Capitolo 12.

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“Cesare…” la voce di Nicolas arrivò come un sussurro distante all’orecchio.

Cesare era caduto in uno stato di dormiveglia, senza rendersene conto. Aveva invitato Nicolas quel pomeriggio, visto che aveva casa completamente libera, non c’era nemmeno Claudio. Potevano approfittarne per avere la loro privacy e lo avevano fatto. Quando avevano entrambi toccato l’apice del piacere, poi, Nicolas gli aveva tacitamente concesso di rimanere accucchiaiato dietro di lui – ormai aveva smesso anche di borbottare e lamentarsi, glielo lasciava fare ogni volta. Cesare aveva appoggiato la fronte fra le sue scapole e aveva finito col rilassarsi troppo, un po’ per il calore di Nic, che il piumone tratteneva ermeticamente, un po’ perché non si sentiva più i muscoli, dopo quell’orgasmo.

Nicolas scosse debolmente il suo braccio. “Cesare, devo andare in bagno” insistette, con voce pacata però, che non disturbasse Cesare.

Nooo” mugolò contrariato quest’ultimo, stringendo un po’ di più il braccio intorno ai fianchi di Nicolas, malgrado i suoi muscoli fossero ancora pigri, anestetizzati. Non aveva voglia di far entrare il fresco sotto le coperte, né di disincastrare le gambe da quelle di Nicolas.

Nicolas sbuffò, ma Cesare lo sentì comunque passare le dita contro il suo braccio, fargli i grattini.

Allora si sistemò un po’ meglio dietro di lui, spostandosi con le labbra dietro il suo collo. Poi inspirò, inalando l’odore della sua pelle, mentre prendeva aria per sospirare. “Fra cinque minuti.”

“Va bene…” gli concesse il più piccolo, poi aggiunse sottovoce, scontento “Viziato”.

Cesare non riuscì a trattenere un sorrisetto. Non è che avesse tutti i torti, Nic. Il fatto era che non gli andava di mollare la presa su di lui. Gli piaceva quel silenzio, quel buio in cui erano, loro due da soli, lontani da tutto e da tutti.

Sentì la testa di Nicolas sollevarsi dal braccio contro cui era posata, poi un momento dopo le sue labbra erano sullo stesso tratto di pelle ancora caldo, a lasciare un piccolo bacio. Cesare avrebbe voluto rimanerci tutta la serata, così.

Quando erano ormai passati più di dieci minuti e gli occhi minacciavano nuovamente di chiudersi, alla fine si dovette arrendere e lo lasciò alzarsi dal letto, anche se l’assenza improvvisa della sua pelle, al suo corpo sembrò totalmente sbagliata.

Nicolas però fece presto in bagno. Ma quando rientrò in camera, non tornò sotto le coperte. Si piegò a raccogliere i jeans dal pavimento, li infilò di fretta, lamentandosi da subito perché erano diventati gelidi.

“Non rimani a mangiare qua?” gli chiese Cesare, ancora prima che quelle parole passassero per l’anticamera del suo cervello.

Nicolas tirò fuori la testa dal colletto della felpa che aveva raccolto da terra in un altro angolo della stanza, i capelli gonfi uscirono fuori ancora più spettinati di prima. Si fermò a guardare Cesare attraverso il buio delle sette di sera. “I tuoi non tornano a casa?”

“No. Rientrano tardi” spiegò Cesare, sistemandosi il cuscino dietro la testa. “Dai. Ti cucino quello che vuoi” lo incitò, accompagnando la promessa con uno sguardo da cucciolo di cane. Poi picchiettò con una mano sul materasso, per fargli segno di tornare vicino a lui.

Nicolas pressò il labbro superiore contro quello inferiore, come era solito fare – Cesare aveva scoperto che quella sua abitudine gli faceva cose strane allo stomaco; questa volta però lo fece per cercare di nascondere un sorriso. Poi si sedette sul bordo del letto, una caviglia piegata sotto il sedere. “E va bene. Se me lo dici con quegli occhietti…”

Cesare piegò il braccio con un pugno chiuso, in segno di vittoria. “Sì! Sei il migliore, Nic.”

“Lo so” fece Nicolas, alzando una spalla. “Allora pasta col pesto stasera?”

arsenico // cesolasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora