CAPITOLO 18

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Alec arrivò trafelato all'Istituto, varcò la porta e si precipitò in infermeria, ormai senza fiato. La stanza, solitamente vuota, era gremita di gente, tutti accalcati attorno al letto di Jace. A completare il quadretto si erano aggiunti anche Simon, Luke e fratello Zaccaria.

Quando Alec realizzò che l'unico assente era Magnus, gli venne un tuffo al cuore e per un attimo provò un po' di invidia verso gli altri. Tutti avevano qualcuno lì pronto a consolare, abbracciare e sostenere qualora ce ne fosse stato bisogno. Ma Magnus non c'era e Alec non sapeva a chi appoggiarsi se fosse crollato, nel caso in cui neppure le ali avessero funzionato.

D'improvviso sentì la bruciante necessità di essere abbracciato da Magnus, così come Simon stava facendo con Izzy e Luke con Clary. Aveva tanto bisogno di essere tra le sue braccia, accoccolarsi lì e piangere tutte le sue lacrime, per almeno provare a espellere le sue paure. Ma con Magnus aveva rovinato tutto. Gli aveva detto chiaramente che non poteva funzionare. Ma come ho fatto a definirlo una distrazione?, si chiese. Alec aveva provato per tutto il tragitto da Central Park all' Istituto a convincersi che fosse la cosa giusta Ma allora se era la cosa giusta da fare, perché si sentiva così svuotato?

I singhiozzi di Clary e Izzy lo riportarono alla realtà, costringendolo ad accantonare per un momento il pensiero di Magnus e concentrandosi su Jace. Quando Maryse guardò il figlio negli occhi, lo Shadowhunter capì al volo che aveva pianto anche lei, per quanto cercasse di nasconderlo. Alec si avvicinò cautamente al letto, temendo di trovare il peggio.

"Alec, sei sicuro che funzionerà?" chiese Clary con un sussurro, temendo la risposta.

"Deve funzionare. È la nostra unica speranza" rispose sedendosi sul letto morbido e prendendo la mano al suo parabatai.

Detto ciò prese la sfera e la pose sulla ferita, poi strinse il braccio dell'amico e con un filo di voce, così che solo lui potesse sentirlo (se era possibile), disse: "Ti prego, Jace. Tutta la nostra famiglia ha bisogno di te, Izzy, nostra madre, io. Ho bisogno che tu ti svegli, che tu guarisca, che tu torni a essere il mio parabatai, mio fratello. Non posso perderti, non potrei sopportarlo. Ho già rovinato tutto con Magnus, non posso perdere anche te. Per favore, svegliati, ti prego."

La luce sprigionata abbagliò i presenti, poi si ridimensionò, illuminando prima il torace di Jace, poi il cuore e infine il volto. Quando il bagliore si spense, la ferita si era rimarginata, lasciando solo una piccola cicatrice a promemoria dei fatti accaduti. Tuttavia lo Shadowhunter non si mosse, gli occhi erano ancora chiusi, la bocca con una piccola smorfia di dolore.

"Perché non si sveglia?" chiese preoccupata Clary, avvicinandosi al suo ragazzo.

"Forse deve solo riposare. Probabilmente ha bisogno di tempo per agire" rispose Alec cercando di convincere più se stesso che gli altri.

"Sto qua io" annunciò subito Clary.

"Resto anch'io" le fece eco Alec.

Gli altri acconsentirono e poi uscirono, alcuni un po' più riluttanti di altri. Si sparpagliarono per l'Istituto. Fratello Zaccaria e Luke, invece, tornarono rispettivamente alla Città di Ossa e al distretto di polizia.

In infermeria restarono solo Alec e Clary, una seduta sul letto di Jace, l'altro su quello vicino. Tra i due cadde il silenzio. Non avendo nulla di cui parlare, ognuno si rifugiò nei propri pensieri o i propri ricordi. La mente di Alec volò subito a Magnus, a quello che era successo, alle parole taglienti che Alec aveva pronunciato. Si chiese se sarebbe mai riuscito a farsi perdonare e a sistemare le cose...probabilmente no.

"Stai bene?" chiese all'improvviso Alec.

"Sono preoccupata. Anzi, spaventata. Non capisco perché non abbia funzionato. Perché non è ancora cosciente?"

"Tranquilla, vedrai che si sveglierà"

Rimasero in silenzio, finché Clary annunciò che sarebbe andata a prepararsi una tazza di caffè, dato che era stata in piedi tutto il giorno e ora il sonno cominciava a farsi sentire.

Quando Clary fu uscita, Alec si alzò e cominciò a camminare su e giù per la stanza per diminuire la tensione. Dopo alcuni minuti Alec si affacciò alla finestra. Era notte fonda, la luna splendeva alta nel cielo newyorkese. Era quasi il plenilunio. La Grande Mela era tutta illuminata come al solito. Anche da lontano si vedevano i grattacieli dei ricchi nell'Upper East Side, dove sicuramente erano in corso le feste più esclusive della città. Alec guardò il cielo e gli si formò un nodo in gola sapendo che non avrebbe mai più potuto volare tra le nuvole, guardare dall'alto la città e sentirsi libero dai problemi dell'Istituto e del Clave. Non che ora gli interessasse più di tanto seguire gli ordini del Clave. Poi, però, ricordò per chi aveva fatto il sacrificio e, seppur difficilmente, si costrinse a pensare che aveva fatto la scelta giusta.

"È bella New York di notte?" chiese una voce debole dietro di lui.

Alec, riconosciutala subito, si voltò di scatto e, vedendo Jace seduto e sorridente, con gli occhi lucidi per la commozione, rispose con un sussurro, mentre una lacrime si faceva strada per uscire: "Bellissima". Poi corse verso il suo parabatai e lo abbracciò stretto, felice di poterlo fare ancora. Sapeva che gli era mancato, ma solo ora realizzava quanto ne avesse sentito l'assenza nel mese in cui era stato in "coma". Dava per scontata la sua presenza fin da quando si erano conosciuti molti anni prima. E soprattutto dava per scontato che ci sarebbe stato ogni qual volta lui avesse avuto bisogno. Ma nel mese precedente aveva sentito così tanto il vuoto che aveva lasciato e la necessità di parlargli e chiedergli consiglio che aveva realizzato quanto fosse importante per lui.

I due si riscossero quando sentirono che Clary, ferma sulla porta, aveva fatto cadere la tazza che teneva tra le mani. Una serie di frammenti di porcellana si dispersero sul pavimento in linoleum e un lago di caffè scuro macchiò il pavimento candido. Ma non importava. Il congelamento di Clary durò pochi secondi, dopodiché corse ad abbracciare Jace, gettandogli le braccia al collo e scoppiando in lacrime per la felicità. Poi lo baciò profondamente, come se volesse assicurarsi che fosse veramente lì o per compensare il mese passato senza baciarlo.

Alec, accortosi di essere di troppo, uscì e andò a chiamare la madre e la sorella per aggiornarle sulle gioiose novità. Quando dopo alcuni minuti tornarono tutti e tre assieme in infermeria, i due piccioncini erano ancora avvinghiati e non davano segno di voler smettere. Ci vollero cinque minuti buoni prima che Clary e Jace, concentrati sulle loro effusioni, si accorgessero della presenza degli altri nel locale. Seppur contro voglia, Clary acconsentì a staccarsi, così che anche Izzy e Maryse potessero abbracciare Jace. Simon entrò poco dopo e salutò Jace con un sorriso e un cenno della mano.

Finalmente tutto era tornato alla normalità; tutti erano felici e sorridevano come se quello fosse il giorno più bello della loro vita (e forse, per alcuni lo era davvero). Ma Alec non riusciva proprio a farsi trasportare dall'entusiasmo. Era ancora immerso nei dubbi, nelle paure e nelle riflessioni. Aveva "ritrovato" Jace, ma aveva perso qualcosa per lui estremamente cara. Ormai si stava rassegnando a non avere più le ali e all'idea di non poter più volare in alto sopra Manhattan. Però aveva perso, e temeva per sempre, qualcuno che gli stava a cuore ancora più, se possibile, delle ali e dell'arco: Magnus. 

There is always a first time [Malec]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora