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Harry si era addormentato sulla sedia accanto al letto di Louis e, quando quest'ultimo si svegliò, la vista di quella familiare figura, i suoi riccioli disordinati, la testa a ciondoloni sul petto quasi gli fecero passare il dolore. Quasi.
"Mh" gemette Louis, provando ad alzarsi. Harry alzò la testa di scatto e il liscio poté vedere le occhiaie, gli occhi rossi e le labbra gonfie di pianto. "Louis! Louis! Louis! O mio Dio, sei sveglio!" a queste parole Harry scoppiò a piangere, appoggiando la testa sul petto scarno del maggiore. "Haz" mugugnò "mi fai male." Il riccio si tirò su immediatamente. "Lou! O mio Dio, scusami, scusami tanto, sono un cretino-" "Haz, calmati, mi dici cos'è successo?" chiese con voce stanca il liscio. Harry sgranò gli occhi e gli raccontò tutto. "Mia mamma, devo andare, devo andare da mia mamma..." provò a dire il liscio tentando nuovamente di alzarsi, ma il riccio lo fece ridistendere delicatamente. "Lou, fermati subito. Sei troppo debole, così non aiuterai tua madre. Per di più c'è già Mark con lei." A quella notizia Louis si rilassò un poco, probabilmente anni prima l'avrebbe anzi fatto agitare di più, ma nell'ultimo periodo si trovava bene con il suo patrigno. "Dovrai seguire una terapia della durata di tre mesi e io mi assicurerò che tu faccia il tuo dovere per tornare-tornare in forma." Il riccio ricacciò indietro le lacrime. Louis sospirò e annuì, rassegnato. Sapeva che c'era qualcosa che non andava in lui, non pensava che fosse così grave, ma pure Zayn..."ZAYN! Anche lui ha il mio stesso problema, Haz! Avvertili!" gridò, temendo già il peggio. Il riccio capì al volo e chiamò subito i suoi amici, anche perché non aveva più detto loro cosa era successo al suo fidanzato.
"Niall-è anoressico, vi spiegherò meglio una volta a casa-passami Liam al volo-Liam, hai sentito-Zayn ha lo stesso problema di Louis, muoviti-okay, sta bene-fallo mangiare e digli delle condizioni di Louis ma rassicuralo, il dottore ha detto che devono sentirsi a proprio agio-okay ciao"
Anche Liam aveva voluto attaccare prima possibile, preoccupato com'era per il suo ragazzo. "Louis, domani potrai tornare a casa ma non farai più lezione a scuola, parteciperai via computer. La terapia inizia domani pomeriggio. Io starò sempre con te." Il riccio aveva parlato con un tono talmente apatico, indifferente, distaccato e freddo, un tono che non gli apparteneva per niente, che Louis si preoccupò. "Haz? Haz, va tutto bene?" chiese, allarmato. "Louis, certo. Sei tu che stai male." Un'altra volta quel tono atipico. "Haz, sei sicuro? Mi sembri diverso-" "LOUIS TI HO VISTO SVENIRE DAVANTI A ME TRA LE MIE BRACCIA NON HO FATTO NULLA PER AIUTARTI TU CI SEI SEMPRE STATO PER ME E IO SONO STATO TALMENTE EGOISTA DA NON RENDERMI CONTO DI NULLA IO NON TI MERITO FACCIO SCHIFO" gridò Harry, senza fermarsi, prima che le lacrime iniziassero, per la quarta volta in ventiquattr'ore, a scendere copiosamente. "HARRY" lo fermò Louis. "Harry" ripeté, più dolcemente. "Harry, amore, non è colpa tua, avevo questo problema da prima di conoscerti-" "LOUIS IO TI HO VISTO SENZA VESTITI E NON MI SONO ACCORTO DI NULLA" urlò di nuovo Harry. Ormai era accecato dalla tristezza, dalla rabbia e dal senso di colpa, oltre che dalle lacrime. "Harry, amore mio-" "Non chiamarmi amore, non merito di essere chiamato così, Lou, oh Lou, ho avuto così tanta paura di perderti, è tutta colpa mia" mormorò il riccio piangendo ancora, stavolta però più addolcito. "Harry, la colpa non è tua, la colpa non è di nessuno, tu mi hai aiutato, non ti sei accorto di niente perché non potevi aspettarti una cosa del genere, non me l'aspettavo nemmeno io..." Louis prese la mano di Harry nelle sue e la baciò. "Amore, io ti amo. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata e rifarei quest'errore mille volte, pur di incontrarti di nuovo" mormorò, guardandolo negli occhi. "Oh Lou" singhiozzò il più piccolo "anche io ti amo, mi dispiace tanto, mi dispiace tanto..." "Anche a me piccolo, ora faremo la terapia e vedrai anche andrà tutto bene."
Louis si intenerì nel pensare al fatto che fosse il riccio a dover essere consolato, e non lui, malato; quel ragazzino, di nemmeno vent'anni, aveva dovuto essere forte per troppo tempo.

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