- Hai trovato qualcosa? -
- No, nessuna traccia. - Ledah sospirò e si guardò nuovamente intorno, contemplando per l'ennesima volta la desolazione che li circondava.
Se non fosse stato per le immense costruzioni che si innalzavano fino al cielo, non si sarebbe potuto dire che erano veramente entrati nella capitale. Da quando erano giunti lì circa tre giorni prima, non avevano fatto altro che girare per le silenziose strade di Alfheim alla ricerca di un indizio che potesse fornire loro delle risposte. La città elfica sembrava essere stata abbandonata da tempo immemore. Le sue mura di pietra, viste dall'esterno, promettevano riparo e sicurezza, la possibilità per gli abitanti di Llanowar di trovare salvezza dalla disastrosa battaglia.
"Invece hanno trovato una morte ancora più atroce." pensò amaro, mentre camminava nel labirinto vicoli deserti.
Gli edifici erano ammassati gli uni sugli altri, blocchi bianchi pieni di fenditure ricoperti da edere e licheni cotti dal sole. Passarono oltre i mucchi di alcune macerie, probabili residui di case crollate. Udì un inquietante "crack" sotto i suoi piedi, come di ossa rotte. Fece un passo indietro, allontanandosi dal cadavere di un bambino riverso a terra dal viso gonfio a causa dei gas sprigionati dal progredire della putrefazione. La mano sicura di Airis si posò sulla sua spalla come per non farlo inciampare, ma lei non disse nulla, limitandosi a spostare il corpo per consentirgli di passare. Camminarono ancora fino ad arrivare alla piazza del mercato, un punto in cui le sei strade principali venivano ad intersecarsi. Lo stesso punto da cui erano partiti poche ore prima. Si sedettero sui resti di un grande albero, esausti per la lunga camminata. Il loro fiato si condensava nell'aria gelida che era scesa sulla città.
- Non possiamo continuare a girare a vuoto. - cominciò Airis strofinandosi le mani, - Siamo qui già da tre giorni e non abbiamo ancora trovato nulla. Sarebbe meglio che ci dirigessimo direttamente a Shelwood, prima di morire congelati. -
Ledah la fissò, soffermando il suo sguardo sulla nuova armatura argentea che la guerriera aveva indosso. Durante il loro primo giorno di ricerca avevano trovato la bottega di un armaiolo ed entrambi avevano potuto cambiarsi degli abiti logori che portavano addosso. Lui aveva optato per una tunica nera, stretta in vita da una fascia violacea. Gli schinieri e i guanti corazzati erano di ottima fattura, senza alcuna decorazione aggiuntiva, mentre gli spallacci e la leggera corazza erano istoriati con oro e argento lavorati in fantasiosi arabeschi. Sulle spalle portava un mantello blu come la notte di doppia lana. Lei, invece, aveva quasi ritrovato il suo vecchio equipaggiamento. Ogni parte della sua nuova armatura, dal pettorale agli schinieri, erano praticamente uguali a quelli che aveva. Persino l'elmo raffigurante la testa di un lupo poteva essere lo stesso che aveva addosso il giorno della battaglia.
- Lo so che non possiamo andare avanti così, però sono certo che qui ci sia qualcosa. - disse l'elfo quasi a mezza voce, - La città è grande, come hai potuto constatare anche tu. Ci manca ancora la parte nord da esplorare. -
- Se pensi di trovare qualcuno di vivo... -
- Non ho detto questo. - l'elfo pronunciò la frase quasi ringhiando, - Ho detto solo che non voglio andare via da qui senza prima aver appurato la causa di tale catastrofe. -
- E con il cibo? Come faremo? Se rimaniamo qui ancora, diventeremo anche noi cadaveri. - sbottò Airis, chiaramente infastidita dalla sua risposta.
A questo non aveva proprio pensato. Tutti gli alberi che un tempo sorgevano in ogni angolo della città erano stati ridotti a esili corpi neri, più o meno carbonizzati. Nei giorni precedenti erano riusciti a sopravvivere cibandosi di radici e addentrandosi nelle case diroccate. In un cortile, scampato miracolosamente al disastro, avevano trovato un patio invaso da vigne e una polla d'acqua pura e fredda. Quei giorni erano stati baciati dalla fortuna, ma sapevano entrambi che non potevano continuare così. Per non parlare delle notti trascorse in quelle stanze vuote, piene di spettri e ombre.
- Non possiamo rimanere qui un giorno di più, hai perfettamente ragione. - con grande sorpresa di Airis, l'elfo si alzò. Il mantello svolazzava al vento, gonfiandosi al contatto con la corrente fredda. - Ci metteremo in viaggio ora, così da poter abbandonare la città per le prime luci dell'alba. -
- Quanto ci dovremmo mettere, più o meno? -
- All'incirca un paio d'ore. Se potessimo seguire la strada principale, ci impiegheremmo anche meno, ma... - guardò alla sua destra, dove la strada dalla quale erano giunti si inoltrava nell'intrico di case e palazzi, - ... non penso sia agibile. -
Anche Airis si volse nella stessa direzione: - Sì. Qualunque cosa sia successa, la maggior parte delle persone si sarà sicuramente ammassata su questo stradone per fuggire più in fretta. - con un balzo si alzò anche lei, portandosi al suo fianco.
Il suo profumo gli invase le narici. La sera in cui si erano accampati in quel giardino segreto, oltre a trovare dei viveri avevano anche avuto modo di lavarsi. A turno si erano immersi nell'acqua e, quando era giunto il turno di Airis, Ledah non aveva resistito alla tentazione di spiarla, accarezzando con gli occhi quella schiena nivea, i capelli color fiamma e i seni sodi, bagnati dalla luce lunare. Un leggero rossore gli aveva imporporato il viso, mentre le osservava le mani passare lungo quel corpo sinuoso e delicato.
In quel momento gli era sovvenuta una strofa che aveva sentito cantare da un bardo: "Ho amato una fanciulla con il tramonto nei capelli e dalle labbra di petali."
Aveva fatto per alzarsi, ma la consapevolezza della natura del suo desiderio l'aveva bloccato. Si era passato una mano sul volto, imbarazzato dai pensieri che gli erano passati per la testa: gli elfi non giacciono con gli umani.
- Mi stai ascoltando, Ledah?- la voce di Airis lo riscosse da quel ricordo.
- S-sì... certo, hai pienamente ragione. - balbettò, cercando di sfuggire a quelli occhi indagatori.
La donna incrociò le braccia al petto, senza distogliere l'attenzione da lui: - E dimmi, mio carissimo Ledah... che cosa ho detto sinora? -
Preso in contropiede da quella domanda, l'altro cominciò a guardarsi attorno, come alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo a uscire da quella situazione.
La guerriera parve leggergli nel pensiero: - Guarda, siamo solo io, te e i sassi, e da quel che so io questi ultimi non parlano. -
- Stavi... stavamo discutendo su quale strada prendere... - biascicò.
- Questo l'ho detto una decina di minuti fa. - lo fissò coi suoi occhi di un freddo verde smeraldo, - Mi stai dicendo che ho parlato a vuoto, per caso...? - il tono sempre più duro non prometteva niente di buono.
Ledah si concentrò per riportare alla mente la conversazione, ma nella sua testa c'era il vuoto più totale. La ragazza sospirò, scostandosi una ciocca di capelli ribelli.
L'elfo era già pronto a una scenata, ma lei parlò con estrema calma: - Dicevo... non hai idea di cosa possa aver causato tutto ciò? Da nessuna parte abbiamo trovato i segni di una battaglia e i cadaveri sono ancora perfettamente intatti. -
Scosse la testa: - E' sicuramente opera di un qualche incantesimo, ma che io ricordi nessuno di quelli usati dal Concilio prevede un apporto di energia così elevato da dover sacrificare delle vite. - "A meno che non abbiano usato la magia nera o una qualche formula proibita." Volse lo sguardo verso un punto preciso della città e aggiunse: - Dobbiamo andare verso il Signore della foresta. Lì troveremo sicuramente qualcosa. -
Prima che Airis potesse fare delle domande, Ledah si era già avviato verso un vicolo parallelo alla strada principale. Anche questa aveva alcuni cadaveri che la ostruivano, ma sicuramente ci avrebbero messo molto di più se avessero deciso di proseguire su una delle strade maestre. Passarono sempre attraverso vie secondarie. Spesso l'elfo dovette fermarsi ad aspettare la sua compagna, che faticava a seguire i suoi movimenti rapidi e veloci.
- Ti ho ridato la vista per facilitarti la vita, sai? - la sfotteva, mentre agilmente si destreggiava attraverso quel labirinto di pietra, lasciandosi dietro gli improperi dell'altra, sussurrati a mezza voce.
Stava scartando nell'ennesimo vicolo, quando si fermò sul posto. Erano in mezzo a un piccolo crocevia. Sui lati si ergevano i ruderi di antiche case e le carcasse di due grandiosi alberi ai piedi dei quali giaceva l'ormai comune massa di cadaveri. L'elfo annusò l'aria, i sensi tesi a captare ogni singolo movimento.
Airis si appoggiò alla sua schiena, sfilando con un sibilo metallico la spada dal fodero: - Non siamo soli. -
- Sono ovunque. Qualunque cosa siano, ci hanno circondati. - Ledah incoccò una delle frecce, studiando l'ambiente con circospezione.
La neve aveva cominciato a cadere, coprendo ogni cosa con un leggero velo di bianco, mentre il loro respiro si condensava nell'aria gelida. Un ringhio vibrò nel silenzio. Dai resti di una casa incendiata emersero delle figure canine dal pelo irto e nero. Uno di loro li fissò, digrignando le zanne umide di bava mista a sangue.
- Uh... ho sempre desiderato un cucciolo tutto da coccolare. - Airis fece roteare l'arma, assumendo una posizione difensiva.
Uno dei lupi ringhiò e subito saltò loro addosso assieme ai suoi compagni. Ledah scartò rapido verso una trave poco distante, allontanandosi dalle fauci di una di quelle bestie. Si accucciò, tese il filo dell'arco e pronunciò una singola parola, lasciando che la magia fluisse e illuminasse i simboli incisi nel legno. Una decina di frecce piovvero su quella massa di cani, conficcandosi nelle loro schiene. Alcuni caddero trafitti in più punti da quella tempesta d'acciaio. Un lupo tentò di alzarsi, ma la sua testa, mozzata prontamente dalla lama della guerriera, rotolò di lato, infradiciando il terreno. Ledah scoccò ancora, perforando il torace ad un altro. Intanto, Airis brandiva la spada con una destrezza e un eleganza senza eguali, mutilando e sfondando i corpi di quelle bestie, morte nera ammantata da una corazza di luna. Molti lupi però continuavano ad arrivare da ogni parte, attirati dall'odore del sangue.
L'elfo girò la testa a destra e a sinistra, tentanto di mantenere il sangue freddo.
"Dannazione, sono troppi."
Si voltò e senza esitare scagliò un'altra freccia nel cranio di quello più vicino. La donna stava tenendo testa a tutti, ma Ledah vedeva che i suoi movimenti diventavano sempre più lenti, i colpi sempre più deboli. Non avrebbe resistito ancora per molto.
Sfoderò una delle due daghe che portava appese alla cintura e si lasciò cadere, conficcando la lama nella schiena di una bestia alle spalle di lei.
- Andiamo! - l'afferrò per una mano e insieme cominciarono a correre attraverso i vicoli.
La neve li rallentava vistosamente e la fatica cominciò presto a morder loro gli arti. Ledah sentiva la daga pesante e il braccio che gli doleva.
Un lupo sbucò dal nulla. Con un colpo trasversale Airis gli aprì la gola e ripresero a correre.
- Siamo quasi arrivati! Forza, corri! -
Si fecero strada in mezzo ai corpi, cercando di non scivolare sul quel terreno così fangoso, mentre alle loro spalle i richiami animaleschi dei loro inseguitori si facevano sempre più vicini. Giunsero in una piazza enorme, dove si ergeva un alto palazzo ancora in buona parte intatto.
- Ci siamo! Dai, non mollare! Ce l'abbiamo fatta. - tirò ancora di più, aumentando la velocità di quella folle corsa.
Improvvisamente, la mano di Airis scivolò via, mentre questa si accasciava a terra. Un lupo le fu subito addosso, le zanne snudate in un ringhio famelico. Impugnando anche la seconda daga, l'elfo la conficcò nel collo della bestia, mentre l'altra si apriva un varco dalla spalla all'ascella.
Raccolse la spada, si caricò in spalla la compagna e riprese a correre, cercando di bruciare quei pochi metri che lo separavano dal palazzo. Salì gli scalini e diede una spallata al portone di legno massiccio. I cardini cigolarono, ma non cedettero. Ignorando i crampi della fatica, Ledah ne diede un'altra e un'altra ancora. I lupi erano ormai dietro di loro, poteva sentirne i ringhi sommessi. All'ennesimo colpo, il portone si aprì e loro rotolarono dentro. Con un ultimo sforzo, l'elfo spinse le porte, chiudendole con un grande schianto. Si accasciò al suolo esausto, la schiena appoggiata al legno che veniva raschiato dai loro ferali inseguitori.
Si trovavano in una specie di tempio a pianta rettangolare, diviso in tre navate. Il pavimento era cosparso di cocci e frammenti delle statue che una volta adornavano quel luogo sacro. Le colonne in marmo bianco che catturavano la debole luce proveniente dall'esterno sostenevano degli imponenti archi a sesto acuto, sui quali dovevano essere stati dipinti degli splendidi affreschi della storia elfica. Ampie vetrate ricoprivano i due muri laterali, filtrando gli ultimi raggi del sole in un caleidoscopio di colori. Alla fine della navata centrale, nella zona absidale, si ergeva in tutta la sua maestosità il Signore della foresta, il cuore stesso di Llanowar.
Ledah si avvicinò a tentoni fino ad Airis, per poi stringerla a sé.
"Cosa le è successo prima?" le passò una mano sulla fronte, scostando le ciocche rosse, "Forse è svenuta dalla fatica..."
La guerriera respirava regolarmente, come se stesse dormendo. L'elfo la scosse delicatamente e lei dopo un paio di secondi aprì gli occhi.
- Cosa è successo...? -
- Sei svenuta mentre correvamo. Forse ti sei affaticata troppo durante lo scontro. -
Si tirò su a sedere, massaggiandosi le tempie.
- Ti senti bene? - insistette l'elfo.
- Sì... il combattimento è stato estenuante. - gli sorrise debolmente, - E mi ha portato via tutte le forze... -
- Sicura sia stato solo questo? Sei svenuta così, all'improvviso, e sei così pallida, - allungò la mano, ma lei si ritrasse prima che potesse sfiorarla.
- Sì, sto bene, non ti preoccupare. -
Ledah la scrutò a lungo, cercando di capire se stesse mentendo o meno. "Non sta male, ma non vuole dirmi cosa le è preso prima."
- Va bene. Ce la fai ad alzarti?-
Lei scosse la testa e, accettando la mano che le porgeva, si rimise in piedi. - Dove siamo? -
- Ci troviamo nel tempio dedicato al Signore della foresta. - indicò un punto in fondo alla navata, godendosi lo sguardo meravigliato di Airis.
Il Signore della foresta era un albero immenso, dalle radici robuste che affondavano nel terreno ancora fertile. I rami nodosi si dispiegavano su tutto il soffitto, intrecciandosi gli uni con gli altri a formare una rete di fiori e foglie. Airis fece un passo in avanti, come per riempirsi gli occhi di tutta quella bellezza.
- Quello è il vero cuore di Llanowar, è lui che mantiene l'equilibrio nella foresta e che ci permette di vivere in armonia con essa. - posò la mano sulla sua spalla.
- Ma... perché non è bruciato assieme al resto...? -
Ledah sospirò e un'ombra gli oscurò lo sguardo: - Non è bruciato perché la magia che scorre in lui l'ha protetto. Ma ora sta soffrendo. Soffre per tutte le vite che sono state stroncate, come una madre piange la morte dei suoi figli. - abbassò lo sguardo, poi inspirò profondamente, cercando di scacciare la malinconia. - Dai... andiamo a vedere se riusciamo a trovare qualcosa. - svelto, si diresse verso una delle panche rovesciate, destreggiandosi tra foglie e le statue cadute di antichi eroi.
- Cerchiamo qualcosa in particolare? - Airis sbirciò in ogni direzione, divisa tra lo stupore e la curiosità.
- Cercherò di essere breve... in natura esistono due tipi di magie: quella cosiddetta bianca e quella nera. Noi elfi solitamente usiamo quella bianca, che ci permette di sfruttare la natura a nostro vantaggio, senza però sottometterla con la forza al nostro volere. Quella nera, invece, viola tutte le leggi che regolano l'universo e le sovverte. - la fissò, - Spesso richiede un sacrificio per essere utilizzata. -
- Mi stai dicendo che l'ondata magica...? -
- Esattamente, è opera di un qualche incantesimo proibito. - si fece largo fino alle radici del Signore della foresta, - E tutti gli abitanti di Llanowar sono stati il prezzo da pagare per attivarla. - fece per avanzare, quando udirono un battere di mani dietro di loro.
Poi una voce li apostrofò con tono canzonatorio: - Ma bravi, ci siete arrivati, finalmente! - uno sguardo di fuoco si posò su Airis, - Generale Airis Lullabyon... quanto tempo. Sono felice di rivederti. -
- Tu... tu dovresti essere morto! - la guerriera lo fissò ostile, sfoderando l'arma.
Un ghigno di compiacimento si dipinse sul volto dell'uomo, un volto martoriato dalle fiamme e da molte ferite in suppurazione: - Oh... sono morto tanto quanto lo sei tu, carissima. E vedo che sei in dolce compagnia. - si passò la lingua sulle labbra tumefatte, - Da quando ti scopi un elfo, mio amato generale del lupo? Non pensavo avessi un così grande amore per l'orrido. -
Ledah si frappose tra i due: - Airis, chi è costui? -
Una risata sguaiata rieccheggiò per i corridoi: - Oh... la tua puttana non ti ha parlato di me? Peccato... allora mi dovrò presentare da solo. - sguainò una spada dalla lama scheggiata in più punti, con l'elsa finemente lavorata a ricreare l'effige di un leone ruggente, - Io sono Ignus, terzo comandante della cinquantesima legione. E adesso vengo a prendere le vostre testoline... - posò lo sguardo su Ledah, - Tanto lei ha detto che l'importante è che glielo porti, non ha specificato se vivo o morto. -
L'elfo impugnò entrambe le daghe: - Mi dispiace, ma non abbiamo tempo da perdere con uno sbruffone come te. -
Ignus si scostò il mantello di un arancio sbiadito con noncuranza: - Ah, forse cercate questo? - tirò fuori un libro dalla copertina consunta e dalle pagine ingiallite dal tempo.
Ledah strabuzzò gli occhi.
Il generale sghignazzò, poi lo nascose di nuovo sotto la stoffa: - Se volete le vostre risposte, venitevele a prendere, bambocci! -
Ledah scambiò uno sguardo eloquente con Airis, poi, senza pensarci due volte, si avventò su Ignus
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Fuoco nelle Tenebre
Fantasy[ Primo libro della trilogia 'Guardiani'.] Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo...