La guerra del centesimo solstizio

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Si svegliò di mattina presto, alle prime luci dell'alba

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Si svegliò di mattina presto, alle prime luci dell'alba. Si avvolse nel mantello di spessa lana nera e cominciò a raccogliere le poche cose che aveva con sé. Ripose nella sacca da viaggio le bacche che aveva trovato e fece per poggiarla vicino a un albero dietro di lui, ma non appena si chinò un forte dolore lo bloccò, riscuotendolo totalmente dal torpore del sonno. Si tirò su lentamente. Con le dita percorse la pelle gonfia e calda vicino alla profonda ferita che gli solcava la schiena, dalla scapola destra fino al basso costato, e con cautela si sfilò la tunica nera. Un soffio di vento gli procurò un piacevole brivido freddo, che attraversò ogni fibra del suo corpo longilineo e forgiato dai duri ed estenuanti allenamenti.

"Se solo potessi medicarmi, a quest'ora non avrei questo genere di problema." pensò Ledah, mentre si guardava intorno alla ricerca delle foglie con cui creare nuovamente l'unguento.
Non erano particolarmente difficili da trovare, erano erbe abbastanza comuni a Llanowar. Non appena le intravide spuntare dal terreno, ne staccò un paio e cominciò a masticarle, ignorando il loro sapore amaro e pungente. Dopo aver ridotto il tutto a una mistura verdognola, cominciò non senza difficoltà a spalmarselo sulla schiena. Per alcuni secondi fu tentato di smetterla con quel trattamento maledettamente fastidioso e di lanciare una semplice magia curativa, ma il ricordo del ghigno di Lysandra lo fece desistere. No, era assolutamente fuori discussione liberare anche solo un briciolo del suo potere e, se lo avesse fatto, si sarebbe ritrovato sua madre e chissà cos'altro alle calcagna in poco tempo. E lui di tempo ne aveva poco. Doveva attraversare il confine e in un modo o nell'altro arrivare a Shelwood, l'unico posto in cui avrebbe potuto trovare delle risposte.
- Ti fa ancora male, elfo? Sei piuttosto gracile per essere il protetto di Aasterian. Forse ti ho fatto un po' troppo male con quella ferita? - una voce profonda lo fece voltare.
Un lupo grosso quanto un cavallo gli si fece vicino, fissandolo coi suoi occhi ambrati. Anzi, un occhio soltanto era ambrato, l'altro era di un azzurro limpido come il ghiaccio.
- Raiza, se non la smetti, non avrai solo una cicatrice di cui preoccuparti. - sibilò Ledah, stizzito dal tono canzonatorio con cui la belva gli aveva rivolto la parola, - E poi ti ho battuto, mi pare. Non penso di essere poi così poco resistente come dici tu, sai? - aggiunse con astio.
Il lupo ringhiò snudando le zanne, come se volesse attaccare, ma l'elfo non si scompose e ricominciò ad applicare l'unguento, mentre il suo respiro si condensava in dense nuvolette di vapore.
- Non si danno mai le spalle al nemico... - latrò Raiza, con una voce che a stento tratteneva la rabbia.
- Lo so, - Ledah lo guardò di sottecchi, giusto per assicurarsi che non gli saltasse addosso, - ma tu non sei il nemico. Non ora, almeno. - si girò completamente, incrociando lo sguardo ferale del suo compagno di viaggio, – Sono perfettamente consapevole che non hai digerito la tua sconfitta, ma, credimi, non ho intenzione di vincolarti per l'eternità a me. Voglio solo che tu mi porti fino al confine di Llanowar. Da lì in poi me la caverò da solo. -
Il lupo lo fissò per alcuni istanti, poi lentamente ritrasse le zanne e tornò nella penombra dell'abete sotto il quale aveva dormito la notte precedente. Ledah sospirò, indossò di nuovo la tunica e si avviò a un ruscello poco distante. Da quando l'aveva battuto in combattimento, Ledah aveva ricevuto il diritto di vita e di morte su Raiza: era la legge dei branchi di Lycos, i grandi lupi che popolavano la foresta fin dall'antichità. L'animale era stato così obbligato a piegarsi al suo volere. Peccato che non accettasse molto volentieri il fatto di essere diventato la sua cavalcatura. Ogniqualvolta doveva montarlo, Raiza faceva di tutto per rendergli la vita impossibile, dal momento in cui saliva fino a quando non si fermavano. Ormai Ledah non riusciva più a smontare agilmente dalla groppa del lupo, ma veniva puntualmente disarcionato con violenza, come il peggiore dei cavalieri. Ripensando alla caduta del giorno prima, l'elfo si deterse il volto nel tentativo di scacciare quella fastidiosa sensazione di rabbia mista a frustrazione. Non gli faceva piacere continuare a mangiare la terra, né tanto meno l'atteggiamento ostile di quella palla di pelo con zampe enormi, tuttavia se voleva attraversare in fretta Llanowar rimaneva sempre il metodo migliore. Il lupo conosceva molto bene la foresta e vista la grande simpatia che provava nei suoi confronti, avrebbe sicuramente escogitato la via più veloce per sbarazzarsi di lui.
"Tra poco sarò al confine." considerò, mentre faceva cenno a Raiza di avvicinarsi.
Si scambiarono un rapido sguardo e subito il lupo si abbassò per permettergli di montargli sulla schiena. Con un rapido balzo, l'elfo gli fu in groppa e subito si immersero nella fitta boscaglia. L'animale prese velocità in pochi secondi e altrettanto rapidamente gli alberi si chiusero intorno a loro.
Il cielo era nero e l'aria carica di umidità. In poco tempo cominciò a scendere una pioggia lenta e costante, che cancellava ogni rumore e picchiettava con insistenza irritante sul volto di Ledah.
Come da sua indicazione, il grande lupo puntò verso sud, mettendo ancora più leghe tra lui e Alfheim. Nonostante il terreno poco stabile, Raiza non aveva problemi a correre, affondando le possenti zampe nel fango solo per qualche istante e dandosi poi di nuovo slancio, l'acqua che gli imbrattava la soffice pelliccia bianca.
"Chissà cosa direbbe Brandir, se mi vedesse in questa situazione..." un sorriso malinconico si dipinse sulle labbra di Ledah, "Probabilmente mi prenderebbe in giro, oppure mi pregherebbe di chiedere a Raiza di farsi cavalcare."
Ricordava che il suo migliore amico amava veramente tanto gli animali, tant'è che una volta gli aveva confessato che, una volta finita la guerra, avrebbe chiesto di entrare nell'ordine druidico. Ledah strinse la pelliccia della bestia fra le dita.
"Non era fatto per la guerra, non si sarebbe neanche dovuto arruolare, quello stupido. Almeno ora Alya avrebbe un padre e io avrei ancora un amico."
Si fissò la mano e la vide macchiata di sangue, mentre il viso gioviale di Brandir faceva capolino dalle nebbie della memoria. Un viso infantile, sempre sorridente, contornato da una zazzera rossa. Quel giorno di tre anni prima, quel sorriso si era spento all'ombra di un salice, rivolto al suo carnefice. Quel boia era lui.
Ledah diede di speroni, ignorando il ringhio infastidito del lupo. In quel momento non era stato in grado di fare nulla, aveva potuto solo guardare impotente l'atto che stava compiendo, come uno spettatore che assiste dall'esterno, ma ricordava nitidamente il pulsare del cuore di Brandir contro la pelle della mano e la sofferenza in quegli occhi verdi, innocenti. Era fuggito da Shelwood e aveva vissuto a Llanowar come un'ombra. Dopo tutto quel tempo pensava di essere finalmente riuscito a controllarsi, di poter sfruttare l'oscurità che albergava in lui.
"Evidentemente mi sbagliavo."
Mentre abeti e querce gli passavano accanto, Ledah non poteva fare a meno di guardarsi alle spalle, quasi si aspettasse di scorgere la folta chioma rossa della guerriera che lo aveva accompagnato per giorni: Airis. Si rendeva conto che era assurdo desiderare di avere qualcuno accanto e allo stesso tempo di volerlo allontanare, ma per quanto si sforzasse non poteva reprimere ciò che provava per quell'umana. Forse era solo voglia di sesso, in fin dei conti era da molto che era in astinenza, che non stringeva una donna tra le proprie braccia. Non poteva essere di più. I mostri non sono in grado di amare.
-Ho amato una fanciulla con il tramonto nei capelli e dalle labbra di petali- sussurrò a mezza voce la frase di quella vecchia ballata.

Fuoco nelle TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora