CAPITOLO 2

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La mattina dopo Alec si svegliò presto, poco prima dell'alba. Non aveva dormito molto, preoccupato un po' per Jace e un po' per l'incontro con Magnus. Non era la prima volta che lo vedeva e ci parlava. L'aveva visto in infermeria un paio di volte mentre cercava di guarire Jace e si erano parlati, ma sempre quando c'era qualcuno intorno. Un discorso a tu per tu non l'avevano mai fatto.

Fuori era ancora buio. Alec si vestì con calma, vagliando le possibilità di cosa indossare. Se doveva incontrare il Sommo Stregone di Brooklyn doveva essere vestito adeguatamente. Dopodiché si diresse in cucina per farsi una tazza di caffè per svegliarsi. Infine, rinvigorito dalla caffeina, spalancò la porta della chiesa abbandonata, espirando l'aria fresca di metà settembre, e uscì, attivando la runa dell'invisibilità.

Camminò per un centinaio di metri per essere sicuro che nessuno dall'Istituto lo vedesse. Quando fu a un'adeguata distanza, si concentrò, espirò a fondo finchè non gli furono spuntate due grandi ali nere bordate d'oro da un punto al centro della schiena, in mezzo alle scapole.

Sbatté le ali e si librò in cielo. Volò sopra New York, osservando le luci delle finestre nelle case dei pendolari e dei mattinieri che amavano andare a correre a Central Park prima del lavoro o perché semplicemente adoravano godersi i primi raggi solari. Poi, passando sopra Manhattan, vide le luci dei grattacieli e delle indicazioni stradali che illuminavano la città, ancora buia prima dell'aurora. L'East River scintillava, creando un nastro argentato, mentre scorreva placido costeggiando il distretto.

Mentre volava pensò a tutto quello che era successo nelle ultime settimane. La lotta contro Valentine, la battaglia ad Alicante che ne aveva provocato una distruzione quasi totale e la ferita di Jace lo avevano stremato. Ormai non ce la faceva più. Provava a essere forte per la sua famiglia, ma per quanto si sforzasse era sempre più difficile. Si sentiva responsabile per Jace, in parte perché era il suo parabatai, in parte perché lo riteneva un membro dei Lightwood, essendo cresciuti assieme per gli ultimi dieci anni. E, inoltre, c'era sempre quel legame che li univa, normalmente rilassante, ma insopportabile da quando Jace giaceva incosciente in infermeria, che non faceva altro che ricordargli che Jace stava giungendo al termine. Non provava dolore fisico, era più una sensazione, un'intuizione, come se potesse vedere il futuro e gli avvenimenti prossimi si riflettessero sulla sua psiche.

Stava volando da un quarto d'ora circa quando, in lontananza, vide il sole che spuntava dietro ad alcuni grattacieli di Manhattan. Si fermò in aria per ammirare quel panorama poi, giunto sopra Central Park, planò. Cominciò a camminare cercando di schiarirsi le idee, nell'attesa dell'incontro con lo stregone.


Arrivò a casa di Magnus Bane alle dieci, ma quando bussò alla porta dell' appartamento non rispose nessuno. Ma mentre decideva se chiamarlo o meno per chiedergli dov'era, la porta si spalancò, rivelando all'interno il sommo stregone di Brooklyn. Era vestito con dei pantaloni neri e una camicia viola, mentre gli occhi erano contornati da un abbondante strato di trucco degli stessi colori degli abiti. Portava alle mani svariati anelli e le unghie erano dipinte di nero. L'insieme creava un effetto eccentrico, ma accattivante.

Alec entrò e diede uno sguardo all'appartamento. I mobili erano antichi e alle pareti dipinte di nero e bianco (anche se probabilmente era carta da parati) erano applicate luci a muro che illuminavano la stanza. Appena entrato, si voltò verso Magnus, il quale aveva chiuso la porta e si stava dirigendo verso il centro del salotto.

"Ciao, mi chiamo Alec"

"So come ti chiami, Alexander"

Alec, non sapendo cosa rispondere (nessuno lo chiamava con il suo nome completo, nemmeno i suoi genitori), cambiò argomento chiedendogli quello per cui era venuto.

"Perché mi hai fatto venire qui? Cosa mi devi dire?"

"Forse è meglio sedersi. Vuoi accomodarti?"

"No, grazie. Sto bene."

"Vuoi un drink?" riprovò Magnus.

"No, voglio solo sapere perché mi hai fatto venire qui" Alec cominciava a scaldarsi. Perché lo stregone non voleva dirglielo?

"Beh, primo, per vederti."

Ad Alec mancò il fiato. Veramente tutto questo trambusto solo per vederlo? Sì, okay. Magnus era affascinante, Alec non poteva negarlo, ma allo stesso tempo aveva più di quattrocento anni, anche se ne dimostrava non più di venticinque.

"Secondo, volevo parlarti di Jace."

Quelle parole destarono Alec dai suoi pensieri su Magnus.

"Come sta? Si riprenderà, non è vero? Non è grave la ferita, vero?"

Alec non voleva frignare come un bambino, soprattutto non davanti a Magnus. Non avrebbe retto una brutta notizia, ma dall'espressione afflitta dello stregone ne stava arrivando una terribile.

"Alexander." La voce pacata di Magnus era ciò che spaventava di più Alec, come la quiete prima della tempesta. "Ascolta. Ho provato a guarire Jace, ma è difficile." Alec aveva la gambe molli. Magnus si avvicinò ad Alec come per prenderlo nel caso cadesse. Invece gli appoggiò dolcemente una mano sulla spalla. "Vieni, siediti. Certe notizie bisogna riceverle da seduti."

Alec voleva ribattere, domandargli che genere di notizie, ma non ce la faceva. La gola era diventata improvvisamente secca e non riusciva a formulare neanche una frase.

Magnus lo accompagnò al morbido divano verde scuro e lo fece accomodare, sempre facendo movimenti lenti, ma precisi, come se li avesse fatti migliaia di volte.

Dopo essersi seduto, Alec cercò di calmarsi respirando a fondo.

"Ascolta, non so come dirtelo, perciò te lo dico senza tanti giri di parole. Ho provato a guarire Jace, ma non ci riesco. Non so con che lama lo abbiano colpito, ma la ferita è profonda e più passa il tempo, più è difficile rimarginarla."

"Esattamente cosa stai dicendo?" Alec credeva di averlo già capito, anzi probabilmente lo aveva sempre saputo, ma, anche se faceva male, voleva sentirselo dire per esserne sicuro.

"Mi dispiace, Alexander, ma non credo che Jace ce la farà."

A quel punto le lacrime sgorgarono dagli occhi di Alec come una diga che si rompe. Il ragazzo non aveva assolutamente intenzione di piangere davanti a Magnus, ma non era riuscito a trattenersi. In vita sua erano davvero poche le volte in cui aveva pianto, soprattutto davanti a un estraneo. Conosceva Magnus da poco tempo. Certo, sapeva che di lui ci si poteva fidare, ma di certo non era così in confidenza con lo stregone da scoppiare in lacrime a casa sua e non pensare che lo trovasse ridicolo e infantile.

Alec non si sarebbe mai aspettato un gesto particolarmente gentile da parte del Sommo Stregone di Brooklyn, eppure fu quello che fece. Avvicinandosi cautamente a lui, Magnus lo abbracciò stringendolo a sé come volesse proteggerlo oltre che rassicurarlo.

Alec si irrigidì un po', non per il contatto in sé, ma per il fatto che lui l'aveva abbracciato. E, in quel momento, era l'unica cosa di cui aveva bisogno, in realtà qualcosa di cui sentiva la mancanza da troppo tempo. Una dimostrazione di affetto non da Izzy o da sua madre, ma da qualcuno che non facesse parte della sua famiglia, ma che comunque lo capisse e lo sostenesse. E lì, tra le braccia di Magnus, si rese conto che anche se non lo conosceva bene era l'unica persona da cui voleva essere tranquillizzato. Magnus non si era messo a parlare a vanvera profondendosi in scuse perché non riusciva a guarire il suo parabatai o in frasi del tipo "sono davvero molto addolorato per te" o "mi dispiace, vorrei poter fare di più" espressioni che in quelle circostanze piovevano a iosa. Perché in quel momento non gli servivano parole, ma fatti.

Per un attimo si vergognò di provare così tanto piacere in un momento in cui avrebbe dovuto provare solo dolore, soprattutto considerato il fatto che lui e Magnus non avevano mai avuto modo di conoscersi veramente. Ma in secondo pensò che era stufo di dover essere sempre perfetto e impeccabile, indipendentemente dalla situazione. Perciò smise di preoccuparsi, di mettere sempre al primo posto gli altri e di resistere per non crollare e si lasciò andare a un pianto liberatore.

Solo quando si fu calmato grazie alle piccolecarezze che Magnus gli faceva sulla schiena, cominciò a raccontare. Raccontaretutto ciò che aveva passato quella notte, quella notte durante la quale tuttoil suo mondo era crollato.

There is always a first time [Malec]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora