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Dopo il pranzo, Calum fu il primo a lasciare la mensa. Si alzò dal tavolo, lasciando quasi tutto il cibo nel vassoio, ed andò via, dicendo di dover raggiungere il laboratorio di chimica prima che la lezione iniziasse per parlare con il professore. Luke l'aveva guardato confuso, probabilmente sapendo che quella da lui usata fosse solo una scusa, non che ci volesse un genio per capirlo. Ashton non aveva perso tempo a seguirlo, intenzionato a parlargli di ciò che era accaduto il giorno precedente, al parco. Aveva bisogno di dirgli che avesse ragione, che era stato uno stupido anche pensare per un solo momento quelle cose, e voleva scusarsi, per tutto. Non riusciva più a sopportare il dolore, aveva bisogno di tirarlo fuori in qualche modo e far sì che venisse sostituito da qualcos'altro, qualcosa che non lo distruggesse, che non gli facesse mancare il respiro ogni secondo. Uscito dalla mensa, adocchiò il moro camminare verso le scale anti incendio e, a passo veloce, ma tenendosi sempre a debita distanza così che non lo allontanasse prima del dovuto, gli andò dietro. Quando lo vide sedersi e tirar fuori il suo solito pacchetto di sigarette, fece la sua mossa, andando a sedersi accanto a lui senza dire una parola. Calum gli lanciò un'occhiata, era stato impossibile non accorgersi di lui mentre camminava, ma qualcosa dentro di lui gli aveva detto di non mandarlo via, di stare in silenzio ed osservare le sue mosse. Dopo ciò che si erano detti al parco e di come si erano lasciati, era palese che volesse dirgli qualcosa, magari aveva trovato qualche altra prova a favore della sua tesi? No, impossibile. Ciò che aveva detto era sbagliato, se avesse insistito sarebbe stato solo uno stupido. Diversamente da come pensava Ashton, Calum non parlò. Si limitò ad accendere la sigaretta e a non guardarlo, comportandosi come se non ci fosse. Effettivamente, stava cercando di ignorare la sua presenza, come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio, da quando si erano conosciuti.

"Mi dispiace per ieri" Disse, il più grande, puntando gli occhi sul suo viso. Il moro, con la mascella contratta, teneva le iridi scure puntate davanti a sé, senza ricambiare lo sguardo. Il riccio avvertì le parole morirgli in gola: non sapeva cosa dire, cosa fare, come agire. Calum era lì accanto a lui e tutto ciò che aveva programmato di dirgli sembrava non voler uscire dalle sue labbra. Il fumo della sua sigaretta gli giunse alle narici, ma ciò non provocò alcun cambiamento nella sua espressione. Strano, visto che da quando sua madre aveva cominciato a star male, non tollerava minimamente l'odore della nicotina. Eppure, quella scena scatenò qualcosa. Un ricordo. Un nuovo ricordo, che da un anno a quella parte non si era ancora fatto vivo nella mente del più piccolo. Un ricordo che riuscì finalmente ad aprirgli gli occhi ed a fargli realizzare di star sbagliando ogni cosa. Il momento in cui aveva cominciando a guardarlo con occhi diversi, e ad innamorarsi, pian piano, di lui.

Tornare a casa dopo le vacanze di Natale non era mai stato più bello. Calum amava Perth, la città dove suo padre e sua sorella vivevano, ed amava stare con loro, ma lì non aveva i suoi amici e soprattutto non poteva fare ciò che faceva di solito a casa da sua madre, come fumare o bere qualcosa che non fosse acqua. Suo padre aveva regole molto rigide, persino Malikoa, a diciannove anni compiuti, non poteva vestirsi o comportarsi in un certo modo. Molte erano state le volte in cui l'aveva chiamato in lacrime, lamentandosi dei comportamenti del padre e del fatto che pretendesse fin troppo da lei. Calum avrebbe voluto aiutarla, era addirittura arrivato a suggerirle di chiedere il cambio d'affidamento e tornare a Sydney, ma lei diceva sempre che non poteva lasciarlo solo. E un po' la capiva, visto che nonostante tutto neanche lui avrebbe voluto abbandonare sua madre. Non poteva essere considerata la donna migliore del mondo, ma era pur sempre sua madre. Tornato a casa, Calum non perse tempo a recuperare le due settimane che aveva perso stando a Perth. Si informò subito se ci fosse qualche festa quel venerdì e c'era andato. Luke, come sempre, non lo raggiunse, sia perché odiava quel genere di cose, sia perché quello era l'unico periodo dell'anno in cui poteva stare un po' di più con i suoi fratelli, entrambi all'università fuori da Sydney, e quindi voleva godersi ogni minuto. Tuttavia, quella festa al moro portò proprio quello che non si sarebbe mai immaginato che potesse accadere. Non con quella persona, almeno. Stanco di quel trambusto, raggiunse il tetto dell'abitazione di Goeffrey, il ragazzo che aveva organizzato il tutto, e vi salì, sedendosi su di esso in modo da non cadere giù e finire spiaccicato nell'erba del suo giardino. Afferrò una sigaretta dal suo pacchetto e l'accese. Lo faceva molto spesso anche a casa sua, a notte fonda, quando tutti erano troppo impegnati a dormire. Gli dava pace, osservare le strade deserte illuminate dai lampioni, le poche finestre con la luce accesa, dove c'era chi non riusciva a dormire, assorto nei propri pensieri o in ciò che stava facendo prima che arrivasse la notte. Poche volte gli era capitato di vedere dei ragazzi per strada, ubriachi fradici, oppure uomini lasciare che una delle tante prostitute sul ciglio della strada salisse nella loro macchina. Era capitato che rimanesse sul tetto fino al mattino, riuscendo a vedere l'alba, da solo. Nessuno gli faceva compagnia, sia perché passare una notte insonne era insopportabile per tutti quelli che conosceva, sia perché nessuno era mai venuto a conoscenza di quella sua abitudine. Neanche Luke. Forse, però, quella sera qualcosa doveva cambiare.

"Hey, posso disturbarti?" Una voce sottile e pacata lo distrasse dai suoi pensieri, facendolo sussultare leggermente. Girò lentamente la testa, sospirando nel vedere il viso di quel ragazzo che, con i suoi occhi chiari ed un piccolo sorriso sulle labbra, lo osservava. Strano come coloro che credevi di odiare possano rivelarsi persone fin troppo simili a te. Avevano passato l'intero anno scolastico a stuzzicarsi, a litigare e ad insultarsi come se la loro vita dipendesse da quello. Poi, dopo la sera della scommessa, si erano avvicinati, o meglio, il maggiore si era avvicinato, lui gli aveva solo retto il gioco. E, inaspettatamente, si ritrovarono ad essere amici prima ancora che potessero accorgersene. Era Gennaio, il suo primo anno al liceo si era concluso da due settimane, o poco più, ed avrebbe iniziato il secondo con accanto la persona che si aspettava di odiare fino al quinto. Il piccolo annuì, permettendogli di stare con lui. L'altro non ci mise molto a sedersi al suo fianco, rubandogli la sigaretta dalle dita per prenderne un tiro. I suoi occhi bruciavano sulla sua pelle, Calum riusciva a sentirli, sapeva che avrebbe voluto chiedergli il motivo per cui si fosse rifugiato lì, ma non disse nulla. Semplicemente, se ne stette in silenzio, finendo quella che sarebbe dovuta essere la quarta sigaretta della serata del moro. Con timore, quest'ultimo poggiò la testa sulla sua spalla e lui, diversamente da quanto si aspettasse, non lo scansò, bensì avvolse un braccio intorno alle sue spalle, facendolo sentire più protetto che mai.

"Come mi hai trovato?" Domandò il minore, a bassa voce. L'altro scosse la testa, mentre la sua mano andò a cercare quella dell'altro e, appena la trovò, non perse tempo a stringerla, intrecciando le loro dita. Il tocco caldo in contrasto con il suo freddo, dovuto al troppo tempo passato all'aria aperta, esposto al vento gelato della notte. Calum arrossì visibilmente, ma evitò il suo sguardo, senza muoversi da quella posizione. Il suo cuore iniziò a battere veloce, più del normale, mentre in esso andava ad intrufolarsi il bisogno di averlo accanto, quella sensazione inconfondibile, così forte, di calore, come quando torni a casa dopo mesi passati senza mettervi piede. E le parole che pronunciò dopo andarono solo a confermare ciò che stesse succedendo, non solo a lui, ma ad entrambi. Eros li aveva scelti, e nessuno poteva sottrarsi al suo potere.

"Io saprò sempre come trovarti, Calum"

E, per quanto potesse suonare da stalker quella frase, Calum sapeva che intendesse altro. Ed il tempo l'avrebbe solo dimostrato. Avrebbe dimostrato come entrambi fossero incredibilmente connessi, l'uno parte dell'altro. Avrebbe mostrato il bisogno che entrambi avevano di un costante contatto, quasi come per paura di perdersi e di non riuscire più a ritrovarsi. L'aveva dimostrato quella notte, quando il ragazzo aveva raggiunto il moro a casa sua, finendo con il fare l'amore senza neanche saperlo. L'aveva dimostrato quella sera in auto, quando si erano baciati, per la prima volta consapevoli di ciò che provassero l'uno per l'altra. L'aveva dimostrato in tanti modi, portando i due ragazzi a vivere una storia d'amore breve, ma allo stesso tempo più intensa di tante altre durate anni. E l'aveva dimostrato anche nel momento in cui il cuore di Calum era caduto in pezzi, schiacciato proprio da colui che amava con tutto se stesso. Perché? Perché doveva andare così. Il loro destino, la piega che la loro storia doveva prendere. Non avrebbero potuto evitarlo neanche volendo. La loro relazione doveva finire in quel modo, in quell'istante, senza interruzioni. Si dice che la vita abbia un piano per tutti noi e che, per quanto cerchiamo di cambiarlo, la strada da noi costruita ci porterà sempre a quel finale. L'insieme di scelte da noi prese, di azioni da noi compiute, di parole da noi dette, cambierà il sentiero, ma non la meta. Non potremmo mai sottrarci al nostro destino, perché più proviamo a farlo, più questo ci porterà dove siamo destinati ad essere. Ed è proprio per questo motivo che la loro relazione si era conclusa. Ma ciò non significa che non sarebbe potuta rinascere, che l'amore avrebbe abbandonato i loro corpi, che il cuore del moro non sarebbe più stato riparato, che non potevano più essere destinati ad essere. Fu proprio questo pensiero a dare la forza a Calum di voltarsi, gettare la sigaretta sulle scale, ancora a metà, e guardare Ashton negli occhi.

"Andiamo via"
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vi dico solo che quello di sabato sarà l'ultimo capitolo, poi ci sarà l'epilogo <3

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