Un'altra settimana passa. Il venerdì, ormai, è diventato un giorno che tutti in quella casa attendono con enorme trepidazione e fomento, soprattutto per quanto riguarda la sera.Antonio ed Elena sono già seduti sul divano e sono inquieti da almeno 10 minuti come due ragazzini al parco giochi.
"Dai, mamma Rossella, raccontaci una storia!" Prende la parola, il primo, scimmiottando la voce di un bambino.
"Sì, dai, raccontaci tutto!" Fa eco anche l'altra con lo stesso tono infantile, perché non basta avere un idiota in casa, ne doveva avere per forza due. Che vita grama.
Rossella sospira sconsolata. Se riesce a sopravvivere a quella quarantena forzata con quei due menomati, come minimo dovrà accendere un cero alla Madonna, facciamo anche due. Afferra la sedia e si siede difronte a loro, guardandoli dritto negli occhi con estrema serietà.
"Voglio la vostra attenzione, ok? Il primo che fa commenti del cazzo, lo mando al Gemelli, capito? Non è facile quello che sto per raccontarvi." Sospira, evitando per un breve secondo di guardarli.
Gli altri due non proferiscono parola, ma fanno subito segno di aver capito molto bene, anche troppo per i gusti della donna più grande.
Da quella famosa chiacchierata che avemmo davanti ad un caffè, passarono giorni, tanti giorni. Non ricordo precisamente quanti, in realtà, ma ricordo che fu un periodo in cui lui era sempre impegnato tra incontri, convegni, tour in giro per l'Italia; non aveva neanche il tempo per scrivermi, poverino, e a malapena riusciva a mandarmi il buongiorno. Lo vedevo in TV, lo seguivo sui vari social: ogni giorno era in una città diversa a compiere i suoi doveri da presidente. Lui tagliava i nastri, io tagliavo i capelli, logico no? Pure gli stessi strumenti usavamo, eravamo destinati a stare insieme.
Quando finalmente tornò a Roma, ci tenne particolarmente a farmelo sapere a modo suo.
22 ottobre 2019:
Buongiorno Rossella, sono stato graziato dall'alto perché sono finalmente tornato nella Capitale, se non vedo almeno una faccia amica entro stasera, vado fuori di testa e sbotto persino a Rocco, lo giuro. G. C.
E infatti, dopo un paio d'ore, mi ritrovai a Palazzo Chigi. Quelli della sicurezza mi conoscevano talmente tanto bene che non mi chiedevano neanche più chi fossi. Chissà tutte le congetture che si erano fatti su di me e il Presidente, all'epoca, tutte le teorie strampalate su una nostra possibile relazione. Ero diventata la Monica Lewinsky dei poveri, ai loro occhi, seh...magari!
Mi fecero entrare nell'ufficio, vabbè... entrare è una grossa parola. Prima di arrivarci dovevo percorrere un lungo corridoio che attraversava, come minimo, una decina di camere e anticamere e il suo ufficio si trovava solo alla fine, un po' come i premi nei livelli dei videogiochi. Lui stava lì ad aspettarmi, potevo vederlo anche a distanza, nel suo completo blu che lo fasciava alla perfezione, nella sua posa elegante, con quel ciuffetto ribelle che cadeva con nonchalance sulla fronte; come sempre bellissimo. Avevo quasi voglia di macinare quei pochi metri che mi separavano da lui di corsa ed atterrargli addosso come un giocatore di Rugby. Quanto cazzo mi era mancato, Dio Mio, ma dovevo mantenere contegno, ovviamente, sono una donna adulta e lui è il Presidente. Due adulti.
"Hey." Disse, accennando un sorriso, quando riuscii finalmente a raggiungerlo.
"Hey." Risposi tranquillamente, come se non avessi percorso tutta Roma, fatto un centinaio di scale, un chilometro di corridoio solo per vederlo.
E poi non so come diavolo fosse successo o in quale posizione astrale fossero messi i pianeti, perché quel giorno non avevo neanche letto il mio oroscopo, ma se lo avessi fatto, sono sicura che ci avrei trovato scritto: "Pesci: conciatevi decentemente oggi, perché è probabile che, per botta di culo divina o grazie a Venere in favore, il Presidente del Consiglio possa sbattervi al muro e baciarvi come se non ci fosse un domani." E infatti, fu proprio quello che fece. Neanche il tempo di chiedergli i vari convenevoli di cortesia che mi aveva già attaccata allo stipite della porta senza tante cerimonie. Ci separammo dopo qualche minuto, forse ore, io non capivo più nulla ed ero completamente senza ossigeno.
"Scusami." Mi disse, tenendomi ancora stretta per la vita, ringraziando il cielo, perché se mi avesse lasciata, sarei crollata sul pavimento come una pera cotta. "Erano settimane che volevo farlo e quando ti ho vista arrivare, ne ho sentito l'esigenza."
No, ma fai pure, volevo dirgli. Fai di me quel che vuoi, non mi lamento mica se me lo dici con questo sguardo, se mi stringi con queste braccia. Ma si vede che il mio encefalo avesse smesso completamente di funzionare e di mandare input precisi alla bocca, poiché dissi: "No no, ci sta, è comprensibile. Capita."
Capita.
Sperai con tutta me stessa di sprofondare fino al centro della Terra.
Lui mi lanciò un'occhiata confusa, allentando quel caldo abbraccio e io ebbi conferma della debolezza delle mie gambe, perché feci un passo indietro per non perdere l'equilibrio. Come non mai, mi sentii sbagliata e fuori posto. Che diavolo ci facevo lì? Era la domanda che mi perseguitava dalla prima volta che ci misi piede. Lui ed io non facciamo parte neanche dello stesso Sistema Solare, eppure perché ero lì?
"Rossella..." Il suo tono era dispiaciuto. Gli avevo spezzato il cuore? Probabile. "Forse... forse..."
Neanche lui sapeva cosa dire. Dall'ufficio un telefono squillò.
"Resta qui, torno subito." Mi disse, prima di spostarsi verso la scrivania.
Io rimasi pietrificata sull'uscio per diversi secondi, mentre lo vedevo parlare al telefono, con i nostri sguardi che raramente s'incrociavano e ancora troppe domande che affollavano la mia mente. Perché ero lì?
Lui continuava a parlare e ogni tanto appuntava qualcosa sull'agenda. La sua voce era completamente diversa dall'istante prima, sembrava un altro uomo.
Io indietreggiai, ripercorsi il lungo corridoio, rifeci le scale, attraversai di nuovo Roma e tornai a casa. Ricordo quel giorno, nessuno di voi due era presente nell'appartamento, per fortuna, e mi chiusi in camera per un paio di giorni. A voi dissi che soffrivo di una gastrite fulminante, ma in realtà piansi come una ragazzina alla prima pena di amore. Lo so cosa vuoi dirmi, Elena, ciò stupì anche me. Ero sempre stata spigliata con gli uomini, avevo sempre avuto controllo delle mie emozioni, ma quella volta... Dio, quella volta ero stata completamente presa in contropiede e ancora oggi non riesco a non darmi della stupida per non aver affrontato la situazione nel migliore dei modi.
Silenzio.
"Dio." Antonio sbatte leggermente le palpebre, intontito, come se avesse appena aperto gli occhi da un lungo sonno.
"Già. Dio."
"Sei davvero scappata in quel modo?"
Rossella strinse appena le labbra, accennando un sì con la testa, sentendo tutta la tensione caderle addosso.
"Cavolo."
Nessuno ha il coraggio di aggiungere altro, tutto tace.
"Credo che per stasera sia tutto." Rossella si alza, seguita dagli sguardi smarriti degli altri due. "Buonanotte." Saluta, infine, velocemente, per poi sparire di nuovo nella propria stanza.
E anche un altro venerdì è concluso.
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La favorita del Presidente
أدب نسائيLa quarantena e la noia possono portare al completo delirio. E questo lo sanno fin troppo bene Elena e Antonio, due ragazzi normali, costretti a vivere con la follia della loro padrona di casa, Rossella, che sta vivendo quell'obbligata reclusione co...