Giugno 1820, Isola di Montecristo
Quando ripresi coscienza, i capelli lunghi e morbidi di Torchio mi stavano solleticando il viso e il collo.Sbarrai gli occhi, spaventata da quell'improvvisa vicinanza e lo sciamano mi sorrise.
«Ben svegliata», esclamò, allontanandosi abbastanza da far calmare il mio cuore, che mi batteva furiosa in petto.
Ero sul punto di chiedere cosa fosse successo e magari di indispettirmi per quel risveglio brusco, ma il ricordo della grotta e dell'accesa conversazione col capitano David mi fecero arrossire vistosamente e le lamentele mi rimasero incastrate in gola.
«È un bene che Damiano vi abbia trovato, ci sono vipere particolarmente velenose su quest'isola», disse Torchio, prima di porgermi un bicchiere d'acqua.
La mia gola riarsa dalla sete gioì a quella vista e non feci complimenti, bevendo talmente in fretta da farmi andare di traverso l'acqua.
Tossii, colpendomi leggermente il petto e, una volta ripresami, notai il disappunto nello sguardo dello sciamano: «Volete forse porre fine alla vostra vita?»
Scossi la testa, imbarazzata e solo in quell'istante mi resi conto di essere nella mia stanza-prigione e di non indossare più il mio abito celeste, ma soltanto la biancheria.
Mi coprii fino al collo con le coperte e osservai con sguardo confuso e allucinato, come un cervo sospeso dai cacciatori, il volto di Torchio: «Dov'è il mio vestito?»
Lo sciamano sorrise: «Damiano ve l'ha tolto, spera che in biancheria intima siate meno avventurosa».
Sentii le guance bruciarmi e le labbra mi si strinsero in una linea sottile: «Dov'è il capitano? Desidero parlare con lui all'istante!», esclamai con voce alterata.
Torchio, con un'espressione divertita, mal celata dai lunghi capelli scuri, s'inchinò brevemente: «Come Vossignoria comanda».
Avrei voluto colpirlo per la sfacciataggine con cui mi stava prendendo in giro, ma lo sciamano uscì dalla mia prigione prima che potessi avere alcun tipo di reazione.
Una volta sola, cercai di riportare ad un ritmo normale il mio respiro reso irregolare dal nervosismo e ripensai alla conversazione avuta col capitano David.
Non mi ero aspettata da un uomo vile come lui la pazienza e attenzione necessaria a capire il mio sconforto e la mia sofferenza; eppure, quando gli avevo confessato il mio più grande desiderio — quello di essere una donna libera — mi aveva ascoltata. Forse non mi aveva preso sul serio inizialmente, ma ero certa di aver scalfito in qualche modo la rude indifferenza del capitano nei miei confronti.
Sentii il mio stomaco brontolare per la fame e mi portai istintivamente una mano all'altezza della pancia, premendo leggermente.
Forse avrei dovuto chiedere a Torchio del cibo, piuttosto di mandarlo a chiamare il capitano David, ma ormai era troppo tardi per pentirsi.
La porta della mia prigione si aprì e sulla soglia riconobbi immediatamente la silhouette del mio rapitore.
Il capitano si era cambiato d'abito dal nostro ultimo incontro e indossava dei pantaloni alla zuava marroni e una camicia bianco-giallognola, che gli cadeva larga sul corpo snello. I capelli erano sciolti e gli ricadevano in modeste onde sulle spalle, facendomi provare il forte desiderio di affondarvi le mani.
«Caterina, vedo che vi siete svegliata, Torchio dice che volete parlarmi».
Annuii, poi un improvviso borbottio del mio stomaco mi ricordò di aver mangiato poco o nulla nelle ultime ventiquattr'ore e arrossii: «Potrei avere qualcosa da mangiare?»
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Il manigoldo e la duchessa
Fanfiction[STORIA COMPLETA] La storia è ambientata nel 1820, a Roma, dove la protagonista Caterina Maria Josephine De la Rosa Ramirez incontra ad un ballo il barone Damiano David, che suscita in lei dei desideri che non pensava di possedere. Riuscirà Caterina...