6. Intrusione

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Giugno 1820, Roma


Nell'incoscienza mi parve di udire la profonda voce mascolina del barone sputare qualche impropero.

Doveva essere per forza un sogno, sicché un gentiluomo del suo calibro non si sarebbe mai lasciato andare ad una condotta tanto disdicevole.

Sentii dita ruvide appoggiarsi sulla mia giugulare: «Caterina, state bene? Rispondete!»

Lo spavento fu tale che una forza sconosciuta mi spinse ad afferrare la mano poggiata sulla mia gola e allontanarla. Malgrado lo shock percepii chiaramente i calli che martoriavano l'arto.

Quel contatto mi fece pensare immediatamente al maggiordomo e alle sue mani segnate dal duro lavoro.

Mi tirai su di scatto nella penombra, colpendo con la fronte il volto del mio soccorritore.

«Morte e pestilenza!», esclamò la voce.

Mi portai una mano al viso, coprendo la zona offesa.

Non sapevo se fosse il dolore fisico a farmi più male o l'oltraggio di udire tali scurrilità.

Un raggio di luna circondò la figura semi distesa del barone Damiano David.

Sussultai, sorpresa e imbarazzata, vista la mia tenuta notturna: «Cosa ci fate voi qui? Come avete fatto ad entrare?»

Sul suo viso si aprì un sorriso malizioso: «Caterina, non è la prima volta che vengo qua. Solitamente vi trovo sdraiata sul vostro letto, un angelo in un bianco paradiso, non distesa a terra svenuta. Mi avete fatto preoccupare».

Trovai la cosa estremamente raccapricciante: «Cosa vi fa pensare che questo sia un atteggiamento appropriato per una persona del vostro rango?»

«L'amore tal volta ci fa compiere atti scellerati che vanno contro il buon costume», il suo sorriso si ampliò ulteriormente: «Sarò sincero con voi, questa astuzia me l'ha tramandata un mio caro amico inglese, Edoardo Cullen e pare che funzioni a giudicare da come vi siete avvicinata a me» (N.d.A. Non è plagio, ma playgiarism, ossia un riferimento giocoso a qualcosa che già esiste in un'altra opera, in questo caso Edward Cullen e le sue manie da stalker!)

Solo in quel momento mi resi conto che avevo inconsciamente proteso il busto verso di lui, attratta dal suo forte odore mascolino.

Posi una maggiore distanza tra i nostri corpi, ricordandomi di indossare solo una leggera e semi trasparente camicia da notte. Mi portai le mani al seno, per coprire i mie capezzoli turgidi.

Il barone mi sorrise ferocemente e si leccò le labbra.

«Porco screanzato!», ringhiai, completamente fuori di me.

«Cosa vi fa pensare che questo sia un atteggiamento appropriato per una persona del vostro rango?», disse in falsetto, copiano malamente la mia voce.

Con furore e imbarazzo mi sollevai in piedi e recuperai la vestaglia, indossandola in fretta e furia, così da coprire le mie vergogne.

Il barone, spolverandosi con grazia i pantaloni, si alzò, torreggiando su di me.

«Suvvia, Caterina, è la natura umana: vediamo qualcosa che reputiamo bello e bramiamo averlo. Non è questo che pensate anche voi, quando scorgete il mio corpo?»

Sussultai e sollevai il mento, distogliendo lo sguardo; dovetti ringraziare la penombra che celava le mie guance incandescenti, mentre mi avvolgevo maggiormente la vestaglia intorno al corpo.

«Non avete più risposto alle mie missive e avevo bisogno di vedervi, Caterina. Sapevo che altrimenti non avrei potuto sopravvivere. Conoscervi mi ha reso cieco di fronte alle bellezze del mondo, la vostra bellezza mi ha abbagliato», sgranò gli occhi, allungando le mani verso di me: «Non pensate anche voi che sia stato un segno del destino? Questa sera, trovarvi riversa a terra illuminata dai fiochi raggi della luna mi ha folgorato. Temevo foste morta» afferrò con foga la mia mano, baciandola ripetutamente: «Invece siete viva! Viva, mia divina!», una lacrima solcò il suo viso virile, mai avrei pensato di vederlo piangere: «Vi prego, siate il giudice che pone fine alla mia condanna».

Ritrassi la mano, sentendo i capezzoli sfregare turgidi contro la stoffa della mia mise notturna.

«Non ci sono dunque speranze?», fece un sorriso fintamente rassegnato: «Forse, se parlassi con vostro padre riuscirei a fargli cambiare idea, mostrandogli con quanto ardore vi adoro».

«Mio padre», dissi con tono amaro: «É impossibile».

Non demorse: «Guardatemi negli occhi e dite che non provate nulla», prese la mia mano, portandosela sul cuore: «Non lo sentite? Il suo battito furioso che mi sconquassa il petto? É la vostra angelica presenza a farmi quest'effetto».

Mi sentii lusingata dalle sue parole piene di impeto amoroso; ero felice della sua improvvisa apparizione proprio quando il tormento della sua assenza stava diventando insostenibile. Tuttavia il ricordo della recente discussione con mio padre mi scosse, riportandomi alla realtà.

«Barone, non possiamo!», esclamai, tentando di allontanare la mano dal suo petto.

Lui mi trattenne: «Datemi un'ultima possibilità. Non chiedo altro, solo una notte. Scegliete voi quando e ci diremo addio, se questo è quello che poi vorrete veramente».

Aprii bocca, indecisa su cosa rispondere, certa che qualsiasi risposta gli avessi dato non sarebbe stata quella giusta.

«Sabato sera».

Gli occhi di Damiano si strinsero appena: «Domenica vi sarà il plenilunio, potremmo vederci con più facilità grazie ai raggi della luna».

«Sabato mio padre sarà via per affari. Per tanto mi sarà più semplice incontrarvi».

Il barone annuì con un sospiro: «Ci vedremo sabato notte, qua fuori, in giardino».

Mi accarezzò lascivamente il viso e il collo, per poi dirigersi verso la portafinestra che dava sul mio balcone.

«Buona notte, Caterina».

Singhiozzai pesantemente stringendo con foga delle ciocche di cappelli.

«Sii dannato, Cupido», pronunziai con voce tremula.

Caddi sul letto, priva di sensi.








***

Buongiorno popolo di Wattpad!

Cosa ne pensate del capitolo?

E dell'appuntamento che si sono dati Caterina e Damiano?

Riusciranno a vedersi di nascosto al chiaro di luna?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

Per chi volesse, mi può trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul_EFP

Il manigoldo e la duchessaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora