Era una mattina fresca e tersa. Airis aprì gli occhi, si alzò sbadigliando e stiracchiò tutti i muscoli doloranti, per poi ripulirsi i vestiti dal terriccio. Si guardò intorno, cercando di fare mente locale su dove si trovasse.
Il giorno prima aveva camminato in direzione sud fino al calare della sera, poi si era accampata vicino ad un grosso albero, l'unico abbastanza massiccio da poter costituire un riferimento in mezzo al bosco. Aveva scelto quel posto anche perché nei pressi c'era un torrente, a cui avrebbe potuto abbeverarsi e fare rifornimento d'acqua per il giorno successivo. Le sarebbe bastato proseguire nella stessa direzione per ancora un paio di miglia e in poco tempo sarebbe stata fuori da Llanowar.
In quel paesaggio desolato, fatto solo di ombre e silenzio, la solitudine era presto diventata una presenza quasi tangibile e a tradimento aveva riportato alla memoria ricordi dolorosi, che Airis credeva di aver dimenticato. Durante il giorno riusciva ad ignorarli concentrandosi sulla strada che doveva percorrere e sui rumori della foresta, ma quando calava la notte gli antichi incubi tornavano a tormentarla. Sognava suo padre, la sua testa conficcata su una picca, i suoi occhi verdi mangiati dai corvi, e rivedeva il volto stravolto di sua madre, il suo corpo scosso dai singulti. Poi le sembrava di udire le urla di scherno delle persone, di vedere le loro facce crudeli distorte in un'espressione di sadica gioia.
Raggiunse il torrente e vi immerse la testa, mentre un leggero brivido freddo le percorreva le membra. L'unica cura contro quelle terribili memorie era mettere in moto il corpo e riposarsi quanto meno possibile.
"Non che ne abbia poi tanto bisogno. L'unica cosa buona dell'essere una Risvegliata."
Tornò in superficie e si scostò alcuni ciuffi bagnati che le erano rimasti appiccicati sulla fronte. Si sfilò il pettorale e la maglia di ferro, scoprendo il seno bendato da alcune fasce, ne svolse una ed espose all'aria fresca una piccola cicatrice poco sotto il cuore. Con le dita percorse la pelle ruvida, osservandola con aria quasi disgustata. Non sapeva chi gliela avesse inferta e di quel momento conservava solo una vaga reminiscenza. Rammentava di essere andata in ricognizione con altri suoi compagni nella foresta di Llanowar, anni addietro, e che a un certo punto aveva udito il rumore di una battaglia provenire da un punto poco distante. Ma appena uno del gruppo le aveva annunciato di essere giunti a destinazione, i ricordi si facevano confusi. L'ultima cosa che aveva sentito erano state le grida dei soldati e il clangore delle spade che cozzavano. Poi tutto si riduceva solo a dolore e sofferenza. Se si sforzava, poteva rivedere, in un certo senso, la familiare oscurità che regnava dietro gli occhi ciechi assumere fosche tinte cremisi, popolandosi di esseri mostruosi dalle fattezze grottesche. Aveva percepito nitidamente una lama perforarle la corazza e poi la sensazione del sangue che le imbrattava le vesti. Era rimasta incosciente per un tempo indefinito, finché la risatina odiosa di Lysandra l'aveva ridestata. Dal suo risveglio era stato tutto un susseguirsi di eventi di squallida quotidianità: la guerra, gli scontri con gli elfi e le assurde missioni che Lysandra le affidava in cambio del suo sangue, unica fonte di sostentamento e purtroppo estremamente necessario, perché se lei avesse smesso di concederglielo, Airis avrebbe finito col diventare una semplice non-morta. E, sinceramente, essere alla totale mercé di quell'essere non la entusiasmava particolarmente.
Indossò di nuovo il pettorale e il mantello e cominciò ad incamminarsi in direzione sud, rimanendo sempre assorta in quei cupi pensieri. Come al solito, intorno a lei regnava il silenzio più totale, interrotto solo dal rumore dei suoi passi e dal fruscio del vento tra i rami degli alberi. Quando un brivido le accarezzò la pelle, Airis si sfregò le braccia, infastidita dal gelo che pareva penetrarle sin dentro le ossa. Da un po' di tempo a quella parte aveva cominciato sempre di più ad odiare tutte quelle emozioni così dannatamente umane, perché le suggerivano che era fragile, più vulnerabile di quello che sarebbe dovuta essere. Quando si era piegata all'ordine della donna demone, si era sentita orribilmente impotente e la scelta obbligata a cui l'aveva sottoposta non era altro che la testimonianza della sua debolezza.
Per di più, Lysandra non era un semplice demone: era un Lich, un incantatore che aveva venduto la propria anima in cambio di un immenso potere.
"E io ho solo la mia volontà per contrastare la sua potenza, l'unica cosa che mi contraddistingue da un semplice non-morto."
Sospirò e fece scorrere lo sguardo attraverso gli scheletri anneriti degli alberi. Riusciva a vederne il profilo fino a pochi metri più avanti, poi tutto diventava confuso e irriconoscibile, come se fosse stato avvolto da una fitta nebbia.
"Di questo passo, la vista mi abbandonerà prima del previsto."
Ora che si era abituata nuovamente ai colori e alla luce del mondo, l'idea di ripiombare nell'oscurità la sconfortava. Alzò gli occhi verso il timido sole, che rischiarava il cielo azzurro di quella mattina, ma un angoscioso pensiero fece capolino nella sua testa: da quando era rimasta coinvolta nell'esplosione, non aveva più ricevuto notizie di come stavano procedendo le azioni belliche. Beh, forse credevano che fosse morta come tutti gli altri. A quanto ne sapeva, lei e Ledah erano stati gli unici sopravvissuti, ma forse qualcun altro si era salvato ed aveva riferito alle alte cariche la disfatta. C'erano varie possibilità da vagliare.
"Eppure, sicuramente gli altri elfi avranno saputo cosa è accaduto qui. Come si saranno mossi, dopo aver appreso la notizia della caduta di Llanowar? L'ultima volta che una delle loro foreste è bruciata, ce l'hanno fatta pagare molto cara."
Il ricordo di come erano state ridotte le città di Mera ed Edon le fece montare una profonda rabbia dentro. Negli ultimi anni gli elfi si erano fatti più spietati e si erano vendicati nei modi più feroci sulla popolazione civile. Coloro che erano scampati a quei massacri avevano raccontato delle storie agghiaccianti, che dipingevano gli elfi come assassini a sangue freddo, incapaci di provare alcun tipo di compassione. Ogniqualvolta conquistavano una città, non facevano prigionieri: passavano a fil di spada ogni abitante, senza fare distinzioni di sesso o età. Suo padre, quando era ancora vivo, le aveva raccontato che quello non era un comportamento tipico della loro razza, che gli elfi erano dei valorosi guerrieri e rispettosi dei loro nemici. Airis ci aveva creduto fino alla fine, ma quando era diventata Generale aveva assistito solo ad atti che dimostravano il contrario.
Un vecchio detto elfico recitava "un osso rotto per ogni ramoscello spezzato", ma evidentemente le mere ossa non erano un prezzo sufficiente. Si erano presi molto di più, purtroppo.
Giunse in uno spiazzo occupato da una polla d'acqua, contornata da enormi rocce di basalto nero, le cui ombre si allungavano sulla superficie, facendo apparire la pozza come una macchia d'inchiostro nel terreno. Airis si inginocchiò e bevve un po', quando un profumo di pini le arrivò alle narici. Si guardò intorno, spaesata da quell'odore insolito, si arrampicò su una delle rocce e perlustrò il paesaggio circostante. In un attimo assunse un'espressione incredula e sbatté più volte le palpebre per accertarsi che ciò che stava osservando fosse reale. Vide che, pochi metri più avanti, la desolazione lasciava il posto a una florida vegetazione, gli alberi si innalzavano in tutta la loro maestosità per miglia, fino a diventare un tutt'uno con l'orizzonte, e i loro rami si protendevano verso il cielo in un inno di tacita vittoria, quasi volessero sfidare gli dei a provare ad abbatterli. Quindi solo una parte di Llanowar era arsa nell'esplosione, mentre il resto era sopravvissuto.
Airis sorrise e gettò un ultimo sguardo su quell'immensità verde. Ridiscese, appoggiò la schiena contro la roccia ed estrasse il libro dalla tasca interna del mantello, ricominciando a leggere da dove si era interrotta la sera prima. Studiò quelle parole vergate con una grazia sopraffina. Quando aveva iniziato la lettura, non aveva potuto reprimere lo stupore notando come le lettere le diventassero comprensibili man mano che passava da una frase all'altra. Perciò, a un tratto, aveva realizzato di essere in grado di leggere l'elfico e non riusciva a capacitarsi di come ciò potesse essere possibile, visto che non l'aveva mai studiato in vita sua. Di conseguenza, attribuiva quel fatto strano all'incantesimo che Ledah le aveva lanciato per ridarle la vista, era la sola spiegazione possibile. Oppure nella sua vita precedente era stata un'ambasciatrice.
Ridacchiò, immaginandosi nelle vesti di un'intellettuale di corte, con un corsetto intessuto di pietre e tessuti preziosi, una gonna ampia e i capelli legati stretti sulla nuca.
- Ma con i miei modi così raffinati ed eleganti diventerei sicuramente la migliore delle cortigiane. Poi, col mio modo di parlare così ricercato, mi farei amare dal re. - commentò sarcastica, a mezza voce, mentre le tornavano in mente le serate passate in taverna con i suoi commilitoni.
E no, non era diventata famosa per il suo eloquio particolarmente signorile. Scosse la testa e si passò una mano sul volto.
''Sto impazzendo... Lysandra tra poco si prenderà anche la mia preziosa sanità mentale.''
Rise divertita ancora per alcuni istanti, poi si concentrò e si sforzò di continuare a leggere.
Fino a quel momento non aveva trovato nulla di speciale: era un semplice diario, in cui un elfo di nome Haldamir raccontava giorno per giorno la vita sua e di sua moglie Elladan, incinta del loro primo figlio.
"Pensavo che fosse un libro pieno di incantesimi proibiti e magia nera, non che narrasse delle mirabolanti avventure di un futuro padre e le sue paturnie pre-parto. Fammi capire, ho bevuto il sangue di Ignus e rischiato la mia non-vita per una roba del genere?! E poi perché Lysandra vorrebbe avere questo maledettissimo diario? Penso che sia da escludere l'opzione che si sia addolcita e voglia finalmente fare la donna di casa."
Sfogliò le pagine e tornò al ritratto dei due elfi. Osservò nuovamente i lineamenti aggraziati della donna, il suo sorriso dolce, gli occhi azzurri colmi di amore e speranze. Non sapeva come, ma Airis notò una certa somiglianza tra Elladan e Lysandra, nella forma del viso e delle labbra. Forse quello era l'aspetto del Lich quando ancora era in vita, così si spiegherebbe perché Ledah non presentava nessun carattere demoniaco. Poggiò il libro aperto sulle gambe e incrociò le braccia dietro la testa, proseguendo nelle riflessioni.
"Se però ha avuto un figlio quando era ancora un'elfa, perché quell'idiota di Ledah ha quel potere spaventoso? Non penso che Lysandra abbia tradito Haldamir e non credo nemmeno che abbia ceduto la sua anima per diventare più forte... ma allora chi l'ha trasformata in un Lich?"
Sbuffò frustrata. Il suo cervello era pieno di domande a cui non era in grado di rispondere e senza un briciolo di indizio non poteva trovare un modo per liberarsi dall'ingombrante presenza di Lysandra.
Mentre giocherellava distrattamente con il frammento di cristallo azzurro appeso al collo, contemplò ancora quei volti felici ritratti sul manoscritto, scoprendosi a fantasticare su come sarebbe stata la sua vita se avesse seguito il consiglio di sua madre. Si immaginò in una casa accogliente, seduta vicino al focolare con due piccole bambine in braccio, e suo marito, un uomo onesto e coraggioso, che cucinava il cervo appena cacciato. Un leggero calore le invase il petto, un calore che non assaporava da quando l'avevano bandita da Merite. Non rimpiangeva le sue scelte, però, anche se per un breve periodo, avrebbe voluto provare un po' di quella felicità. E l'amore.
Aveva sempre visto i soldati condurre nelle loro tende donne belle e formose e a volte aveva udito i loro gemiti, ma non credeva che solo nel mero atto carnale avrebbe trovato quel che cercava.
Accarezzò quel pensiero delicatamente, sfiorandolo per qualche attimo, ripensando a quanto l'avevano disprezzata da bambina. Rimase assorta per qualche minuto a crogiolarsi in quei sogni, ma poi la certezza che probabilmente sarebbe stato il capo del suo villaggio a scegliere il suo futuro sposo la spense ogni entusiasmo. L'idea di dover rinunciare alla propria libertà la irritava e indisponeva non poco, soprattutto se avesse dovuto farlo per compiacere un uomo simile a un goblin.
Si concentrò sui pochi suoni che la circondavano. Nonostante si trovasse in territorio nemico, il frusciare del vento, le impercettibili vibrazioni della superficie dell'acqua e il suo respiro che si condensava in piccole nuvolette di vapore contribuivano a calmarla, a farla fondere con la terra sulla quale sedeva. Si lasciò incantare da quell'orchestra naturale e lentamente la testa le si svuotò del tutto, dissipando tutti i dubbi e i pensieri che le affollavano la mente.
Ora il suo unico obiettivo era rintracciare Ledah. Al resto avrebbe pensato dopo.
Improvvisamente, il silenzio fu interrotto da un leggero brusio. Airis aprì gli occhi, infilò il libro sotto la corazza e avanzò nella vegetazione in punta di stivali, decisa a scovare la fonte di quei bisbigli. Pian piano si avvicinò ad una radura e, senza accorgersene, trattenne il fiato per non rischiare di tradire la propria presenza in alcun modo. Si acquattò dietro una roccia abbastanza grande da nasconderla, al limitare della radura, poi si affacciò leggermente oltre il bordo. Scorse tre figure: una era inginocchiata, intenta a scrutare il suolo, mentre le altre due stavano discutendo tra loro. Riconobbe subito nella figura più alta un umano e, a giudicare dal leone rampante inciso sull'armatura, doveva essere un soldato dell'esercito imperiale. L'individuo col quale stava parlando, che era la metà di lui, aveva una lunga e folta barba rossiccia e attorno alle braccia muscolose indossava delle fasce costellate di simboli runici.
"Un umano e un nano assieme? Da quando?"
I due popoli erano alleati, ma era una cosa ben nota a tutti che i nani non erano in buoni rapporti con le altre razze. In effetti, da come i due stavano discutendo, non sembravano riuscire a trovare un'intesa: il soldato imperiale guardava il nano con espressione dubbiosa, mentre quest'ultimo sembrava sull'orlo di una crisi isterica.
L'unico apparentemente disinteressato al battibecco era il terzo del gruppo. A una prima impressione, Airis l'avrebbe definito un elfo, se non fosse stato per i capelli bianchi come la neve e la pelle color ebano.
"Che diamine ci fa un Drow qui?"
Era a conoscenza del fatto che da anni erano stati ridotti in schiavitù, venduti ai mercati della capitale, rinchiusi in gabbie e trattati alla stregua di animali. La legge imponeva loro di indossare sempre un collare di argento alchemico, così da sigillare i loro poteri, ma quel Drow innanzi a lei ne era sprovvisto. Decisamente, la faccenda era molto insolita e fece sorgere in Airis una marea di domande, prima fra tutte: cosa ci facevano un nano, un uomo e un Drow insieme? Sembrava quasi l'inizio di una barzelletta squallida. In più, il fatto che quell'elfo non indossasse il collare la metteva in apprensione, dato che era risaputo che quelli della sua razza fossero i cugini cattivi degli elfi comuni, dotati di un'indole ancora più oscura e violenta dei loro parenti "buoni".
In quel momento il Drow si voltò nella sua direzione: si era sporta troppo.
- So che sei lì! - esclamò scattando in piedi.
Nell'attimo stesso in cui pronunciò queste parole, i due litiganti tacquero e cominciarono ad avvicinarsi al loro compagno. Il nano e il soldato gli si affiancarono immediatamente, domandandogli in silenzio qual fosse il pericolo. Il Drow elargì un vago cenno del capo a entrambi, come per intimare loro di rimanere all'erta nel caso fosse stato necessario combattere, poi compì ancora qualche passo verso l'intruso.
"Mi ero completamente dimenticata che ha gli stessi sensi sviluppati di un elfo, dannazione!"
Si morse le labbra, maledicendo la propria imprudenza. Prese un profondo respiro, uscì cauta allo scoperto e scrutò i tre componenti di quella strana combriccola: erano tutti disarmati e malridotti. Anche se avessero tentato di assalirla, in quelle condizioni non avrebbero avuto molte possibilità di batterla.
- Non sono vostra nemica. - alzò le mani nel tentativo di tranquillizzarli, - E sono solo di passaggio. -
Il Drow la osservò per brevi istanti. I suoi occhi vermigli, simili a quelli di un demone, incutevano un certo timore. Sotto quello sguardo di fuoco, Airis si sentì nuda.
- Chi sei? - la voce grave dell'elfo pervase quell'angolo di foresta.
- Sono un soldato scampato al disastro di Llanowar. - rispose, mettendo nel suo tono di voce tutta la calma possibile.
- Una donna? Le donne non combattono le guerre. -
- Io sì, è stata una mia scelta. -
Non le piaceva che quello sconosciuto la fissasse così, con quell'aria saccente, divertita e al contempo diffidente, anche se ne aveva tutte le ragioni.
- Voi, invece? Chi siete? -
Il nano prese la parola: - Fenrir, taci. Non puoi dirle chi siamo, potrebbe essere una di loro. Io propongo di catturarla e sottoporla ad un bell'interrogatorio approfondito. -
"Oh, fantastico. L'inizio di una nuova amicizia! Se prova a toccarmi, gli farò leccare la lama della mia spada."
Il soldato, quasi avesse capito che la situazione stava per precipitare, posò una mano sulla sua spalla. Aveva un viso asciutto e degli occhi di un marrone caldo che trasmettevano sicurezza e forza.
- Baldur, guardala bene. - disse pacatamente, - Ha un'armatura completamente differente da quella di un bandito. Inoltre, se avesse voluto attaccarci, l'avrebbe già fatto. -
Il nano lo guardò di traverso con un'espressione estremamente irritata.
- Fate come vi pare. Se poi vi attacca alle spalle, sono affari vostri. - si girò e andò ad appoggiarsi ad un albero poco più in là.
L'altro sospirò esasperato, poi tornò a volgere la sua attenzione verso di lei.
- Scusalo, siamo tutti molto stanchi. Il fatto è che sono giorni che ci braccano e siamo giunti quasi al limite. -
Airis abbassò le mani.
- Non preoccuparti, sono abituata. Il mio vecchio Generale non era esattamente una persona molto trattabile. - affermò ironica, ricordandosi di tutte le feroci discussioni che aveva avuto con Ignus.
Scrutò di sottecchi quel Baldur: stava a braccia conserte, assorto nei suoi pensieri, borbottando qualche imprecazione ogni tanto, ma la giovane era consapevole che in realtà, per quanto sembrasse distratto, non la perdeva di vista neanche per un secondo.
- Di quale legione facevi parte? - indagò il Drow.
- La cinquantesima, ero sotto il comando di Eigor Felther. - asserì, tornando a concentrarsi sui suoi interlocutori.
"Per ora è meglio che non mi scopra molto. Non si sa mai che la stessa idea che ha avuto il nano prima trovi consenso negli altri due."
- Di grazia, posso sapere il vostro nome? - chiese all'umano del gruppo.
Sul viso dell'interessato apparve un'espressione sorpresa, poi, sorridendo, le porse la mano.
- Che maleducato, non mi sono presentato. Mi chiamo Alan e facevo parte della guardia cittadina di Amount-vinya. Come avrai capito, - si girò verso il Drow, - lui è Fenrir, mentre quello scorbutico lì è Baldur. Tu? Ci ha solo detto che sei un soldato. -
Presa in contropiede da quella domanda legittima, Airis esitò un momento.
- Io sono... Caillean e vengo da Merite. - strinse caldamente la mano di Alan, nel tentativo di sembrare il più naturale possibile.
- E' proprio un bel nome. - Alan incrociò lo sguardo impassibile del Drow, come per cercare conferma, - Mi duole ammettere che non conosco la tua città natale. -
- E' normale, è un piccolo villaggio del sud, a poche miglia da Sershet. Penso che non sia neanche segnato sulle carte per quanto è minuscolo. - sorrise di rimando, - Comunque, ora posso sapere cosa vi è accaduto? -
- E' una storia lunga da raccontare così su due piedi. Ne parleremo meglio a stomaco pieno. - senza perdere il sorriso, Alan le fece segno di avvicinarsi.
Quando Airis passò a fianco di Fenrir, percepì nuovamente il suo sguardo indagatore sulla pelle. Alzò gli occhi e li fissò in quelli infuocati di lui, senza alcuna incertezza.
Per un lungo momento il Drow studiò il volto della guerriera, poi sussurrò: - Ti tengo d'occhio. -
Airis esaminò scettica quello strambo e improbabile gruppetto. Aveva la sensazione che sarebbe stato l'inizio di una convivenza molto, molto difficile.
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Fuoco nelle Tenebre
Fantasía[ Primo libro della trilogia 'Guardiani'.] Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo...