Delirium

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We live as we dream: alone.


«Magnus...»

«Sono qui, Alexander. Sono qui.»

Alec era su un lettino dell'ospedale di Idris, circondato da alcuni Fratelli Silenti che si occupavano di controllare i suoi parametri vitali e che gli avevano precedentemente fasciato il petto. Gli occhi chiusi, il respiro finalmente calmo, continuava ormai da ore a ripetere il nome dello Stregone che, impotente, lo osservava seduto lì accanto, una mano ad accarezzare quella del moro incurante degli sguardi di disapprovazione dei presenti.
Magnus sospirò. Come aveva potuto lasciare che questo accadesse? La battaglia era quasi finita, credeva che il peggio fosse ormai passato, e invece...
La ferita era grave, se fosse stata solo qualche centimetro più profonda Alec non ce l'avrebbe fatta. Il solo pensiero di dovergli dire addio senza essere riuscito a farci pace lo faceva stare male, si passò una mano fra i capelli e si accorse di avere la fronte imperlata di sudore. Lo guardò. Era ancora molto pallido e non accennava ad aprire gli occhi. I Fratelli Silenti avevano detto che stava meglio, che il pericolo era passato, ma allora perché non si svegliava?
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla.

«Starà bene, vedrai.»

Si voltò e incontrò gli occhi di Jem, che lo fissava con un sorriso rassicurante. Ancora non si capacitava del fatto che lui non fosse più un Fratello Silente. Quando gli avevano detto come Jace, in seguito alla battaglia presso le Sorelle di Ferro, aveva purificato Fratello Zaccaria con il Fuoco Celeste, non ci aveva creduto finché non l'aveva visto con i suoi occhi.

Il suo sguardo ebbe il potere di calmarlo e Magnus sospirò.

«Ma certo. Alexander è forte, si riprenderà.»

E ne era davvero convinto. Si chiedeva solo quando avrebbe potuto parlarci di nuovo e rivedere i suoi stupendi occhi azzurri. Perché dopo quello che era accaduto, Magnus si era reso conto di voler perdonare Alec, nonostante quello che era successo fra di loro. Non voleva continuare a tenergli il muso come un ragazzino quando entrambi rischiavano di morire da un giorno all'altro.

«I ragazzi ti stanno aspettando fuori, gli ho detto che stai arrivando.»

«Va bene,» rispose a Jem, alzandosi e gettando un'ultima occhiata a Alec.

«Stai tranquillo, qui ci penso io.»

Magnus gli lanciò uno sguardo riconoscente e si avviò verso la porta.

«Ah, Magnus?» lo fermò ancora Jem.

«Mh?»

«Stasera c'è la cena organizzata dai rappresentanti del popolo fatato, giusto? Ci andrai?»

«Non è qualcosa a cui posso rifiutare di partecipare, purtroppo,» sospirò. «Bisogna tenersi buona la Regina della corte Seelie, in questo periodo come non mai.»

«Va bene, allora ci vediamo domani.»

«D'accordo.»

Magnus uscì dall'ospedale e si diresse esausto verso la piazza dell'Angelo, dove gli altri lo stavano aspettando. Poco prima di arrivare, però, ricevette un messaggio di fuoco. Preoccupato, lo aprì e lo lesse velocemente. Dopodiché ripartì più in fretta di prima, lo sguardo pensieroso e una mano tra i capelli inusualmente arruffati.

Clary si guardò intorno, spaventata. Si trovava in una grande stanza buia, non riusciva a vedere quasi nulla intorno a sé a parte i contorni di quelli che sembravano mobili. La poca luce che filtrava nella stanza proveniva da una finestra alla sua destra, coperta da lunghi drappi scuri. L'unico rumore che riusciva a sentire era il suo respiro affannoso. Dove si trovava? Perché era lì da sola? Perché Jonathan non era con lei in quel posto così buio e spaventoso?
Fece un paio di passi in avanti e sbatté con il piede contro qualcosa. Soffocando un'imprecazione, cercò un sostegno a cui appoggiarsi e trovò quello che, sentendo la fredda consistenza della pietra, le sembrò il muro. Man mano che il dolore passava, cercò con le mani un interruttore della luce, una candela, qualunque cosa le potesse mostrare dove diavolo fosse, ma non trovò nulla.
Come se l'oscurità non bastasse, si rese conto che quel poco che vedeva non era nitido, ma sfocato e confuso, come in un sogno. Arrivò a tentoni fino alla porta ed uscì dalla stanza, ritrovandosi in un corridoio ancora più tenebroso. Circa a metà c'era uno specchio ovale con una cornice di legno scuro appeso al muro. Quasi non si accorse di aver camminato fino ad esso, fin quando vi si trovò davanti. Stranamente, nonostante il buio fitto riusciva a distinguere chiaramente il proprio volto, ma c'era qualcosa che stonava. Si avvicinò ulteriormente alla superficie di vetro e si rese conto che le sue pupille erano completamente nere. Lì per lì si stupì, ma pensò che non fosse un dettaglio di importante e si voltò senza farci più troppo caso.
Percorse il corridoio fino alla fine, spinta da qualcosa di indefinibile. Arrivò in un'altra stanza, leggermente più luminosa delle altre, e quando vi entrò si rese conto che era un'enorme biblioteca. Se non fosse stata tanto spaventata da quella casa inquietante avrebbe pensato che quella stanza fosse il paradiso. Era persino più grande di quella della tenuta in cui viveva con Jonathan! Avrebbe voluto restare lì a contemplare tutti i volumi, ma sentì una forza tirarla in avanti. Si avvicinò a uno scaffale che si trovava più o meno alla sua altezza e, guidata dall'istinto, prese un piccolo libro rosso che si trovava proprio di fronte ai suoi occhi e lo tirò fuori. Un istante dopo, si sentì uno strano rumore e le mura di pietra si spostarono fino a rivelare una scala segreta che scendeva nell'oscurità. Ebbe come una sensazione di déjà vu, aveva già oltrepassato quel varco insieme a qualcuno. La sensazione sparì così come era arrivata, e arrivata in fondo si ritrovò in una stanza più scura di tutte quelle in cui era stata. Batté un paio di volte gli occhi per abituarli all'oscurità, ma quando li riaprì non riuscì a scorgere nulla.
Improvvisamente, si accese una luce così forte e inaspettata da costringerla a chiudere gli occhi per poi riaprirli pian piano. Il bagliore proveniva dal fondo della stanza e illuminava le tenebre intorno come un sole. Si avvicinò cautamente e rimase a bocca aperta. Di fronte a lei, incatenato a un muro ma splendente in tutta la sua bellezza, c'era un angelo grande quanto un uomo, che la fissava con uno sguardo determinato e profondo, che sembrava arrivare fino alla sua anima. Le ali erano chiuse vicino al corpo, ma si capiva chiaramente che se fossero state aperte avrebbero occupato almeno la metà di quello che, ora lo poteva vedere chiaramente, era qualcosa di simile a uno studio. La sensazione di essere già stata lì si ripresentò più forte che mai.
L'angelo aprì la bocca e le sue parole risuonarono chiaramente nella mente di Clary.
Avvicinati, Clarissa Morgenstern.
Ebbe un attimo di esitazione, ma il cipiglio dell'angelo la convinse ad avanzare. Ora era a un passo da lui, che la superava di almeno dieci centimetri nonostante fosse incatenato al suolo.
Devi ricordare, figlia di Valentine. Ne va del destino di tutti i Nephilim e degli esseri umani.

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