12. Linea di confine

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"Erano un gioco pericoloso e lo sapevano che prima o poi qualcuno dei due si sarebbe fatto male; non instauri un legame tanto intenso con una persona, senza nessun danno collaterale

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"Erano un gioco pericoloso e lo sapevano che prima o poi qualcuno dei due si sarebbe fatto male; non instauri un legame tanto intenso con una persona, senza nessun danno collaterale."

🥀

Non avevano mai dormito insieme, non era ancora successo. Fino a quel momento, era sempre stato un "facciamo sesso e poi ci rifugiamo tra le coperte dei nostri letti da soli". Perché così è più semplice, così c'è meno il rischio di affezionarsi, così non si è costretti a rivedersi il giorno dopo, a salutarsi la mattina, a darsi magari pure uno stupido bacio del buongiorno. Così è più comodo.

Ma la sera di San Valentino, Heaven non se l'era sentita di tornare a casa.
Aveva bevuto troppo vino e avevano fatto sesso fino a notte fonda. Dopo la prima volta sul bancone della cucina di Harry, non si erano più fermati: ogni volta che credevano di essere sfiniti, di aver consumato l'ultima fibra l'uno dell'altro, si ricredevano, prima per un bacio, poi per qualche carezza. E le mani andavano in posti proibiti, gli occhi si chiudevano dal piacere, le dita si aggrappavano alla carne lasciando dei segni che per diversi giorni sarebbero rimasti a ricordare loro che certi momenti, certe emozioni, certi piaceri, resteranno anche quando proprio quei segni svaniranno.

E quella notte, Heaven rimase a dormire da Harry.
Gliel'aveva chiesto lui. Un minuto prima si stavano contorcendo tra le coperte, quello dopo si stavano guardando negli occhi e quello dopo ancora Harry le stava accarezzando il viso con la punta delle dita e l'udito con il suono basso della sua voce.

«Resta a dormire.»

E Heaven l'aveva guardato, un po' ancora frastornata e assopita dal piacere che avevano provato, un po' incapace di rinunciare a quegli occhi verde giada, a quelle carezze, alle sue mani, al suo profumo e a quel calore che le ricopriva il petto e che non la faceva sentire più perennemente angosciata.

«Domani mattina devo lavorare.» Pronunciò a bassa voce.

Che non era il ragazzo che voleva persuadere dall'idea di farla restare a dormire, ma era sé stessa che voleva provare a convincere che avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa, nel suo letto, lontana da lui e da quello che le faceva provare. Perché lei in primis lo sentiva e lo percepiva, anche se fingeva che così non fosse, anche se si ripeteva in continuazione che non poteva essere, che non era vero, che era assolutamente fuori discussione, che tutto quello non era solo sesso, che non lo era mai forse neanche stato, nemmeno dal primo momento, neppure dal primo sguardo.

«Domani mattina puoi andar via anche all'alba. Io non ti tratterrò. Ma per stanotte...» le sussurrò sulla bocca, guardandola negli occhi e continuando ad accarezzarle il viso con la punta dei polpastrelli. «Stanotte rimani.»

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