo a galla, era un parente di un importante politico italiano, uno degli intoccabili insomma.

"Sono riuscito a fare in modo che almeno tu non lo veda più. Va un po' meglio?" chiese Giuseppe accarezzandomi una guancia.

"Sì, grazie. Ma non era necessario tanto disturbo."

"Lavori con me da così tanto. Credi davvero che non farei niente, sapendo che qualcuno ti ha mancato di rispetto?"

"No, certo che no."

"Bene. Ora che abbiamo chiarito torno in ufficio. Grazie per la compagnia," disse sorridendomi prima di alzarsi e andare via.

Probabilmente Enrico non era il solo a sospettare che tra me e il Presidente ci fosse più di un semplice rapporto professionale. Le occhiate delle persone sedute nella caffetteria non lasciavano spazio a dubbi.

The key of my heart - Giuseppe ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora