Imprevisto

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Imprevisto

La notte era scesa su Llanowar. Dai falò al centro del villaggio danzavano delle spirali di fumo che si disperdevano nell'aria, mentre uno stuzzicante odore si diffondeva nelle case. Le voci dei bambini che giocavano a nascondino brulicavano ovunque, mentre le madri e le donne più anziane si affannavano a togliere e a rimettere la carne sul fuoco. I volti di tutti erano sereni, ma soprattutto si era diffusa una grande euforia tra gli abitanti della foresta. Non era né una ricorrenza particolare né tanto meno una festa, semplicemente festeggiavano la recente vittoria contro gli umani. Anzi, le recenti vittorie: sia Edon che Mera erano state conquistate.

Si sentivano più tranquilli ora che non dovevano più subire i loro costanti attacchi e non dovevano montare la guardia giorno e notte. Negli ultimi anni la guerra si era inasprita e non era passato un giorno in cui le urla di dolore non fossero risuonate nella foresta.

Gli elfi che stavano raccogliendo la legna da ardere vennero chiamati dalle mogli, così, avvolti in pesanti tuniche e coperti da folte pellicce, si avviarono verso i focolari, dove si sedettero aspettando che venisse data loro la razione di carne e verdure. In seguito, accorsero anche le guardie, attirate da quel delizioso profumo. Raccolti lì, tutti attorno al fuoco, i bambini ascoltavano le storie dei vecchi, storie di antichi eroi e di epoche gloriose in cui gli elfi e gli umani esercitavano il potere con giustizia e magnanimità, epoche che loro non avevano mai vissuto.

Da lontano, su una sporgenza coperta dal folto degli alberi, un'ombra osservava la scena. Si sistemò la pettorina in modo da coprire perfettamente il cuore. Il suo nome era Ledah, ma per loro, per quelli che ora si scaldavano attorno al fuoco, lui non era più nulla.

Continuando a scrutare i volti felici, ripose la faretra ai suoi piedi. Anche lui un tempo era appartenuto a quella gente ed era sceso sui campi di battaglia, facendo strage di guerrieri umani, caduti sotto i colpi delle sue daghe e trafitti a morte dalle sue frecce. Era stato il più bravo tra gli arcieri. Certo, il suo plotone era considerato il più temibile dai loro nemici, ma lui possedeva un grande talento, superiore a quello di chiunque altro. Poggiò l'enorme arco nero accanto a sé, lo sguardo perso nel vuoto. Era nato quando la guerra già imperversava e senza neanche rendersene conto aveva abbracciato l'arte di uccidere. Assieme a molti altri aveva giurato di proteggere il suo popolo e anche ora, nonostante fosse un rinnegato, continuava a combattere per loro, sperando che un giorno sarebbero stati in grado di perdonarlo, di capire cosa fosse successo veramente. Un sorriso amaro gli si dipinse sul volto: nonostante fosse passato così tanto tempo, lo credeva ancora possibile.

"Illuso." pensò, "Non ti hanno mai neanche accettato, perché mai dovrebbero riaccoglierti?" 

Eppure, guardando quei visi così distesi e assaporando da lontano la gioia che regnava, si rese conto che sarebbe voluto tornare. Rimase lì per altri minuti, poi un rumore lontano lo mise in allerta.

Fuoco nelle TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora