parte 21 (prosa)

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Mi ero appena messa alla scrivania quando squillò il cellulare che poco prima avevo lanciato sul letto.
  Sbuffai maledicendo la persona che mi stava chiamando, anche non sapendo chi fosse. “Sarà qualche compagno che vuole i compiti” pensai, alzandomi con fatica.
  Appena visto il nome di mio fratello sul display del cellulare, il mio cuore si fermò un attimo, mentre il resto del corpo si precipitava a rispondere alla chiamata.
  《Pronto?》
  《Ehi, ciao!》 la sua voce mi era mancata così tanto che solo sentendo quelle parole mi veniva quasi da piangere, ma mi trattenni.
  《Ciao! Come va lì?》 volevo sempre sapere se andandosene aveva trovato un posto migliore: così era da anni che gli chiedevo com’era il posto in cui era andato.
  《Tutto bene! In questo periodo il tempo è troppo sballato! 》
《Anche qui.》
  Seguì un silenzio del quale sapevamo entrambi il motivo: non si sentiva proprio bene a dirmi quanto fosse stato bello andarsene mentre io ero ancora intrappolata lì. Ma cercò di rimediare con un:
  《A casa tutto bene?》
  Risi.
  《Certo!》 dissi ancora ridendo, una risata sarcastica. Come se non sapesse che a casa la situazione era identica a come l’aveva lasciata anni fa e che forse era addirittura peggiorata, chissà.
  Sembrava una conversazione così normale, tra fratello e sorella che si raccontavano come andavano le cose, se qualcuno ci avesse sentiti parlare avrebbe sicuramente pensato che fosse davvero tutto bene, ma io e lui ci capivamo anche così: lui lo sapeva quanto me che a casa non andava bene.
Parlammo del più e del meno e la sua voce mi entrava dentro pian piano risvegliando ricordi e aumentando la mancanza. Ci raccontammo qualche ricordo, come quando mi portava con i suoi amici in giro perché la mamma lo obbligava.
Un giorno d’inverno aveva organizzato un’uscita con la slitta in una discesa molto ripida, la organizzava da tempo e quello era il giorno perfetto: il vento era fermo, la neve morbida, il ghiaccio durissimo e il freddo pungente.
  Si stava vestendo quando mia madre lo vide e gli disse di portare anche me, che a casa sarei rimasta da sola. Mio fratello si era arrabbiato perché doveva sempre portarmi in giro, ma non più di tanto perché mi voleva bene e andavamo molto d’accordo. Andavo d’accordo anche con i suoi amici ormai, tanto dalle volte che passavo il tempo con loro.
  Avevo messo giubbotto, guanti e sciarpa molto pesanti, perché in quel periodo dell’anno faceva freddo.
  Le slitte le aveva portato un suo caro amico, ormai caro anche mio.
  Arrivati lì, guardai la discesa che era troppo lunga per guardarla tutta: sembrava una montagna russa di cristallo, ma allo stesso tempo pareva anche molto pericolosa.
  Tutti si erano messi a preparare le corde da legare alle slitte, a lucidarle. Ero confusa sul fatto di essere lì, così andai da mio fratello, lo tirai per la manica e gli chiesi se potevo andare anche io con loro, giù per la discesa.
  《Sei pazza?》mi aveva risposto.
  E fu così che per quel giorno io restai in cima alla montagna -o quel che era- con una slitta piccola a girare nello stesso cerchio, mentre loro scendevano veloci con le loro slitte grandi e risalivano dopo circa venti minuti, tanto che era lunga quella discesa.
Ora a pensarci erano stati bei momenti, anche a guardarli soltanto.
Darei qualsiasi cosa per ritornare lì e guardare meglio mio fratello.

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