Di poche parole

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"Arrivati" disse Mike parcheggiando la macchina vicino ad un marciapiede.
Il silenzio fu spezzato da quella parola, così banale, ma che riuscì a farmi tornare alla realtà. Avevo la testa appoggiata sulla mano, il gomito sulla portiera, vicino al finestrino, faceva da appoggio e sorreggeva il peso della mia testa. Gli occhi putati sul finestrino oscurato, che rendeva la notte ancora più buia. 
Andrea alzò gli occhi dal cellulare e portò lo sguardo sullo specchietto, dove vide il mio riflesso, e io vidi il suo. Mi leccai il labbro inferiore, estremamente a disagio, la bocca semichiusa, il respiro lento e il battito veloce, cessarono quando distolse lo sguardo. 
"Scendiamo" aggiunse Benedetta. 

Apro la portiera e metto un piede sull'asfalto, poi li appoggio tutti e due. Mi allontano per far scendere Benny, che chiude lo sportello. Dopo che scesero gli altri due, Mike chiuse la macchina e infilò le chiavi nella tasca del giubbotto. 
Bussammo alla porta e ci aprì una ragazza: capelli corti, ricci e castani. 
"Ciao ragazzi! Entrate!" disse rivolgendo un sorriso in particolare ad Andrea, che ricambiò il gesto. Sbuffai innervosita e Benedetta se ne accorse. 
"Ragazzi io e Lu andiamo a prendere qualcosa da bere" affermò rivolgendosi ad Andre e Mike. 
Si girarono e Mike le rispose "Vai pure". 
Ci allontanammo per andare a prendere un bicchiere di birra. 
Mi sento estremamente fuori luogo tra tutte queste persone così vicine tra loro, tra tutti questi sguardi, questi tocchi improvvisi. La musica rende la mia testa pesante, i miei occhi stanchi e le mie orecchie vorrebbero andarsene in un luogo più tranquillo. 

"Ben, io esco un attimo fuori" la avviso. Non voglio che non se ne accorga e che si preoccupi quando farà caso al fatto che non sarò più di  fianco a lei. 
"Va bene, ti aspetto. Raggiungo gli altri due scemi" 
Annuisco ed esco fuori alla terrazza. L'aria è fredda e tutto quel rumore è più ovattato e pacato rispetto a prima. Mi appoggio sulla ringhiera e guardo il panorama, ornato da tutti quei palazzi e dalla punta del Duomo, visibile in lontananza. Da qui in alto, sembra tutto così piccolo, così inutile. Le auto si muovono nel buio, i lampioni illuminano le strade e le persone sono solo dei piccoli pallini che potrei schiacciare con un dito. 
Un tocco sulla mia spalla. Mi spavento, allontanandomi verso destra. Un pelo e perdevo l'equilibrio. 

"Scusa non volevo spaventarti" dice un ragazzo poco più alto di me.
"Puoi lasciarmi sola?" chiedo cercando di sembrare il meno scorbutica possibile. Mi sento più a mio agio sola con me stessa. Devo imparare a controllarmi, a controllare i miei pensieri.
"Dovrei lasciare sola una ragazza come te nel bel mezzo di una festa?" chiede con un sorrisetto falsamente stupito. 
Mi limito ad annuire per dare una risposta. 
"Ferma qua" 
"E chi si muove..." sussurro. 
Il ragazzo scompare per poi rivenirmi di fianco con un bicchiere in mano. 
"Bevi un po'" e detto ciò, mi porge un bicchiere di media grandezza, di plastica rossa. 
Lo afferro contro voglia e appoggio di nuovo i gomiti sulla ringhiera, che in realtà era un muretto. 
"Sei una tipa di poche parole"mi sussurra nell'orecchio. 
Mi faccio indietro, infastidita dal suo fiato vicino al mio collo. Impaurita da quel ragazzo che improvvisamente aveva provato così tanto interesse per me. 
"Sono Stefano" dice sorridendo, come se mi avesse letto nei pensieri. 
"Ludovica..." 

"Ei Ludo, vieni?" sento urlare dalla finestra. 
"Devo andare...ci si vede" dico alzando una mano in segno di saluto.
Mi allontano da Stefano, andando in contro a Benedetta che mi aspettava con uno sguardo inquisitore, quasi divertito, come se stesse tramando qualcosa. 
"Chi era?" chiede vicino a me sorridendo.
"Un certo Stefano" e dopo aver detto ciò porto il bicchiere alla bocca, bagnandomi le labbra con quel liquido giallino che tutti chiamano birra. 
Tornammo alla sala principale, dove tanti ragazzi e ragazze si divertivano, agitavano i fianchi, saltavano cantando. D'un tratto la musica si fermò, su un tavolo salì quello che ricordavo si chiamasse Vincenzo, seguito da Andrea. Mi fermai, tra la gente, lo guardai. Qualcuno mi venne contro, mi spinse a terra.
Ed eccomi di nuovo di fianco a quello che era stato il mio migliore amico negli scorsi mesi: il pavimento. Ogni giorno, ogni volta, in qualsiasi momento mi ritrovavo a terra, seduta a piangere, rannicchiata, sdraiata. Le altre volte ero stata spinta da Edoardo, e non so per quale strano motivo la mia mente sostituì il viso di quella sconosciuta ragazza che mi aveva appena spinto con quello di Edoardo. Così nel silenzio, tra i leggeri rumori che Andrea e Vincenzo facevano con quei due microfoni, urlai. Chiusi gli occhi, sentii una mano sulla spalla, poi una intorno al petto, sotto le braccia, sotto le mie ginocchia. 

D'un tratto, nulla era più sotto di me, aprii gli occhi guardando in alto; la musica era ripartita e io mi allontanavo da essa. Una porta si chiuse alle mie spalle e poco dopo sentii qualcosa sotto di me, una superfice morbida, quasi confortevole. Una mano si appoggiò sulla mia fronte, un'altra sul mio polso, probabilmente per constatare le mie condizioni. 
"Ei..." disse. Una voce familiare, così familiare, una voce che mi era mancata così tanto. 
"Mhh" riuscì a mugugnare. 
"Shh riposati" disse Andrea accarezzandomi i capelli. 
Il suo tono era quasi irritato, come se mi stesse aiutando solo perché si sente in dovere di farlo, non perché abbia davvero voglia. Nessuno mi aiuta davvero da tempo, nessuno afferra la mia mano per impedirmi di finire nel burrone, nessuno cerca di capirmi. Mi stanno accanto solo perché devono farlo, perché io ho aiutato sempre tutti e ora, devono sdebitarsi. 
Eppure so che Andrea vuole aiutarmi davvero, ma si sente ferito, vuole dimostrarsi freddo e non curante per non esporsi, e lo so perché lo faccio anche io. L'ho sempre fatto. 
Ma sono sempre quelli più in silenzio, quelli che non dicono niente, sono sempre loro che hanno una miriade di cose da urlare. 
Lo so, sono una di loro.
Sono una di voi, come voi. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 10, 2020 ⏰

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