Inseguimento

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  Airis odiava le feste

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  Airis odiava le feste. Fin da quando aveva memoria, non era mai stata un'amante delle fiere di paese e persino il giorno della sua nomina a Cavaliere del Lupo si era velocemente volatilizzata subito dopo la cerimonia, poco prima che iniziassero le danze. Il frastuono, il miscuglio di voci, la frenesia e la baraonda che caratterizzavano le feste le provocavano spesso un senso di oppressione e smarrimento. In più la sua ben nota mancanza di socievolezza faceva sì che provasse una vera e propria repulsione per le occasioni mondane. Quando aveva scoperto che a Luthien si sarebbero celebrati i festeggiamenti in onore di Seleneide, la dea dei boschi e del raccolto, si era ripromessa di rimanere in disparte come suo solito.
La locanda in cui la comitiva proveniente da Amount-vinya aveva deciso di fermarsi era un piccolo edificio rustico, collocato vicino alle porte della città. Al proprietario, un certo Lerch, un uomo grasso con la faccia rubizza e il naso perennemente rosso, era quasi venuto un infarto quando aveva visto arrivare quella carovana di disperati. Tuttavia, non appena Alan gli aveva raccontato la loro tragica storia, preso a compassione si era offerto di dar loro ospitalità ad un prezzo irrisorio. Nonostante le stanze dal soffitto basso leggermente polverose, nessuno dei viaggiatori aveva avuto nulla da ridire: l'idea di poter finalmente dormire su soffici materassi di paglia, circondati dalle mura sicure della città, aveva scacciato in molti il nervosismo.
- Ciao, Caillean! - la salutò Myria con un sorriso raggiante, raggiungendola al tavolo a cui stava mangiando.
Airis alzò distrattamente lo sguardo dalla sua porzione di arrosto e piselli, stupita. Era strano infatti vedere la donna comparire così presto nella sala comune: di norma, la guerriera era sempre la prima ad arrivare, così da avere l'occasione di poter mangiare in santa pace, senza il fastidioso berciare degli altri ospiti della locanda.
- Buonasera, Myria. - la salutò, ricambiando il sorriso.
- Posso sedermi vicino a te? - cinguettò con un'allegria sospetta.
- Certo, prego. - con un lieve cenno della testa le indicò la sedia vuota di fronte a sé.
Myria si accomodò con grazia e cominciò ad osservare la grande sala comune con fare pensoso. Era un locale ampio e pieno di spifferi, che facevano crepitare le fiamme del grosso camino posto in fondo alla stanza. Vicino alle pareti in mattone rosso erano state impilate delle enormi botti di legno, dalle quali i servi attingevano un delizioso vino fruttato. Nelle ore dei pasti, la sala si gremiva di persone: cittadini, forestieri e contadini si mescolavano con mercanti e viandanti d'ogni regione, in un'accozzaglia di lingue, suoni e risate insopportabile per il suo udito sviluppato. Però gli abitanti di Amount-vinya adesso sembravano gradire quella compagnia, dopo giorni di solitudine e terrore. Più volte Airis aveva visto Alan e Baldur scambiare battute con le guardie di Luthien come vecchi compagni di bevute, mentre Myria cianciava con le donne di lì con la stessa complicità con cui avrebbe parlato con i propri familiari.
L'unico che rimaneva in disparte assieme a lei era Fenrir. Quando erano giunti alla locanda, Lerch aveva storto il naso alla vista del Drow che aveva quasi rischiato di non avere una camera, se non fosse stato per il tempestivo intervento di Alan, che aveva accampato prontamente una scusa, riferendo all'oste che Fenrir era un suo fedele servitore. Il volto dell'elfo, in quell'occasione, era rimasto impassibile, ma Airis aveva percepito la rabbia e la frustrazione che provava. Tuttavia, era l'unico modo per evitare di essere cacciato, data la brutta reputazione del suo popolo.
- Allora, di cosa volevi parlarmi? - indagò circospetta, ingoiando l'ennesimo pezzo d'arrosto.
- Sei a conoscenza del fatto che domani ci sarà la festa dedicata a Seleneide? -
- Ah, davvero? Non lo sapevo. - mentì.
Aveva come l'impressione di aver capito dove l'amica volesse andare a parare.
Myria si grattò la nuca e posò distrattamente lo sguardo su un giovane servo, che correva avanti e indietro trasportando su un vassoio succulenti spiedini di carne. Airis udì la voce alterata di Lerch provenire dalle cucine, segno che tra poco la sala comune si sarebbe gremita di gente, perciò inghiottì l'ultimo boccone e si alzò con l'intenzione di filarsela. Myria la fermò stringendole un polso e la pregò con lo sguardo di aspettare.
- Mi... mi accompagneresti? Sai, non conosco molto bene la città e non mi va di andare in giro da sola. - si morse un labbro a disagio.
Per un attimo Airis intravide la stessa scintilla di terrore di quando quel brigante l'aveva afferrata e sbattuta a terra. La fissò, cercando di non far trapelare la compassione: Myria era una donna forte e sapeva che non ne sarebbe stata felice.
- Allora? Posso sperare nella tua compagnia, Caillean? -
Airis fece per rispondere, quando si accorse che la sala era ormai completamente piena di avventori. Le panche, prima vuote, erano state occupate dagli ospiti di passaggio e dagli ex-abitanti di Amount-vinya, e persino un piccolo drappello di guardie si era appropriato del tavolo vicino al loro. In pochi minuti l'ambiente venne riempito da un'atmosfera vivace, caratterizzata da un sonoro chiacchiericcio condito dalle grasse risate dei commensali.
- Ne parliamo domani, va bene? -
Poi si liberò dalla stretta di Myria e si diresse a grandi falcate verso le scale. Man mano che il brusio della sala comune scemava, Airis si sentì sempre più tranquilla.
Normalmente non avrebbe avuto problemi a rimanere in mezzo a persone che non conosceva, in fin dei conti quando era diventata Cavaliere aveva dovuto affrontare una cerimonia a cui aveva assistito quasi tutta la capitale ed era riuscita a sopravvivere. In più, quando era entrata nell'esercito si era trovata molto spesso a combattere spalla a spalla con soldati di cui ignorava persino il nome e negli accampamenti era impossibile rimanersene isolati più di tanto. Però, dopo tanto tempo che si era affidata al rinnovato senso della vista, non riusciva più a tenere sotto controllo l'udito come quando era cieca. Ogni volta che le capitava di varcare la soglia di una stanza affollata, una violenta ondata di parole, battute e risate proferite da una miriade di voci dissonanti la assalivano con un impeto scioccante. Aveva l'impressione che il suo cervello venisse sballottato da forti correnti contrarie, e più cercava di arginare quei rumori molesti, più si sentiva stordita ed inerme. Per l'ennesima volta Airis maledisse Ledah e le sue magie da strapazzo, che le impedivano di condurre una vita normale. O meglio, la vita a cui era abituata.
Salì una rampa di scale, percorse uno stretto corridoio e infine arrivò davanti alla porta della sua camera. Ormai i rumori al piano di sotto erano un lieve brusio di sottofondo, ma la testa le doleva troppo per ponderare anche solo l'idea di tornare laggiù, dove aveva liquidato l'amica in modo maleducato. Ma Myria poteva aspettare fino alla mattina seguente, la sua testa no.
Si buttò sul letto con un sospiro stanco, godendosi la sensazione di morbidezza delle coperte. Strinse il cuscino al petto e si girò verso la finestra, cercando di svuotare la mente da tutti gli stralci di conversazione che era stata costretta ad ascoltare. Si concentrò sul picchiettare della pioggia sui vetri e osservò in silenzio il percorso delle gocce su di essi. Cambiò posizione e si sfilò pigramente gli stivali di pelle: erano un prestito di una delle figlie di Lerch e sperò con tutta se stessa che non si fossero completamente rovinati dopo tutta l'acqua che avevano preso.
Quel giorno il tempo non era stato dei migliori e la coltre di nubi non accennava ancora a spostarsi, continuando a tormentare Luthien con temporali intermittenti. Sembrava che anche il cielo si divertisse a metterle i bastoni tra le ruote.
Da quando era giunta lì insieme alla carovana, Airis era andata a fare un giro per la città, per cercare di capire quale legame la unisse con il suo sogno, ma ancora non aveva scoperto nulla. Era semplicemente un modesto agglomerato di case, dove le maggiori attività consistevano nella pesca e negli scambi commerciali con la vicina Nilda. L'unica cosa particolarmente pregevole di quel posto era l'antico orologio del tempio dedicato a Seleneide: era una torretta in pietra bianca, sormontata da questo grandioso marchingegno, le cui lancette e i simboli delle ore rilucevano di oro zecchino. Tale lusso per un'opera edilizia contrastava visibilmente con lo scenario circostante, assai più semplice e meno raffinato. Secondo una leggenda popolare, la sua costruzione era stata ordinata da Molek il Grande, il re che durante la guerra del Centesimo Solstizio aveva guidato le truppe umane al fianco di Arawan, il valoroso sovrano degli elfi, che aveva portato alla vittoria il suo popolo e gli alleati e sconfitto Aesir, il malvagio sovrano dei Drow. Molek aveva voluto festeggiare la vittoria contro di loro facendo costruire nella sua città natale, proprio Luthien, un monumento che ricordasse quel grandioso evento. Di solito l'orologio scandiva precisamente tutte le ore della giornata, ma durante i quattro giorni sacri a Seleneide il rintocco delle campane risuonava nell'aria soltanto tre volte, cioè nei momenti che scandivano lo scorrere della vita: l'uomo nasce come l'alba sorge oltre l'orizzonte, cresce e sboccia in tutto il suo splendore proprio come il sole raggiunge lo zenit e infine si spegne come l'astro diurno cala al tramonto.
Le venne da sorridere quando il pensiero di essere morta tornò ad accarezzarle la coscienza. Era morta anni prima, eppure camminava ancora sulla terra. Per giunta, era alla mercé di un demone con serie turbe mentali. Non sapeva se ridere o piangere del paradosso che era diventata la sua esistenza.
Poi rammentò l'incubo e il suo sguardo si incupì. Era più che certa che la città che aveva visto in sogno fosse Luthien, ma non riusciva ancora a cogliere il filo conduttore. Luthien non era stata affatto distrutta come aveva sognato, né, da quello che sapeva, vi era mai stato compiuto un massacro, almeno non di recente. Inoltre, i pochi draghi che ancora esistevano vivevano all'estremo Nord, al di là dei monti Eresse, oppure erano al servizio dell'Ordine dei Cavalieri della capitale.
''Tutto ciò non ha senso.''
Comunque non poteva essersi trattato solo di un sogno. L'intuito le suggeriva che in quello che aveva visto c'era un fondo di verità, nascosto sotto i detriti di un passato che voleva dimenticare e che invece non accennava a cessare di tormentarla.
Inoltre, c'era ancora il mistero del frammento. A prima vista poteva sembrare un banalissimo cristallo, se non fosse stato per il fatto che l'aveva rinvenuto vicino a dei cadaveri. Chiuse gli occhi al ricordo di quella macabra visione: i dieci sacerdoti col volto deformato in un'espressione di puro terrore, la pelle rugosa tirata sulle ossa in rilievo e gli occhi vitrei di chi ha visto la morte in faccia. Quel cristallo doveva aver avuto un suo ruolo durante l'incantesimo che aveva raso al suolo l'intera Llanowar, ma ancora non aveva scoperto nulla, anche perché con tutte le peripezie che le erano capitate si era dimenticata di indagare nel dettaglio.
Decise di rimandare le riflessioni all'indomani e si lasciò cullare dal tepore delle coperte e dal picchiettare della pioggia sul vetro della finestra.
Dopo un lasso di tempo incalcolabile, una voce vellutata riecheggiò nella sua mente, provocandole un brivido lungo la schiena: - Caillean, svegliati. -
Percepì il materasso piegarsi sotto il peso di una nuova presenza, qualcuno che ora le stava leccando l'orecchio, percorrendone il profilo con esasperante lentezza. Se la voce non fosse appartenuta a Lysandra, sarebbe stata piacevole da ascoltare. Aveva un tono dolce, melodioso e allo stesso tempo severo e minaccioso. Una mano gentile le scostò una ciocca dal viso, affondando poi le dita nella folta chioma rossa con irruenza. Il Lich le girò il capo di scatto e lo tenne fermo in una presa salda, gli artigli che già penetravano nella pelle sensibile della cute.
- Dai, non fare la bambina capricciosa, Caillean. Se continui a fingere di dormire, dovrò punirti. -
Airis schiuse le palpebre, incrociando quei crudeli occhi cremisi.
- Non posso neanche riposare in pace? - scherzò, nel tentativo di mascherare il nervosismo crescente dietro uno strato di ironia.
Lysandra scoppiò a ridere, evidentemente divertita dalla battuta, e Airis tirò un sospiro di sollievo. Vedere il demone con un'espressione diversa dal solito sorriso sadico la tranquillizzò. Sapeva quanto potesse essere pericoloso farla arrabbiare e già più d'una volta aveva dovuto pagare le conseguenze di una risposta sbagliata. Cibarsi della carne di Ignus era stata una di queste.
- Stasera sei di buon umore? - le chiese il Lich, mentre attorcigliava pigramente una ciocca dei capelli della ragazza attorno al dito.
- Diciamo di sì. Ora, se volessi lasciarmi dor... -
- Non prima di averti nutrita e spiegato cosa devi fare in questa città. -
Avvicinò il viso al suo ed Airis trasalì nello scorgere un lampo ferale baluginare in quelle iridi diaboliche.
- Ti avevo ordinato di eliminare un certo elemento fastidioso, ricordi? -
Le mani di Lysandra tracciarono il profilo del seno della guerriera con lentezza, stuzzicando i capezzoli nascosti sotto la tunica di lana. Airis tentò di sottrarsi a quel gioco perverso al quale la sottoponeva continuamente per umiliarla, lordandole l'anima con la sua corrosiva oscurità. Eppure, per quanto desiderasse spingerla via, il suo corpo rimase immobile e inerme sotto quelle dita, che si destreggiarono con abilità sui lacci del corpetto, aprendolo il necessario per scoprire i seni sodi.
- Come ti ho ribadito l'ultima volta, questo piccolo scarafaggio potrebbe causarmi non pochi problemi. È un grande esperto di magia elfica e conosce cose che non dovrebbe sapere. -
Le titillò il capezzolo con la punta della lingua, per poi cominciare a succhiarlo con delicatezza. Nel frattempo, le dita della mano agguantarono l'altro seno con decisione. Airis provò a dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola, strozzate da un gemito sommesso. Un fremito corse lungo il suo corpo, mentre una brama intensa e cocente le invadeva il ventre. Più si sforzava di rimanere ancorata alla realtà, più il suo corpo sembrava cedere a quelle carezze sensuali e al fascino magnetico che Lysandra riusciva ad esercitare su di lei.
Il Lich fece scendere l'artiglio lungo il petto della guerriera, sempre più giù, senza mai distogliere lo sguardo dal suo viso. Giocherellò coi lacci del pantalone, umettandosi le labbra di tanto in tanto.
- Per farla breve, il tuo bersaglio è il mago di questa città ed è molto potente. Io, purtroppo, non riesco a rintracciarlo e nemmeno i demoni che ho inviato qui una settimana fa l'hanno trovato. Ma io so che tu farai la brava bambina e lo eliminerai per me, vero? -
La sfiorò in mezzo alle gambe, disegnando il profilo delle cosce con tocchi lievi, e con la mano libera lasciò scivolare via la veste di seta nera che fasciava il proprio corpo per esporre il seno. Su un capezzolo svettò un lieve taglio sanguinante e, in uno sprazzo di lucidità, Airis si domandò quando Lysandra se lo fosse procurato. Tuttavia, l'effluvio del sangue le invase le narici e il cervello e presto avvertì l'antica fame risvegliarsi in lei, un bisogno impellente di cibarsi, di gustare sul palato quel sapore ferroso. Si avventò sulla ferita, cominciando a leccare quel nettare divino con foga animale. Non appena il liquido le scese lungo la gola, il mondo arse tra le fiamme e i pensieri vennero inghiottiti da una tempesta infuocata. Rimase solo lei e il suo urgente desiderio. Poi Lysandra si ritrasse bruscamente, allontanandosi da Airis con un sorrisetto compiaciuto.
Le passò il dito sulle labbra asciugando un leggero rivolo di sangue e, come avrebbe fatto una madre affettuosa, le chiese in un bisbiglio: - Sei sazia? -
Anzi, più una mantide religiosa, una madre che uccide e divora i suoi figli.
La guerriera assentì debolmente, ancora frastornata. Non era la prima volta che accadeva e non sarebbe stata sicuramente l'ultima, però, nonostante tutto, Airis non riusciva ad accettare che il demone avesse tutto quel poter su di lei. A più riprese aveva pensato di ribellarsi, ma sapeva che non sarebbe riuscita a sopravvivere senza il suo sangue: senza la linfa vitale di Lysandra, presto avrebbe perduto ogni stilla di razionalità e in tempi brevi si sarebbe trasformata in una non-morta, priva di qualsiasi forza di volontà. Allora, il suo corpo sarebbe caduto in balia dei capricci del demone. Ma perché ogni volta che si sottometteva alle brame di quella donna si sentiva sempre così sporca, così... sbagliata?
Strinse i pugni e affondò le unghie nei palmi per non perdere il controllo.
- Il mago che devi uccidere si chiama Copernico. - proseguì Lysandra rivestendosi, - Cerca di farlo più in fretta possibile, sa fin troppe cose su di me e su di lui. -
Airis si mise a sedere sul letto e studiò la figura di Lysandra.
- Di lui... chi? - azzardò.
Il Lich non amava particolarmente rispondere alle domande, ma quella sera sembrava di buon umore. Forse, se Airis giocava bene le sue carte, poteva carpire qualche informazione in più sui suoi piani. L'altra la guardò stizzita, gli occhi rossi che la scrutavano nell'oscurità.
- Ti ho già detto che Ledah ci serve per un certo rituale. Copernico sta indagando su quello che vogliamo fare e temo possa metterci i bastoni tra le ruote. - spiegò sbrigativa.
Airis annuì celando un piccolo ghigno divertito: allora c'era qualcuno di cui quella bastarda aveva paura.
- Svolgi bene il tuo lavoro, Caillean. Ne va della tua sanità mentale. - concluse con una nota minacciosa nella voce.
Poi, prima che la guerriera riuscisse a proferire una sola parola, la sagoma di Lysandra divenne un tutt'uno con le ombre della stanza e scomparve inghiottita dalle tenebre.
Airis rifletté. Il fatto che oltre a Lysandra c'era qualcun altro che tramava alle sue spalle non la tranquillizzava affatto, anche se comunque fin dall'inizio aveva ipotizzato che il demone avesse qualche potente alleato. Ora che ne aveva avuto la conferma doveva assolutamente scoprire chi fosse.

- Dai, smettila di fare quella faccia, Caillean! Questo vestito ti dona moltissimo, sul serio! - la blandì Myria, mentre la trascinava verso l'ennesima bancarella di sete e stoffe dai colori vivaci.
Airis tentò una debole resistenza, ma la presa della donna era troppo salda perché potesse opporvisi.
Quella mattina aveva annunciato a Myria che accettava volentieri il suo invito per andare alla fiera di paese, soprattutto perché si sentiva in colpa per come l'aveva trattata la sera precedente, ma neanche nei suoi incubi peggiori avrebbe immaginato di essere costretta ad indossare un vestito. Nemmeno sua madre, quando Airis era piccola, era riuscita a fargliene mettere uno e per lei non era mai stato un problema. Anzi, preferiva di gran lunga bardarsi con la sua armatura, piuttosto che avvolgersi in quegli eccentrici e vistosi drappi tanto amati dalle fanciulle. Quando Myria l'aveva saputo, aveva fatto una faccia talmente indignata, che per un attimo Airis aveva temuto avesse intenzione di sottoporla alla solita ramanzina sulla femminilità, proprio come era solita fare sua madre.
L'odore di terra ed erba bagnata aleggiava nell'aria, mescolandosi a quello del pane appena sfornato e delle torte sulle bancarelle. La guerriera camminava al passo con Myria, stando attenta a non calpestare accidentalmente le varie pozzanghere disseminate sulle strade. Aveva smesso di piovere all'alba, ma il suolo non era ancora totalmente asciutto.
- Immagino che questo fosse strettamente necessario. - farfugliò tra sé e sé, osservando con scarso interesse le stoffe esposte su una bancarella.
- Ovviamente! - esclamò la donna in tono solenne, - Oggi è anche la giornata perfetta per trovare l'amore della propria vita. Non puoi farti sfuggire un'occasione simile! -
- Myria... - inspirò profondamente e soffocò l'impulso di girare i tacchi e tornarsene alla locanda, - Sono un soldato. Non mi serve un uomo. -
L'amica ridusse gli occhi a fessure e scosse la testa rassegnata, come se stesse discutendo con una bambina testarda.
- Il fatto che tu non l'abbia mai cercato non significa che non lo troverai. Se ti sforzassi d'essere leggermente più femminile, avresti uno stuolo di ammiratori ai tuoi piedi. Perché non provi a divertirti un po'? Prendilo come un gioco. Hai fatto così tanto per noi e oggi è un giorno di festa... -
Airis sospirò arresa. Se Myria l'aveva invitata era perché gradiva la sua presenza e anche a lei, alla fin fine, non dispiaceva passare del tempo in sua compagnia. Poteva comunque reperire le informazioni di cui necessitava mentre girava per il mercato. La sera prima era stata già abbastanza pesante, perciò magari poteva permettersi di rilassarsi per quelle poche ore.
- Va bene. Però cerca di non fermarti da ogni bancarella, altrimenti si fa notte. -
La donna scoppiò a ridere divertita, poi annuì e riprese a spulciare tra le stoffe.
Intanto Airis si guardò intorno, studiando il continuo via vai di gente. Ricordava che anche a Merite si teneva una festa simile, ma l'avversione che gli abitanti provavano nei confronti della sua famiglia le aveva sempre impedito di parteciparvi. Le strade di Luthien erano un caleidoscopio di colori e suoni, una sinfonia di profumi che la stordiva e la esaltava allo stesso tempo. Vide un giocoliere che intratteneva i bambini con dei semplici trucchi di magia, mentre i saltimbanchi si prodigavano in mirabolanti acrobazie ai lati delle strade. Gruppetti di mogli accompagnate dai loro mariti si soffermavano davanti alle bancarelle esaminando la merce in vendita e i mercanti contrattavano sul prezzo a gran voce, incuranti delle facce irritate dei passanti. Osservò curiosa l'incedere aggraziato delle giovani fanciulle, il loro modo di parlare, muoversi e scherzare con le amiche, e non poté fare a meno di sorridere, assaporando quella normalità che da anni non le apparteneva più.
- Vedi che non è così brutto? - Myria le si avvinghiò al braccio e la trascinò verso un altro commerciante di vestiti.
Airis si lamentò con un borbottio indistinto, incapace di mettere insieme una vera e propria frase. Anche se non voleva ammetterlo, si stava divertendo, specialmente nel notare con quale professionalità l'amica discuteva coi mercanti sul prezzo, uscendone spesso vincitrice.
- Sai, quando vivevo ad Amount-vinya avevo un negozio di spezie tutto mio. Durante le fiere riuscivo sempre a spuntarla su tutti i miei concorrenti proprio grazie alla mia eloquenza. - si vantò e le mostrò entusiasta il nuovo abito che aveva appena comprato.
Airis assentì, sinceramente sbigottita dalla grande abilità di Myria, chiedendosi come avesse fatto a convincere il venditore a cederle quel vestito di pura lana a sole dieci monete di rame.
Camminarono ancora un po' e Myria continuò a chiacchierare senza sosta, raccontandole alcuni aneddoti spassosi risalenti al periodo in cui viveva ancora nella sua vecchia città. Airis l'ascoltava con attenzione, gustandosi il suo amabile cicaleccio senza perdersi nemmeno un dettaglio. Sebbene fosse più un monologo che una vera conversazione, la giovane si rilassò e si fece cullare dalla voce e dai racconti di quella donna con la faccia paffuta, che si stava impegnando tanto per farla sentire una ragazza normale.
Ad un tratto udì una risatina soffocata alle sue spalle. Si voltò e puntò gli occhi su Myira che, nonostante avesse fatto il possibile per tornare seria prima di essere colta in flagrante, celava a malapena l'ombra di un sorriso dietro la mano. In effetti, dopo essere rimasta indietro per prendere della frutta candita da un chiosco, non aveva cercato in alcun modo di raggiungerla, come se volesse guardarla da un'altra angolazione.
- Qualcosa non va? - la interrogò.
- Nulla, nulla... - la donna tossicchiò e tentò di ricomporsi.
La guerriera corrugò le sopracciglia senza capire.
- Tu sai che oggi potresti trovare l'amore della tua vita, no?-
Airis incrociò le braccia al petto, storcendo le labbra: - Sì, è da stamattina che continui a ricordarmelo e credo di averti già detto che non mi interessa. -
Myria sospirò e scosse il capo sconsolata. A volte si domandava se quella giovane guerriera fosse mai uscita da un accampamento militare.
- Per gli dei, Airis, sei molto bella! Potresti almeno provare ad essere un po' più aggraziata. Sennò che senso avrebbe avuto farti indossare un vestito? -
- Sì, va bene, ci proverò. - la liquidò in tono monocorde, che però non riuscì a nascondere una nota di esasperazione.
Proseguirono fino alla piazza centrale, dove dei musicisti si stavano sistemando sul piccolo palco allestito per l'occasione. Airis intravide le figure sfocate di una decina di uomini e donne, tutti vestiti in ghingheri e col volto coperto da una maschera. Scoccò un'occhiata confusa alla sua accompagnatrice.
- E' un'usanza del posto, mia cara. Lerch mi ha detto che, secondo la tradizione, i giovani devono tenere nascosto il loro volto, affinchè sia la forza dell'amore e non l'aspetto fisico ad unire le future coppie. - la fissò con aria sognante, - Non lo trovi romantico? -
Airis annuì debolmente: qualcosa nella voce della donna le suggeriva che fosse meglio assecondarla senza discutere.
- Potresti provare anche tu, che ne dici? - insinuò poi, puntandole addosso uno sguardo che le procurò un brivido freddo.
Era lo stesso che le aveva regalato quando le aveva annunciato che sarebbe venuta con lei alla festa e quando le aveva confessato di non aver mai indossato un abito da donna. Airis presagiva guai. Tentò di allontanarsi, ma prima di poter anche solo elaborare un piano per sfuggire alle grinfie di Myria, lei le legò sul viso con gesti rapidi una maschera e la sospinse verso la folla. In pochi istanti si ritrovò avviluppata in un vortice di corpi che danzavano al ritmo della musica.
"Sapevo che sarebbe andata a finire così..."
Provò a farsi largo attraverso la calca, ma a nulla valsero i suoi sforzi. Alle sue orecchie giunsero le risate degli astanti, mischiate alle note allegre che la banda aveva attaccato a suonare, col risultato di sentirsi sempre più intontita. In un secondo un mal di testa atroce si impadronì di lei, annientando le ultime difese del suo cervello. Quei rumori, uniti ai profumi delle cibarie e alle immagini sfocate che riusciva ancora a distinguere, le tartassavano violentemente i sensi. Stordita da quella miriade di sensazioni, non si accorse di essere stata sospinta al centro della piazza. Improvvisamente, qualcuno la afferrò e la strinse, come per proteggerla. Percepì una mano piuttosto impacciata accarezzarle i capelli con gentilezza, mentre l'altra le avvolgeva la vita e la cullava seguendo i movimenti di una danza un po' più lenta.
Airis alzò il viso, innervosita dal contatto fisico e desiderosa di scoprire a chi appartenessero quelle braccia. Incontrò un paio di occhi muschiati. Alcuni ciuffi neri, simili a cicatrici d'inchiostro, ricadevano disordinatamente sulla maschera bianca, mentre una lunga treccia era adagiata sulla spalla destra. Per un momento pensò che quel ragazzo somigliava a Ledah, ma poi non poté fare altro che darsi della stupida: non aveva senso che l'elfo si trovasse a Luthien. Probabilmente stava cavalcando verso mete ignote a centinaia di miglia da lei, per fare chissà cosa.
Rivangò gli ultimi istanti della lotta contro Ignus, anche se non era del tutto cosciente quando Ledah aveva sfidato il Generale, ma rammentava distintamente quello che aveva detto.
- Non dirmi che sei innamorato di lei! -
Immersa in un oblio spesso e fitto aveva pensato che non fosse possibile che quell'elfo potesse provare qualcosa per lei e probabilmente era stato solo un tentativo di Ignus di far perdere le staffe a Ledah. Eppure qualcosa le suggeriva che in quelle parole sputate con tanto odio e disprezzo risiedesse un fondo di verità.
Scosse il capo con veemenza, respingendo quelle considerazioni con tutta se stessa: aveva guidato le armate umane contro Llanowar, mettendo a ferro e fuoco una delle più antiche foreste dell'intera Esperya. Ledah non aveva alcun motivo per proteggerla, figuriamoci amarla.
"Nessuno può amare un nemico, tanto meno un mostro."
Una come lei non avrebbe nemmeno dovuto essere lì. Airis era un'assassina in cerca della sua preda, non una ragazza che sperava di trovare l'amore della sua vita nello sconosciuto con cui stava ballando.
- Non serve che balli con me. - sussurrò, cercando di non farsi sentire dalla altre coppie, - Sono capitata qui per sbaglio e la mia amica mi ha buttata nella mischia. -
Fece per allontanarsi, ma il giovane la strinse a sé, come a volerla invitare a rimanere. Aveva una presa salda, ma Airis sentiva che, se avesse insistito, sarebbe riuscita ad andarsene senza incontrare resistenza. Per quanto non le piacesse trovarsi così vicina ad un estraneo, ammise che sarebbe stato abbastanza scortese piantare in asso di punto in bianco quel ragazzo come se nulla fosse. In fondo, l'aveva aiutata.
Osservò le persone attorno a lei e notò che le fanciulle avevano affondato il viso sulla spalla dei loro cavalieri, mentre questi ultimi le avevano avvolte in un tenero abbraccio. L'idea di farsi toccare in quel modo da un perfetto sconosciuto non la entusiasmava per niente, ma quel giovane misterioso non pareva avere cattive intenzioni. Inoltre, erano gli unici che continuavano a mantenere un certo distacco e già alcuni fra il pubblico li stavano fissando con aria interrogativa. Per evitare di attirare ulteriormente l'attenzione, poggiò la testa sul suo petto e si lasciò cingere dalle sue braccia. Era molto più alto di lei, ma ad Airis non importava, non ora che finalmente quell'odioso mal di testa aveva finalmente deciso di concederle una tregua.
I suoni intorno a loro sfumarono, stemperati dal calore di quel goffo abbraccio. Era una sensazione nuova per Airis, un sentimento di pace che non provava da tempo.
Quando la musica cessò rimasero vicini, intrappolati l'uno nello sguardo dell'altro.
- Meglio che vada... - disse infine Airis, scivolando via dalla presa del compagno.
Quello assentì e la imitò.
In quel momento Myria le si accostò, le labbra stirate in un sorriso smagliante: - Oh, vedo che alla fine hai trovato qualcuno con cui danzare! -
La guerriera si disfò della maschera e le indirizzò uno sguardo colmo di rancore, che però la donna non parve cogliere.
- Allora? Non mi presenti? - cinguettò contenta, prendendola sottobraccio e ammiccandole, - Sai, questa fanciulla - si rivolse al giovane, - credeva che non avrebbe mai trovato un cavaliere, invece, da quello che vedo, è pure bello. Togliti la maschera anche tu, dai. - lo esortò, senza curarsi di nascondere la curiosità.
Airis vide distintamente la vena del collo del ragazzo pulsare più velocemente, mentre i suoi occhi guizzavano con agitazione da una parte all'altra: evidentemente non si aspettava un simile risvolto.
Airis fu sul punto di interrompere il teatrino e portare via Myria, quando una bambina dai capelli biondi si materializzò a fianco del giovane. La faccina punteggiata di lentiggini era contratta in una smorfia di disappunto e, a giudicare dai lampi che mandava dagli occhi, doveva essere piuttosto arrabbiata.
- Ledah! Come hai potuto mollarmi così, eh?! - si lagnò.
Airis si girò di scatto verso di lei: - Come l'hai chiamato? -
La bambina la squadrò perplessa: - Ledah... perché? E tu chi sei? -
La guerriera soffermò nuovamente l'attenzione sul ballerino mascherato, studiandolo meglio. "Ledah" non era un nome comune e sicuramente ben pochi umani in tutta Esperya ne portavano uno di origine elfica. Incrociò le braccia al petto.
- Già, Ledah... - calcò su quella parola e lo fissò con aria truce, - perché hai lasciato questa bambina da sola? -
"Ma, soprattutto, che cavolo ci fai qui?"
Il giovane ricambiò il suo sguardo per alcuni istanti, chiuso in rigoroso silenzio, poi si girò e cominciò a correre verso la strada maestra, sgusciando con sorprendente agilità in mezzo alla folla, in un palese tentativo di fuga. Airis si gettò immediatamente al suo inseguimento. Spintonò senza troppe cerimonie coloro che le ostacolavano il cammino e si aprì un varco verso il fuggitivo. Farsi largo in quella marea umana era un'impresa e tenere il passo di Ledah era ancor più difficile, considerando che stava indossando un abito lungo con una gonna piuttosto ampia, mentre l'elfo era avvantaggiato dai vestiti maschili, più adatti alla corsa. Ma non era poi così tanto distante da lei, poteva raggiungerlo. Cercando di non perderlo di vista, seguì i movimenti di quella testa nera fino al limitare della piazza, per poi vederlo imboccare la strada maestra a massima velocità. Non appena uscì dalla calca, Airis rimase per alcuni secondi a guardare con il fiato corto la figura slanciata di Ledah sfrecciare via come un lampo.
Studiò la vistosa gonna del proprio abito per alcuni istanti e si rigirò il tessuto tra le mani. Infine scrollò la testa e strappò con uno strattone un pezzo di tessuto sulla parte davanti, liberando le gambe dall'ingombro. Quindi riprese a tallonare Ledah, più agguerrita che mai. Il vento le spettinò i capelli e le sferzò le guance. Sentiva i propri piedi staccarsi dal terreno a ritmo concitato e il sangue scorrere rapido nelle vene, mentre si lasciava alle spalle il frastuono della festa. Volò lungo la strada, scostando con malagrazia i curiosi che si frapponevano tra lei e quel maledetto elfo. Sembrava quasi non toccare terra, tanto stava correndo veloce. Ma Ledah lo era molto di più ed era sempre troppo lontano perché potesse anche solo pensare di afferrarlo. Benché i polmoni bruciassero per lo sforzo e i muscoli dolessero, si costrinse ad aumentare l'andatura. Evitò per un soffio di finire addosso a un passante, poi ne schivò un altro ma lo urtò comunque di striscio e lo fece cadere sull'acciottolato. Una furia cieca serpeggiò in lei, donandole nuova forza.
D'un tratto, l'elfo svoltò in un vicolo. Il corpo di Airis si sbilanciò pericolosamente verso destra, ma riuscì a non scivolare sulla pietra bagnata. Ledah si arrampicò lesto su una scala e, aggrappatosi ad alcune decorazioni, si innalzò fino al tetto della casa. La guerriera indietreggiò, tentando di non perdere di vista la sua figura, ma in un istante questa svanì, lasciando dietro di sé solo il rapido ticchettio degli stivali sulle tegole. Mantenne la concentrazione su quei deboli suoni il più a lungo possibile, poi ricominciò a correre seguendone la direzione. Girò l'angolo, sbucò nell'ennesima viuzza secondaria e scansò all'ultimo secondo l'uomo che si era frapposto tra lei e il suo bersaglio. Era difficile udire i passi del fuggiasco anche in quelle stradine deserte e silenziose, ma doveva continuare a correre. Doveva prenderlo a qualsiasi costo.
Dopo un po' quel rumore svanì, sostituito da un forte tonfo. Non appena Airis lo raggiunse, scorse Ledah disteso sopra quelle che precedentemente dovevano essere state delle casse di legno, ora ridotte in frantumi. Si avvicinò con un ghigno di soddisfazione disegnato sulle labbra, il volto arrossato e madido di sudore, i capelli scarmigliati e l'abito stracciato che strusciava per terra, ormai sudicio.
- Tana per Ledah. -  

Fuoco nelle TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora