Il cristallo

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 Ledah non riusciva a muovere nemmeno un muscolo

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 Ledah non riusciva a muovere nemmeno un muscolo. I frammenti di legno spingevano contro la schiena e le gambe, dandogli la sensazione di mille aghi che gli perforavano le pelle. Si guardò intorno frastornato e si maledisse per essere stato così stolto. L'idea di salire sui tetti per sfuggire alle grinfie della guerriera si era rivelata estremamente controproducente fin dall'inizio: le tegole erano state rese scivolose d alle piogge torrenziali degli ultimi giorni ed era bastato un niente per farlo precipitare di sotto. Insomma, non era proprio la stessa cosa che saltare da un ramo all'altro.

Osservò con stizza il ghigno beffardo dipinto sul viso di Airis: lo stava fissando da un paio di minuti, gustandosi soddisfatta la sua personale vittoria. La fissò a sua volta, cercando di non far trapelare il dolore che si diramava in tutto il corpo. In particolare, trovava insopportabile quello che gli martellava il posteriore, sul quale, per l'appunto, era atterrato. Resistette stoicamente e non esibì alcuna smorfia, benché la faccia gli dolesse per lo sforzo: era già stato abbastanza umiliante scivolare dal tetto, non gli sembrava il caso di uccidere ulteriormente il suo orgoglio.
Airis si avvicinò ansante, senza distogliere lo sguardo da quello di lui: - Hai intenzione di toglierti la maschera, oppure devo provvedere io? -
Nel suo tono di voce Ledah poté percepire chiaramente una rabbia a stento controllata. Probabilmente, se non fosse stata così provata dalla corsa, non avrebbe esitato a saltargli addosso per riempirlo di botte.
- Allora? Non credere che non sia in grado di farlo. -
Airis fece ancora qualche passo verso di lui. La gonna del bel vestito blu, già abbondantemente imbrattata di fango, strisciò sull'acciottolato e il corpetto era umido a causa del sudore. L'elfo pensò che un tempo quel vestito doveva essere stato un vero splendore, ma in quel momento aveva perso tutta la sua bellezza. Rotolò su un fianco cercando di allontanarsi da lei, ma i muscoli rifiutarono di muoversi e per punirlo spedirono fitte lancinanti che gli mozzarono il fiato.
Il sorriso di Airis si allargò e con un balzo annullò definitivamente l'esigua distanza che li separava. L'altro la fronteggiò combattivo, reprimendo un moto di fastidio nel notare con quanto compiacimento lei lo stesse studiando, quasi pregustando già il momento in cui gli avrebbe strappato la maschera. In qualche modo, l'averlo catturato sembrava procurarle un immenso piacere, simile a quello che provano i bambini quando riescono a vincere al loro gioco preferito. Se fosse stato possibile, Ledah si sarebbe alzato e se la sarebbe nuovamente svignata, ma ora come ora l'unica cosa che poteva fare era evitare di regalarle quella soddisfazione. Prima che lei allungasse la mano, si tolse la maschera, gettandola ai suoi piedi con un gesto brusco, in segno di sfida.
- Vedo che sei ancora capace di usare le mani, elfo. - lo schernì, visibilmente irritata.
Oh, tranquilla, le ho sempre avute, nonostante tutti i tuoi tentativi di amputarmele. - sogghignò.
I lunghi capelli rossi appiccicati alla fronte, alle spalle e al viso le conferivano un aspetto selvaggio e affascinante, però Ledah subito dopo si accorse che le guance arrossate stavano riacquisendo la loro naturale sfumatura pallida. Airis torreggiò su di lui e lo scrutò con espressione minacciosa nel palese intento di intimorirlo, ma senza la sua armatura e la sua fedele spada pareva più una ragazzina imbronciata.
Si tirò su a fatica. Il dolore non era ancora completamente sparito, ma il tempo che aveva trascorso seduto lo aveva quantomeno attenuato. Le gambe ancora tremanti sorreggevano a malapena il suo peso, tuttavia aveva il netto sentore che avrebbero potuto cedere da un momento all'altro. Se fosse caduto nella foresta, si sarebbe rialzato senza molti problemi; invece, l'impatto con la pietra e con quelle dannate casse di legno era stato più violento di quanto si era aspettato. Appoggiò i palmi sul muro dietro di sé e fece leva per issarsi, cercando di contenere i grugniti sofferenti che premevano per uscire. Il suo corpo però non resse. Tentò di non lasciarsi andare, ma le dita persero aderenza e scivolarono di nuovo lungo la parete. Chiuse gli occhi, preparandosi ad atterrare ancora sulle ginocchia indolenzite e a percepire i frammenti di legno nella carne, quando una presa salda sotto le ascelle lo sottrasse inaspettatamente all'inevitabile supplizio.
- Certo che sei proprio deboluccio. - lo canzonò Airis.
Ledah la scrutò di sottecchi e diede fondo a tutta la pazienza residua per ignorare la crudele frecciatina. Nel frattempo cercò di recuperare l'equilibrio e non pensare a quanto la vicinanza con la guerriera gli provocasse immotivate vampate di calore. Il suo cuore batteva rapido come un tamburo, ma, testardo, attribuì quella strana emozione alla fatica e allo sforzo compiuto durante la corsa. Mentre si stabilizzava sulle piante dei piedi, esaminò Airis di nascosto: sebbene fosse in pessime condizioni e il suo aspetto non fosse dei migliori, era impossibile non accorgersi di quanto fosse bella, molto più delle elfe che aveva avuto modo di conoscere durante la sua vita. Non sapeva spiegarsi cosa ci trovasse di così attraente in lei, eppure da quando l'aveva rivista alla festa non era riuscito a staccarle gli occhi di dosso o a smettere di accarezzare con lo sguardo le curve di quel corpo sinuoso. Scosse la testa, scacciando dalla mente il ricordo di quando l'aveva scorta nuda in quella casa distrutta di Alfheim, con i capelli bagnati che le aderivano alla schiena, l'incarnato niveo e delicato e l'acqua che disegnava il profilo delle sue forme, sempre celate sotto il metallo dell'armatura. Frammenti di memoria di mesi prima, che si erano impressi a fuoco nella sua mente e ancora bruciavano come marchi indelebili nella sua anima.
Era fuggito da Airis per evitare di ucciderla, per evitare che "loro" vincessero la battaglia, schiacciassero la sua volontà e lo istigassero ad affondare la spada nella sua carne morbida e calda. Aveva cercato di mettere più leghe di distanza possibili tra sé e quell'intrigante chioma rossa, eppure, nonostante tutto, ora erano di nuovo assieme. Sembrava che il destino si divertisse a vanificare tutti i suoi sforzi per salvare le persone a lui care. Ma lei non era una persona a cui teneva: Airis era il Comandante degli umani, colei che aveva distrutto l'ultimo baluardo elfico a nord di Esperya.
"Perché l'ho salvata?"
Quel pensiero lo colpì come una frustata in pieno volto.
La fissò intensamente, come se smaniasse di trovare, nascosto in quei lineamenti dolci, un qualche indizio che spiegasse la propria follia, che giustificasse il suo gesto insensato.
Sentendosi osservata, la guerriera spostò l'attenzione su di lui.
- Cos'hai da guardare? - indagò astiosa, ma perlomeno pareva meno arrabbiata rispetto a prima.
- Assolutamente nulla. Sono solo stanco. -
Serrò le palpebre e seppellì quella sensazione di disagio in fondo all'anima.
Airis rimase perplessa alcuni istanti, tuttavia non aggiunse altro.
Camminarono fino alla fine del vicolo in silenzio, finché Ledah non si appoggiò nuovamente alla parete. Allontanò la donna con uno sbuffo e un lieve strattone, quasi a volerle far capire che non aveva più bisogno del suo aiuto. Le gambe e la schiena protestarono, ma era sopportabile.
Il sole iniziò in quell'istante la sua parabola discendente e venne pian piano risucchiato oltre l'orizzonte. A occhio e croce dovevano essere passate all'incirca due ore, forse tre da quando era giunto alla festa con Melwen. Doveva sbrigarsi a tornare a casa prima che l'effetto del filtro svanisse. L'unico problema era ritrovare quella piccola peste e cercare di sbarazzarsi del Cavaliere del Lupo in tempo, magari prima di mostrarle dove viveva, sennò non se la sarebbe più levata di torno.
- Beh? Perché sei qui? -
Airis interruppe bruscamente le sue riflessioni.
- E, soprattutto, dove sono finite le tue orecchie? Te le hanno tagliate o cosa? -
- Non potevo proseguire fino al confine senza riposarmi. - mentì, ignorando il tono derisorio delle domande, - E ho camuffato le orecchie con una pozione magica. -
- Ascolta, non sono così stupida da credere che tu abbia seriamente bisogno di un letto caldo in cui dormire. Sei un soldato, per di più elfo, e sei stato addestrato a sopravvivere nelle foreste e nei luoghi più ostili, tanto quanto me. Ti conviene dirmi la verità. -
- Altrimenti? - la sfidò Ledah, il tono gelido e tagliente.
Airis si tormentò il labbro inferiore, mordicchiandoselo con insistenza. Non aveva grandi minacce da sfruttare per spingerlo in un angolo, e senza nemmeno un'arma a portata di mano sarebbe stato inutile.
- Senti, io ho molto, molto tempo libero, adesso. Potrei approfittare della sua attuale debolezza fisica per sopraffarti e costringerti per mezzo di torture a dirmi la verità. -
L'altro sospirò, esasperato.
- Inoltre, - continuò bisbigliando, - credo di aver scoperto qualcosa riguardo l'esplosione che ha devastato Llanowar. -
Ledah strabuzzò gli occhi. Accorciò le distanze in un secondo e la squadrò incredulo e sospettoso, come se in quelle iridi annebbiate potesse scorgere la verità.
- Cosa sai? -
Airis schioccò la lingua, soddisfatta d'essere riuscita ad ottenere la sua attenzione.
- Prima andiamo in un posto dove nessuno può sentirci e poi ti dirò tutto quello che so, a patto che anche tu risponda alle mie domande. Scambio equo. -
L'elfo non era sicuro se stesse mentendo o meno, ma sembrava essere l'unica ad avere qualche informazione in più riguardo a quella tragedia.
- E sia. - disse infine, - Andiamo a recuperare Melwen e poi vedremo il da farsi. -
Airis lo guardò interrogativa: - Melwen? -
- La bambina bionda che si è avvicinata alla fine del ballo. - spiegò.
- Una volta trovata, andremo a casa sua. -
La guerriera inarcò un sopracciglio, scettica: - A casa sua? E dove sarebbe? -
- A un paio di miglia dalla città. È un posto sicuro dove parlare, fidati. -
- Come faccio a sapere che non stai cercando di depistarmi? -
Ledah scoppiò a ridere, suscitando un moto di stizza nella sua ascoltatrice: - Mi hai fatto la stessa domanda la prima volta che ci siamo incontrati e, di nuovo, non penso di avere neanche lontanamente le forze per tentare un'altra fuga. Non in questo stato, almeno. -
Lei lo fissò perplessa, cercando di capire se la stava prendendo in giro, senza curarsi di nascondere la profonda diffidenza stampata in faccia. L'elfo borbottò qualcosa di indefinito, ma non aggiunse altro. Quella situazione era già abbastanza paradossale senza il suo contributo.
- Va bene, andiamo. - acconsentì Airis, scostandosi l'ennesima ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi.
Ledah sapeva che l'incantesimo si stava esaurendo, dato che era passato molto tempo da quando le aveva restituito il senso perduto e ne ebbe la conferma proprio quando la vide portarsi quel ciuffo ribelle dietro un orecchio: infatti, impiegò qualche secondo più del necessario per mettere a fuoco la sua figura quando tornò a scrutarlo. Notò che il verde si era contornato di un alone azzurro, che rendeva quelle iridi più opache, e la luce che aveva brillato in esse da quel giorno che erano entrati ad Alfheim stava scomparendo inesorabilmente. Sembrava trascorsa un'eternità. Era consapevole che l'incantesimo non sarebbe durato a lungo e glielo aveva anche ribadito, all'epoca. In più, ipotizzava che nessuna magia al mondo avrebbe potuto curare il male di Airis. Non ne conosceva la ragione, ma era quasi certo che la ferita del Cavaliere del Lupo avesse origini oscure: non era una semplice cecità dovuta ad un altrettanto semplice infortunio. A conferma di ciò, lo sguardo corse rapido alle impercettibili abrasioni che contornavano gli occhi di Airis e si chiese come se le fosse procurate o chi gliele avesse inferte.
- Pensi che Melwen sia rimasta in piazza? -
- Molto probabilmente sì. Si sarà rifugiata in qualche forno a rimpinzarsi di cibo. -
Compirono il resto del tragitto in silenzio, con Airis che quasi trascinava a peso morto Ledah attraverso le viuzze della città. Le persone che si imbattevano in loro ridacchiavano divertite e maliziose, sbirciando specialmente il vestito della guerriera e il modo in cui sorreggeva quell'affascinante ragazzo dalla chioma nera come l'inchiostro. Ledah udì i loro commenti pettegoli e piegò la bocca in una smorfia. Alcuni addirittura fecero battute a proposito di quanto dovesse essere stata selvaggia quella fanciulla, tanto da costringere un bel giovanotto dal fisico prestante a zoppicare e aggrapparsi a lei per sostenersi. Altri, invece, li riconobbero come i due strani ballerini della festa, che avevano danzato tenendosi a debita distanza, e strabuzzarono gli occhi quando la notizia del loro ipotetico e passionale amplesso giunse alle loro orecchie. All'elfo parve di scorgere un accenno di rossore sulle guance di Airis, ma forse era solo un effetto causato dal movimento delle ciocche sul suo viso o il riflesso del fuoco che ardeva nelle lanterne, disposte ai margini delle strade.
Giunsero in piazza dopo una decina di minuti. La maggior parte della folla si era dispersa e il piccolo palco al centro stava venendo smontato dagli stessi suonatori che prima avevano aperto le danze. Alcune coppie erano rimaste nelle vicinanze e, stretti l'uno all'altro, ballavano sulle note di un lento immaginario, una musica che solo gli innamorati possono udire.
Ledah ispezionò l'ambiente circostante, cercando una qualche bancarella o negozio che sarebbe potuto essere di sufficiente interesse per quella testolina bionda. Conoscendola, si era sicuramente nascosta in un posto dove poter mangiare dei dolci con le poche monete che si era portata dietro.
- Potrebbe trovarsi lì. -
Indicò una piccola bottega di fronte a loro. Non aveva insegna, ma l'odore di crostata e pane non lasciava adito a dubbi su cosa vendesse. Si scostò da Airis e insieme si avvicinarono al negozio. Non appena Ledah entrò, un dolce profumo di zucchero e canditi gli solleticò le narici, facendogli venire l'acquolina in bocca. Al bancone, vicino a uno uomo corpulento con le mani ricoperte di farina, sedeva la piccola Melwen, intenta a divorare un pasticcio di crema e fragole.
Il fornaio alzò un sopracciglio nel vedere i due nuovi clienti, ma quel baluginio di diffidenza svanì nel momento in cui si accorse che la gonna di Airis era stata violentemente strappata, lasciando una buona parte delle gambe scoperte. Un sorriso sornione gli si dipinse sul volto e, quando Ledah incrociò il suo sguardo, l'uomo gli fece l'occhiolino, quasi a volergli far capire quanto approvasse il suo gesto. L'elfo scosse la testa, ma tacque.
- Buonasera. Cosa desiderate? - esclamò allegro, invitandoli ad avvicinarsi al bancone.
- Non siamo venuti qui per mangiare... - cominciò Ledah, ma venne immediatamente interrotto dal fornaio.
- Nessun problema. Questa volta offro io, è un giorno di festa! Sarete entrambi stanchi... - buttò lì, lanciandogli un'altra occhiata significativa, mentre prendeva due dolcetti dalla teglia.
L'espressione cordiale gli conferiva un'aria quasi paterna, nonostante i lineamenti del viso duri e severi, tipici delle popolazioni nordiche.
Servì loro dei cannoli ripieni di marmellata di lamponi, cosparsi con glassa di miele.
- Su, non fate i timidi. Sono buoni, vero, Melwen? - chiese, rivolgendosi alla bambina.
La biondina distolse l'attenzione dal cibo per rispondere, ma non appena nel suo campo visivo entrarono le figure dei due clienti, emise un piccolo grido e sobbalzò sulla sedia.
- Finalmente ti sei accorta di noi, eh? - scherzò Ledah, incrociando le braccia al petto.
- Come mi avete trovata? - balbettò con la bocca impiastricciata di zucchero.
- Diciamo che ti conosco abbastanza bene da sapere dove ti saresti rintanata. -
Prese i due dolcetti e ne porse uno ad Airis, ma lei scosse la testa in segno di diniego. L'elfo fece spallucce e addentò la frolla, osservando il viso di Melwen e traendo un certo godimento dalla sua espressione sorpresa e intimorita. Si era lasciato guidare dall'istinto per trovarla e il fatto di averla scovata lì era stato un puro e semplice caso. Eppure, nemmeno quando si era accorto di essersi allontanato da lei aveva pensato che potesse accaderle qualcosa. Scrutò negli occhi la bambina e, per un istante, gli parve di scorgere un baluginio azzurro avvolgere quelle iridi brune, lo stesso riverbero che aveva notato in quelli di tutti coloro che praticavano la magia. Come Copernico.
Quando Melwen si accorse che la stava fissando, abbassò lo sguardo.
- Comunque... non ci hai ancora presentate. - biascicò giocherellando nervosamente con il lembo del vestitino, mentre con la coda dell'occhio squadrava Airis.
- Uhm... - Ledah inghiottì l'ultimo pezzo del dolce, - lei è Airis, una mia cara amica. - mentì con tranquillità.
Non aveva trovato altri termini per definire il suo rapporto col Cavaliere del Lupo e d'altra parte non gli interessava granché chiarire la cosa con la figlia di Copernico.
- Sarebbe meglio tornare a casa adesso, o tuo padre avrà sicuramente da ridire. -
Melwen aprì la bocca per protestare, tuttavia ammutolì un attimo dopo, ricominciando a tormentarsi il labbro inferiore. A Ledah non sfuggì lo sguardo carico di curiosità che continuava a rivolgergli, ma preferì affrontare quell'orda di domande fuori dalla bottega e al riparo dalle orecchie fin troppo indiscrete del fornaio.
- Dai, muoviamoci. - ordinò e si diresse verso l'uscita, seguito dai passi frettolosi di Melwen e da quelli tranquilli di Airis.
Fuori il cielo aveva già assunto le tinte notturne e l'elfo sospettava che non gli rimanesse più molto tempo, prima che l'effetto della pozione svanisse completamente. Prese la bambina per mano e cominciò a camminare a passo di marcia verso le mura della città, ignorando il pungente dolore alla gamba destra. La piccola incespicò varie volte e si lamentò, fulminandolo con un'occhiata furiosa.
La calca di quel pomeriggio si era dispersa e tutte le persone che avevano partecipato alla festa erano tornate alle loro case, lasciando in quelle vie un silenzio assoluto, rotto solo dal rumore dei loro passi sull'acciottolato. Il moro tirò un sospiro di sollievo, tranquillizzato da quella nuova calma così simile a quella che regnava a Llanowar dopo i festeggiamenti in onore del Signore della Foresta. Ricordava i bambini che si rincorrevano sugli alberi con il volto disteso in un'espressione di pura gioia, divertendosi nei loro giochi infantili in seguito alla preghiera di rito ai piedi del maestoso albero, che costituiva il cuore della loro foresta. Il loro destreggiarsi in mirabolanti acrobazie fingendosi dei guerrieri lo aveva sempre riempito di una placida serenità. Forse, alla fin fine, il mondo umano e quello elfico non erano così diversi come aveva sempre pensato.
Giunti alle porte della cittadina, proseguirono oltre l'enorme ed imponente entrata. Le poche sentinelle che erano lì di guardia non sembrarono fare caso a loro, ma a Ledah non sfuggirono le occhiate che scoccarono ad Airis, quando questa passò loro accanto. Lei continuò a camminare a testa alta, orgogliosa e fiera, perfettamente a suo agio. Sembrava non le importasse di essere oggetto del desiderio degli uomini, quasi non fosse veramente cosciente di quanto la sua bellezza potesse risultare conturbante, soprattutto ora che aveva tutte le gambe in bella mostra.
"Forse è abituata ad essere fissata in modo strano. So che ci sono ben poche donne nell'esercito umano, ma non così poche! Anche se, che io sappia, nessuna donna ha mai ricoperto una posizione di potere come la sua."
- E' davvero solo una tua amica? Myria, la donna che era con me fino a poco fa, ha detto che probabilmente siete molto più che amici. - lo interrogò Melwen riscuotendolo dalle sue elucubrazioni, facendo cenno col capo ad Airis.
- Ovvio che è solo una mia amica. Ti devo ricordare cosa sono io e cosa è lei? - la freddò, scocciato da quell'infantile curiosità, - E comunque, quella donna non ci conosce. Non può dire una cosa simile. -
- Ma allora perché avete ballato insieme? - chiese imbronciata, mentre lo seguiva con passo incerto, - Sì, insomma... sembravate volervi molto bene. -
"Voler bene a un'umana?!"
Il pensiero lo colpì con veemenza, riportandogli alla mente i sentimenti contrastanti che aveva provato mentre danzava con Airis, e per un attimo si domandò se anche la guerriera avesse sentito qualcosa.
- E' stata solo una tua impressione, Melwen. - ponderò le parole con cautela, cercando di non far trapelare nessun tentennamento nella voce, - Io e lei siamo soltanto amici. Ci siamo ritrovati per caso a ballare insieme, nulla di più. -
- Infatti. - la voce di Airis riecheggiò alle loro spalle, facendo trasalire la bambina.
La guerriera non aveva parlato per tutto il tragitto in città, astenendosi dal fare commenti superflui, forse perché voleva evitare di attirare l'attenzione più di quanto già non facesse.
- Tra umani ed elfi non corre buon sangue. Io e Ledah siamo stati costretti a diventare "amici", ma tra di noi non ci può essere niente di più. Myria ha una fantasia piuttosto fervida, quindi non prendere tutto quello che dice per vero. - dichiarò ponendo fine al discorso, - A proposito, sai dov'è? -
La bambina scosse la testa: - No. È rimasta con me fino a qualche minuto prima che voi arrivaste. Poi non so perché è schizzata via passando dalla porta sul retro, quando ha visto che vi stavate avvicinando. Prima di uscire l'ho sentita dire qualcosa sull'amore tra i giovani, ma non ho capito di cosa parlava. -
Airis si passò una mano sul viso e scrollò le spalle esasperata.
Per il resto del percorso nessuno fiatò. La foresta di alberi sempreverdi si stagliò presto all'orizzonte in tutta la sua maestosità. Era una macchia fitta e quasi impenetrabile, che si estendeva per miglia, fino ai monti Eresse, i più alti rilievi di tutta Esperya. Da dove si trovavano loro era impossibile vedere l'enorme distesa deserta lasciata dall'esplosione che aveva incendiato buona parte di Llanowar, ma nella memoria di Ledah era rimasta impressa la devastazione che quella vampata di luce aveva causato. Gettò un'occhiata dietro di sé, incrociando il viso indecifrabile della guerriera. Airis lo fissò di rimando, incuriosita, poi assunse un'espressione sorpresa e si immobilizzò sul posto.
"Perché mi guarda come se avesse appena visto un fantasma?"
L'elfo si toccò la faccia, cercando di capire cosa avesse causato quella reazione.
- Ledah... - Melwen lo guardò dal basso con aria di superiorità, - sei tornato normale. -
L'arciere sbatté le palpebre, per poi sfiorare in punta di dita le orecchie appuntite, che adesso sporgevano dai disordinati ciuffi neri.
"Almeno non è successo in città."
Osservò la ragazza, che ancora stentava a credere a quello che aveva appena visto. Che la magia fosse una cosa normalmente accettata in entrambe le popolazioni era cosa risaputa, ma tra gli umani erano ancora pochi quelli che riuscivano a padroneggiarla con la stessa perizia degli elfi.
- Coraggio, c'è ancora mezzo miglio da percorrere. - la informò Ledah, cercando di nascondere un sorriso divertito di fronte allo stupore di Airis.
Dopo un po', davanti a loro apparve una piccola casetta. Le mura in pietra bianca, il tetto spiovente e le finestre ornate dalle surfinie in fiore conferivano all'abitazione un'aria accogliente, ancor più accentuata dall'intenso e gustoso profumo di carne che proveniva dall'interno e che sembrava invitarli ad entrare. Non appena si avvicinarono, la porta si aprì e Copernico fece capolino sulla soglia. Ledah notò che indossava la stessa tunica violacea di quella mattina e, a giudicare da alcune macchie di terriccio, intuì che anche quel giorno il mago fosse tornato nella foresta ad indagare.
- Papà! -
Melwen corse incontro al padre e gli saltò al collo, stritolandolo in un abbraccio. L'uomo barcollò, sbilanciato dall'impeto della bambina, e per un attimo Ledah temette che cadesse assieme alla figlia. Un istante più tardi però riuscì a recuperare l'equilibrio.
- Ehi, piccolina. Ti sei divertita oggi? - le chiese mentre le scompigliava i riccioli biondi.
- Sì! È stato meraviglioso! - esclamò contenta, schioccandogli un bacio sulla guancia.
Copernico sorrise a quel gesto d'affetto e stava già per rientrare, quando la sua attenzione fu calamitata dalla ragazza che sostava accanto a Ledah.
- Vedo che abbiamo ospiti, stasera. - osservò gioviale, soffermandosi sulle condizioni piuttosto misere in cui era ridotto l'abito di Airis.
- Sì, lei è un'amica di Ledah. - illustrò Melwen e si girò a guardare i due con un sorriso furbo.
- Un'amica? -
Copernico fissò l'elfo con aria severa, scrutandolo grave per cercare di capire che significato dovesse dare a quel "amica".
- Ti spiego dentro. - glissò il moro.
La gamba gli doleva più di prima e aveva i nervi a fior di pelle per lo stress di quella giornata. Il mago parve comprendere il suo stato d'animo, perché entrò in casa e fece loro segno di seguirlo.
Percorsero il breve corridoio che partiva dall'ingresso e pochi secondi dopo si affacciarono nel piccolo soggiorno arredato in modo spartano, dove la moglie del padrone di casa, Margharet, stava intrattenendo con una bambola la sorella più piccola di Melwen.
Non appena la donna udì i loro passi, sollevò lo sguardo coperto dalle spesse lenti di un paio di occhiali da vista e con grande sorpresa realizzò di avere un'ospite inaspettata.
- Buonasera! -
Si alzò in piedi impacciata, prendendo in braccio la neonata e osservando con curiosità la ragazza rossa vicino all'elfo. Quando si avvide anche lei dello stato in cui versava il vestito di Airis, avvampò imbarazzata e indirizzò un'occhiata rapida a Ledah.
- Lei sarebbe...? -
Prima che riuscisse a terminare la frase, Copernico la interruppe: - E' un'amica di Ledah. Credo sia sufficiente per ospitarla da noi questa sera. -
- Ma certo! Benvenuta. -
L'uomo mise giù Melwen e, dopo averle stampato un bacio sulla fronte, la sospinse verso sua madre. Margharet rimase perplessa per alcuni istanti. Poi, dopo un veloce scambio di sguardi con il marito, si eclissò in cucina, portando con sé le due bambine.
I tre rimasero soli e l'atmosfera si riempì di tensione.
L'elfo si accasciò con un sospiro su una delle sedie disposte intorno al tavolo al centro della stanza. Il dolore alla gamba gli mandò un'ultima, forte scarica, per poi cominciare a scemare. All'improvviso si sentì piombare addosso tutta la stanchezza accumulata sin dal mattino e ponderò seriamente di congedarsi e trascinarsi in camera, per trovare ristoro nel morbido letto che la famiglia di Copernico gli aveva gentilmente messo a disposizione. Rifletté se proporre di rimandare la conversazione all'indomani, poiché una parte di lui non aveva la minima voglia di ascoltare il racconto di Airis. Ma sapeva che, se avesse fatto una cosa del genere, se ne sarebbe pentito. Facendo appello alle ultime energie, alzò il capo e si sedette in modo più composto.
Copernico ed Airis si fissarono con diffidenza, finché l'uomo non si sedette su un'altra sedia e invitò la ragazza a fare lo stesso. Lei declinò, appoggiandosi semplicemente allo stipite della porta.
- Allora? - esordì il mago, incrociando lo sguardo di Ledah in cerca di spiegazioni.
L'elfo prese un respiro profondo e iniziò a parlare. Il suo interlocutore lo ascoltò con attenzione, lanciando qualche occhiata di tanto in tanto alla sua ospite. Molte delle cose che gli stava confidando gliele aveva più o meno riferite quando lo aveva accolto in casa sua, ma in quel momento Ledah sapeva di dover fornire a Copernico informazioni più precise, soprattutto se con l'aiuto di Airis poteva finalmente scoprire cosa era successo il giorno dell'esplosione.
Quando arrivò a narrare del loro "soggiorno" ad Alfheim, Ledah omise i particolari che avrebbero potuto allarmare il mago, ossia la sua perdita di controllo durante il combattimento contro Ignus. Da quel giorno non aveva più udito quelle voci crudeli, ma aveva anche ricominciato a sognare la morte di Brandir e, assieme a quei frammenti di memoria, era tornata la sensazione di impotenza e odio verso se stesso, sensazione che per anni aveva relegato in fondo all'animo.
Airis inarcò un sopracciglio quando glissò su quel cruciale dettaglio, ma Ledah continuò il discorso, cercando di ignorare il suo sguardo indagatore. Avrebbe dovuto spiegare tante, troppe cose e adesso non ne aveva le forze. In verità, più che altro non provava alcun desiderio di affrontare nuovamente le sue colpe.
- Ho capito. - esalò Copernico, poi si rivolse ad Airis e la scrutò con cipiglio serio, - Quindi tu sei il famoso Cavaliere del Lupo. Credevo che i quattro Cavalieri fossero tutti uomini, sinceramente. -
- Lo sono. - la guerriera si staccò dalla parete e si avvicinò ai due, - A parte me, ovviamente. È vero che sono stata nominata Cavaliere davanti a tutta la capitale, ma è più il tempo che ho passato sui campi di battaglia che a Sershet. Potrei giurare che a quest'ora il popolo e i ministri si sono completamente dimenticati del mio volto. - sorrise amara e si sedette di fronte a Ledah.
Nella sua voce l'elfo colse una sfumatura di antica tristezza, mentre quegli occhi velati da un'imminente cecità fissavano il vuoto davanti a loro.
- Uhm... a parte te, non è sopravvissuto nessuno della tua legione? -
- Non che io sappia. -
- E quello contro cui avete combattuto, il vostro collega, Ignus, ha detto di essere morto durante l'esplosione e che colei che lo ha mandato a combattere contro di voi lo ha riportato in vita? -
- Sì, esatto. -
Copernico si morse il labbro. Un'ombra di inquietudine oscurò l'azzurro dei suoi occhi, il viso contratto in un'espressione preoccupata e il corpo rigido e teso.
- Voi... sapete che è difficile da credere, vero? - scrutò entrambi con nervosismo, - Non sto mettendo in dubbio le vostre parole, ma è assurdo che ci sia ancora qualcuno che conosce l'arte della resurrezione e che è in grado di praticarla. -
Airis sbarrò le palpebre. Ledah, invece, rimase in silenzio, studiando le reazioni della guerriera.
- Quindi non è una cosa così facile? Cioè, riportare in vita qualcuno. -
- Non sto dicendo che sia difficile. - Copernico si voltò a guardarla di scatto, - E' praticamente impossibile. Non si può ridare vita a ciò che è morto. Si può solo fermare momentaneamente l'inevitabile. -
- Ma allora chi può farlo? -
- La domanda giusta non è chi, ma cosa. -
Il mago si alzò e andò ad appoggiarsi al muro, massaggiandosi le tempie come per placare un fastidioso dolore e assumendo un'espressione corrucciata.
Quando una persona passa a miglior vita, non è possibile in alcun modo unire di nuovo l'anima e il corpo, perché l'armonia tra la forza terrena e quella spirituale, che costituisce l'intima essenza della vita, è stata definitivamente rotta. L'unica maniera per evitare che una persona destinata a morire si salvi è bloccare lo spirito prima che l'ultima catena che la lega al suo corpo si spezzi. -
Airis aggrottò le sopracciglia, pensierosa: - Catene? Nel corpo abbiamo delle catene? -
Copernico scosse la testa, come se avesse a che fare con una bambina. Guardandolo ora, Ledah capì da chi Melwen avesse ereditato quell'atteggiamento altezzoso.
- Ti sei mai chiesta come faccia un'essenza incorporea, uno spirito, a fondersi con un corpo composto da sangue, carne e ossa? -
La ragazza negò, leggermente irritata per il tono indulgente utilizzato dal padrone di casa.
- In poche parole, il nostro corpo e la nostra anima sono tenuti insieme da delle catene spirituali. Quando si muore, queste vengono recise per permettere all'anima di tornare nel suo luogo originario. Ma se qualcuno ricreasse questi vincoli a posteriori, il legame verrebbe restaurato e la persona tornerebbe a vivere. Anzi, non è esatto. - la fissò cupo, le labbra serrate in un'espressione granitica, - Per far sì che questa pratica contro natura vada a buon fine è necessario pagare un prezzo: la creatura risorta dovrà cibarsi continuamente del sangue del contraente per sopravvivere, oppure di quello di altri esseri viventi, se vuole conservare la sua personalità. In alternativa, il "Risvegliato" diventerebbe un morto vivente, senza più capacità di giudizio e in balia delle richieste di colui che lo nutre. -
Per un attimo a Ledah parve che Airis fosse rabbrividita e che un'ombra di preoccupazione le avesse attraversato le iridi, ma il cambiamento fu talmente fugace che si domandò se al contrario non si fosse trattato di una mera allucinazione. La donna, infatti, riassunse l'espressione originale in un battito di ciglia.
"Cosa stai nascondendo, Airis?"
L'elfo si morse la lingua pensieroso, cercando la risposta nel suo strano atteggiamento. La guerriera aveva disseminato svariati indizi, eppure, più Ledah si affannava per carpirli, più sembravano impossibili da incastrare. Era come se Airis avesse frammentato il suo vero essere in tanti minuscoli pezzi per impedire agli altri di comprenderla, di afferrare i suoi segreti e penetrare sotto la superficie.
- Probabilmente, anche il Cavaliere del Leone era un Risvegliato. - concluse il mago.
Nella stanza piombò il silenzio, rotto solo dal leggero brusio proveniente dalla cucina. L'atmosfera era pesante, però nessuno dei presenti sembrava intenzionato ad alleggerirla.
- Cosa c'entra tutto questo con ciò che ti ho raccontato? - indagò Ledah, anche se aveva intuito dove il mago volesse arrivare.
- L'unico essere capace di fare qualcosa del genere è un potente Lich, un demone, probabilmente lo stesso che negli ultimi tempi ha sguinzagliato nella foresta i suoi cagnolini, che hanno tentato più volte di assaltare la città. Non è da escludere che sia responsabile anche dell'esplosione. -
Ledah sussultò, sorpreso da quell'ultima affermazione: - Che interesse avrebbe a distruggere Llanowar? E perché attaccare Luthien? -
Copernico fece spallucce: - Non ne ho idea. L'unica cosa di cui sono certo è che quell'esplosione non è stata opera di magia bianca, ma senza altre informazioni non posso ipotizzare nulla. -
- A proposito di questo, - l'elfo fece un cenno col capo in direzione di Airis, - lei potrebbe aiutarci. Forse sa qualcosa di più rispetto a noi. -
Sentendosi tirata in causa, la guerriera alzò il capo, fissando la sua attenzione prima su Ledah, poi su Copernico.
- Non so molto di più di quello che voi avete pensato o visto coi vostri occhi. - cominciò, giocherellando con una ciocca rossa per scaricare la tensione, - Dopo aver perlustrato a fondo il tempio del Signore della Foresta, ho acceduto ad un passaggio nascosto che mi ha condotta in un cortile interno. Lì ho trovato i cadaveri di una decina di sacerdoti, accatastati attorno a un'enorme voragine. - deglutì, come se il ricordo di quello che aveva visto la terrorizzasse, - I loro corpi sembravano degli scheletri, per quanto la pelle era tesa sulle ossa. Era come se... -
- Come se gli avessero risucchiato la vita dall'interno? - domandò Copernico, senza staccare gli occhi da lei.
- Sì. Inoltre, proprio vicino a quella voragine c'era questo. -
Frugò nella sacca delle monete, estrasse il cristallo azzurro e glielo porse. Il mago lo guardò sbigottito, rigirandosi tra le mani quella scheggia con fare meditabondo.
- E' difficile capire di cosa si tratti, ma potrebbe essere un catalizzatore. Non è una cosa rara. Tali oggetti sono usati da gran parte della comunità magica, ma questo sembra far parte di qualcosa di molto potente, a giudicare dall'energia che ancora emana. Forse, anzi ne sono sicuro, non è stato creato da mano umana: sarebbe impossibile anche per il più bravo degli alchimisti realizzare qualcosa capace di ottimizzare fino a tal punto l'energia magica. Però questo è solo un frammento. Tocca qui. - si chinò e con il dito percorse la superficie della scheggia.
Titubante, Airis accarezzò là dove il mago le aveva indicato.
- Bene, ora fai la stessa cosa dall'altra parte. Cosa noti di diverso? -
- Beh... una delle due parti è più liscia rispetto all'altra. - occhieggiò verso Ledah come a cercare conferme.
L'elfo assentì e la imitò, anche se pensava d'aver capito cosa volesse dire Copernico e, in cuor suo, sperava di sbagliarsi.
- Il fatto che la superficie non sia uniforme, può solo significare che questa è solo una piccola parte di un catalizzatore più grande. -
- Quanto più grande? - chiese allarmato il moro.
- Non saprei dirlo con esattezza, però normalmente i catalizzatori naturali possono stare tranquillamente nel palmo di una mano. Comunque... - guardò la clessidra posta sulla panca sotto la finestra, - credo che per voi, signorina, sia tardi per tornare a casa. Per stasera potete rimanere da noi. Non abbiamo una vera e propria stanza per gli ospiti, ma nella camera di Melwen possiamo mettere un po' di pagliericcio e allestire un letto, se per voi va bene. -
- No, non voglio disturbare. E potete darmi del "tu". - obiettò.
Copernico sorrise e rispose: - Nessun disturbo. Ci hai aiutati a scoprire qualcosa in più su questa vicenda e credo che insieme potremo risolvere il mistero. E poi non è un bene che le belle ragazze se ne vadano a zonzo da sole di notte. -
In quel periodo, Ledah aveva imparato a conoscere il mago e sapeva che era una delle persone più buone che avesse mai incontrato. Anche se durante la conversazione in alcuni momenti era stato brusco e supponente, era ben conscio che quell'atteggiamento era stato causato dalla preoccupazione per la sua famiglia. Quell'inquietudine, la paura di perdere le persone a lui più care gliel'aveva vista dipinta in faccia il giorno in cui era stato accolto nella loro casa, quando, a cavallo di Raiza, era giunto con una Melwen terrorizzata fra le braccia e la lama della spada lorda del sangue dei demoni che avevano tentato di ucciderla nella foresta.
Airis aprì bocca per ribattere, ma poi tacque, sorridendo grata a Copernico: - Va bene, va bene. Grazie davvero. -
- E di che? Grazie a te. - le restituì il cristallo e si lisciò la tunica stropicciata, - Ormai la cena sarà pronta. Andiamo a mangiare, prima che si freddi. -
Fece per avviarsi in cucina, ma un attimo dopo arrestò il passo e andò nuovamente incontro ad Airis sfoggiando un sorriso cordiale, tendendole la mano: - Quanto sono stato sgarbato! Per la foga e la preoccupazione non mi sono nemmeno presentato. Il mio nome è Copernico e puoi darmi del "tu". -
Ledah si issò in piedi grugnendo, sbadigliò e con gli occhi pesanti osservò i due vicino allo stipite della porta. Per un breve momento gli sembrò che Airis sbiancasse, come se davanti a lei ci fosse uno spettro. Sbatté le palpebre impastate di sonno e provò a mettere a fuoco il suo viso.
- Anche io sono stata sgarbata. - rispose Airis un secondo più tardi, la voce leggermente tremante, - Come ti ha detto Ledah, mi chiamo Airis. -
- Beh, Airis, spero tu ti possa trovare bene in questa casa. -
Le strinse caldamente la mano e poi entrò in cucina, lasciando lei e Ledah da soli. Il viso della guerriera tornò subito ed essere la solita maschera di marmo, eppure l'elfo era convinto di aver scorto la paura nei suoi occhi.
"Sarà stata solo una mia impressione. Sì, senza dubbio. La stanchezza mi gioca brutti scherzi."  

Fuoco nelle TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora