Capitolo 18

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Gli amici non vivono semplicemente in armonia, come dicono alcuni, ma in melodia.
Henry David Thoreau


JENNEFER

Un caldo pomeriggi estivo, quando avevo cinque anni, avevo improvvisamente deciso che era un'impresa fattibile affrontare il percorso che era riservato ai ragazzi di almeno sedici anni. Mia madre si era distratta, una delle sue amiche le aveva chiesto come andassero quei primi mesi della gravidanza, e io, conscia del fatto che non mi stesse guardando, mi ero arrampicata lungo il tronco dell'albero per la prima parte del percorso.

Subito dopo di quello avrei dovuto oltrepassare una specie di scala a pioli posta in orizzontale, a cui mi sarei dovuta aggrappare solo con le braccia.

Ignara del pericolo ed euforica per essere arrivata così in alto, saltai. Mancai il piolo e caddi rovinosamente a terra. Mi ruppi il naso, il braccio, un piede e mi scoppiò la milza. Ricordavo chiaramente l'urlo di mia madre, i soccorsi, il medico dagli occhi azzurri che mi aveva salvato e che mi aveva detto che lo sapeva, che ero una bambina coraggiosa e biricchina, perché avevo gli occhi azzurri come lui. Quello stesso medico era diventato un caro amico di famiglia, che poi mia madre non mi aveva più fatto vedere. Ero stata operata d'urgenza e, a quanto ne sapevo, ne ero uscita per miracolo.

Quando mi ero svegliata, tre settimane dopo, non mi resi neanche conto del tempo che era passato e ricordavo solo tante lacrime di mia madre. Lo spavento e l'agitazione le avevano provocato un aborto spontaneo.

Non seppi bene perché mi tornò in mente quell'episodio, quando mi svegliai nell'infermeria di Hogwarts. Forse perché mi sentivo allo stesso modo. La stessa sensazione di avere la testa per aria, di sentirmi come una bambola di pezza, di non avere neanche la forza per aprire le palpebre. Eppure, con la stessa tenacia con cui affrontavo ogni cosa, aprii gli occhi.

La calda luce che invadeva ogni cosa mi fece pensare che probabilmente eravamo in pausa pranzo e me lo confermava l'appetitoso profumo che inondava la stanza.

«Jennefer» girai di scatto la testa, provocandomi un portentoso conato di vomito che mandò in frantumi il mio appetito.
«Albus...» mormorai, vedendo il ragazzo di fronte a me.
Mi prese immediatamente una mano e si alzò, «Te la senti di sederti?» mi chiese, con gentilezza.

Annuii e lui immediatamente si alzò. Mi circondò con le braccia e mi tirò su, mentre io mi aggrappavo a lui. Profumava di pulito, di lavanda e di una qualche fragranza maschile e leggera. Mi lasciò andare troppo presto contro i cuscini. Avevo voglia di rimanere ancora qualche secondo nel suo abbraccio, ma mi vergognai troppo a chiederlo. Abbassai lo sguardo e i miei avambracci candidi mi saltarono all'occhio. Non c'era segno di graffi o quant'altro.

Ma io sapevo la verità. Là sotto, nascosto da qualcosa, c'era l'incantesimo che avevo fatto quando avevamo dodici anni, l'incantesimo che, ci scommettevo, mi aveva salvato la vita, seppur non sapessi ancora le conseguenze.

Le mani di Albus entrarono nel mio campo visivo e mi sfiorò le vene bluastre, facendomi tremare. «Madama Pince è riuscita a curarti. Diceva che non avevi quasi più sangue nelle vene e che non abbia idea di come tu abbia fatto a rimanere viva» disse lui, con un tono così triste che mi fece immediatamente alzare la testa.
La sua espressione afflitta mi diede una stretta allo stomaco e con un movimento del braccio intrecciai le nostre dita.
Albus sorrise. «Tu non hai idea, vero, di quello che abbiamo visto io e Scorpius?» mi domandò a bassa voce, come se avesse persino paura di riesumare quel ricordo.
Scossi il capo, «No» mormorai a mia volta, quando mi resi conto che non poteva vedere il mio gesto.
«Eri lì, immobile e fredda come il ghiaccio, con il braccio completamente frastagliato e sangue, così tanto sangue, che sporcava ogni cosa. Madama Pince ci ha messo una vita, prima di riuscire a ripulirti» spiegò.
«Mi dispiace» dissi, continuando a fissarlo.
Fece un'amara risatina, «Non è colpa tua Jo, mi chiedo solo come tu sia finita in una situazione del genere» chiese, guardandomi finalmente negli occhi.
Non potevo neanche immaginare lo spavento che gli avevo fatto prendere. «Meriti una spiegazione, eh?» domandai con ironia, chiudendo un secondo gli occhi e cercando un modo per dirlo.
«Si, Jennefer, merito una spiegazione» ripeté con determinazione.

Slytherin's queen | Scorose FanFiction - Harry PotterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora