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È passato quasi un mese dall'incendio e dopo aver parlato con George le cose vanno decisamente meglio fra di noi, è così bello tornare a parlare con lui.

Tutte le sere, prima di andare a dormire io racconto la mia giornata all'università e lui racconta a me del lavoro svolto alla Wayne Enterprises.

È passato quasi un mese anche dall'ultima volta in cui ho parlato con Jason, nell'ultimo periodo non ha fatto altro che evitarmi ed ogni mio tentativo di avvicinamento è stato vano.
Persino alle feste alla Wayne Enterprises è riuscito a non rivolgermi né una parola né uno sguardo.
Ogni qual volta i miei occhi incontravano i suoi riusciva velocemente ad interrompere il contatto e a svanire fra la folla.

Vorrei tanto poter raccontare tutto questo a qualcuno, ma purtroppo non posso decisamente dire a George che il figlio del suo capo è Robin, ne tantomeno posso dirgli che con molta probabilità il suo capo Bruce Wayne è Batman, anche se non ne ho le prove al momento è il mio unico sospetto.

Continuo a sorridere e ad annuire come un idiota mentre mio fratello mi spiega come il Signor Wayne lo abbia ringraziato per aver egregiamente organizzato non so quale apericena con un preavviso di quattro giorni e una lista parziale di invitati.

Dopo decisamente troppe parole perdo il filo del discorso entrando nel mio mondo, quel mondo in cui Jason ogni sera arriva alla mia finestra e mi accarezza il viso mentre ignara di tutto dormo.

Spesso nel cuore della notte mi sono svegliata con la sensazione del suo calore a contatto con la mia pelle, fosse stato vero avrei bruciato sotto quel tocco, quel tocco di cui ho potuto giovare per troppo poco tempo e che nonostante ciò mi manca terribilmente.

«ci sei ancora?» mi richiama George.

«si scusa» scuoto la testa tornando alla realtà.

«cosa c'è?» chiede mentre attento osserva il mio viso.

«nulla» sussurro abbassando lo sguardo.

«c'entra per caso un ragazzo?» chiede e il rossore improvviso delle gote mi impedisce di mentire, annuisco «chi è?» domanda.

Un ansia comincia pervadermi, non posso raccontargli tutto ciò che è successo, soprattutto non posso assolutamente dirgli che il figlio del suo capo era costantemente alla mia finestra.

«ho capito» sbuffa «non vuoi dirmelo» fa per alzarsi ma glielo impedisco stringendogli un braccio.

«non andare»

Mi guarda qualche istante prima di ritornare a sedersi sul letto in mia camera «okay» inspira «non puoi dirmi chi è?» espira.

Annuisco.

«oddio è un drogato?» chiede allarmato.

«cos?» lo guardo «no!» lo guardo perplessa.

«un assassino?» alza un sopracciglio.

«No!» urlo «smettila» gli intimo.

«allora è Jason?» sussulto arrossendo «cosa? No, ti pare, m-ma sei scemo c-che razza di domanda é, io e lui» sbuffo balbettando «no» affermo per convincere me stessa più che lui.

«si certo» sorride «guarda che all'ultima festa lo hanno notato tutti il modo in cui ti guardava e soprattutto come tu cercavi lui» alza nuovamente il sopracciglio «l'unica cosa non chiara è perché non vi siete parlati»

Sospiro «chiediglielo a lui, sono settimane che mi evita»

«hai provato a prenderlo in disparte?» chiede.

Annuisco.

«se ti evita senza alcun motivo è un coglione, lascia perdere, ci sono tanti pesci nel mare» asserisce per poi alzarsi con fare teatrale «adesso vado a prepararmi per il mio di pesce» mi bacia la fronte e sconvolta lo guardo andare in camera sua.

***

Nonostante il suono della sveglia è stato terribilmente fastidioso questa mattina, la voglia che ho di affrontare la giornata è decisamente troppo poca.

Questa mia pigrizia mi ha permesso di arrivare tardi e di rimanere fuori, mentre tutti gli altri seguono attenti la lezione.

Sbuffando mi accomodo sulla panchina fuori l'aula e comincio svogliatamente a girare le pagine di quel libro oramai consumato.

Vorrei studiare, ma il pensiero che Jason potesse arrivare da un momento all'altro me lo impedisce.

Dopo aver sfogliato tutto il capitolo rassegnata decido di andare a fumare.

Sfilo dal pacchetto quasi vuoto una sigaretta, prendo l'accendino, poso il libro nella borsa e mi dirigo verso l'esterno.

Il sole questa mattina è decisamente troppo caldo per la pesante felpa che indosso.

Accendo la sigaretta e dopo aver sospirato butto fuori il fumo.

La vista non è delle migliori, ma è proprio lì che noto Jason.

Poco distante da dove mi trovo lo osservo fumare, è solo, stanco e con lo sguardo perso nel vuoto.

Le occhiaie che contornano i suoi occhi mi bastano per capire la notte insonne che ha passato, probabilmente fra le strade, come al solito.

Lentamente comincio ad avvicinarmi e, per mia sorpresa, quando lo nota non si allontana come per settimane ha continuato a fare.

Quando sono abbastanza vicina noto le nocche rosse e gonfie delle sue mani.
Una strana sensazione mi pervade.
Perché continua a farsi del male così?
Per quanto nobile il suo gesto non capisco perché sacrificarsi così.

È terribilmente egoistico voler farlo smettere?
Forse sì, ma è più forte di me.
Non voglio gli succeda nulla, non voglio si ferisca urteriormente.

«sai che giorno è?» chiede spegnendo la sigaretta.

«che giorno è?» chiedo sussurrando.

«il 25 aprile» sussurra.

Il 25 aprile, quella data, la sua data.
La data che gli ha cambiato per sempre la vita.

«esattamente tre anni fa la vita dei miei genitori si è spezzata» sospira «mentre io sono ancora qui e non so che sto facendo» ora ha gli occhi lucidi.

Vorrei poter dire qualcosa, fargli tante di quelle domande ma non ci riesco, il suono del suo dolore è così forte da farmi mancare le parole così mi limito ad incrociare la sua mano con la mia.

«eravamo appena usciti dal ristorante, festeggiavamo il compleanno di mia madre» inspira «era veramente molto tardi e nella notte nessuno di noi era riuscito a vedere l'enorme camion venirci contro» butta fuori l'aria «forse se avessi smesso di parlare anche solo per un secondo mio padre avrebbe fatto più attenzione» una lacrima gli riga il volto «e sarebbe ancora qui»

Con un movimento lento mi ritrovo davanti a lui, comincio a guardarlo negli occhi «non è stata colpa tua» sussurro baciandogli la guancia su cui era caduta la lacrima.

Annuisce lentamente.

«è per questo che sei diventato Robin?» chiedo cautamente.

«l'uomo che ha ucciso la mia famiglia non si è fermato, dopo avermi rovinato la vita lui ha continuato la sua» sospira guardando qualcosa di impreciso dietro di me «dopo che Bruce ha deciso di tenermi con sé, io ho deciso che nessuno avrebbe più fatto del male e sarebbe rimasto impunito»

Il senso di colpa per i pensieri di poco fa si fanno strada in me, non avrei dovuto giudicarlo, ha sofferto e, a quanto pare, soffre ancora.

«devo andare» sussurra prima di scavalcarmi e scomparire alle mie spalle.

Avrei voluto fermarlo, stringerlo a me, invece, mi sono limitata ad ascoltare il rumore dei suoi passi allontanarsi da me, ancora una volta.

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