Il male minore

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Il suo cuore batteva a ritmo regolare, un rimbombare cupo estraneo persino a lui

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Il suo cuore batteva a ritmo regolare, un rimbombare cupo estraneo persino a lui. Ledah inspirò ed espirò e spinse il fiato fuori dai polmoni a fatica. La percezione dell'ambiente circostante era alterata e gli riusciva difficile distinguere i contorni delle case, i suoni, l'odore di bruciato e il tanfo di morte. Era tutto mescolato in un caos che gli ottenebrava i sensi.
Tu sei il Distruttore! Se combatti contro di noi, morirai!
Le voci urlavano, cercando continuamente di trascinarlo con loro, ma quelle grida erano niente in confronto al dolore, che pareva quasi stesse facendo a pezzi il suo corpo. I muscoli si tesero spasmodicamente sotto la pressione della zampa e quando il drago ruggì furioso spingendo con forza le ginocchia cedettero. Le ossa, in risposta alla pressione, si spezzarono. Ledah abbassò lo sguardo e vide del sangue, il proprio, che sgorgava dalle ferite.
L'effluvio intenso gli penetrò nelle narici.
"Lo voglio."
Melwen e Zefiro urlarono con tutto il fiato che avevano in gola, stringendosi l'una all'altro.
Per un momento tornò in sé e sbraitò: - Andatevene!-
Socchiuse gli occhi, dando ascolto a quei continui sussurri, ed ebbe la sensazione che il corpo non gli appartenesse più. Lo sentì fremere e avvertì le braccia rilassarsi.
Vieni con noi...
Gettò un'occhiata alle sue spalle e vide l'orrore dipinto sulle facce dei due bambini, orrore per ciò che stava diventando e per l'oscurità che lentamente lo stava divorando dall'interno, avvolgendolo come un'armatura viva, pulsante. La loro paura gli infuse un'ebbrezza folle, un'emozione che gli provocò una gioia malata. Strinse i denti e resistette.
- Andatevene! Presto! - intimò, la voce incrinata da un'intonazione grave che non era sua.
Come appena svegliatasi da un incubo, Melwen si alzò di scatto e cominciò a correre, trascinandosi dietro il piccolo Zefiro.
Ledah sibilò di dolore, il cuore che rallentava pian piano i battiti, e le voci fagocitarono ogni suono. Avrebbe voluto avventarsi sulle gole dei piccoli, immergere le daghe nelle loro tenere carni, godersi la vista del loro sangue scorrergli tra le dita, inebriarsi delle loro urla, bearsi nel vederli contorcersi nel tentativo di fuggire per poi colpire ancora, ancora e ancora.
Tremò. Anche l'osso del braccio sinistro si ruppe e subito una fitta lancinante soppresse le voci, restituendogli la lucidità. Dopodiché, in un battito di ciglia, le ombre si gettarono sulla ferita e penetrarono sotto la pelle come serpi fameliche. L'osso si trasfigurò in una lama lunga e nera, che brillò di riflessi sinistri sotto il riverbero del fuoco.
Udì in lontananza il gemito di rabbia del drago e avvertì sopra di sé, incombente e letale, il peso di quella creatura. Trattenne il respiro e si oppose a quella forza animale con tutto se stesso. Lo stava schiacciando e non avrebbe resistito a lungo. Gli si annebbiò la vista e le gambe cedettero di schianto. Le voci protestarono, lo assalirono da ogni dove. Volevano sopravvivere, volevano uccidere. Storse le labbra in un sorriso folle, ma continuò a lottare, le braccia tese contro le squame della bestia, la sua volontà contro quell'onda corrosiva di oscurità. Chiuse gli occhi e cercò un ricordo a cui potersi aggrappare prima di abbandonarsi all'oblio. Camminando nell'abisso, rivide un paio di occhi opachi, di un verde slavato come quello delle pianure sotto il tiepido sole autunnale. Poi una figura, inizialmente sfocata, prese forma davanti a lui, rischiarando quelle tenebre opprimenti.
"Airis."
Accarezzò il suo volto e la strinse in un abbraccio soffocante, lasciandosi avvolgere dal calore ardente come le fiamme che i suoi capelli parevano sprigionare. Due braccia esili ma forti gli cinsero le spalle e Ledah poté percepire il battito del suo cuore come un tamburo dentro il cervello. O forse era il proprio, non lo sapeva, ma in quel momento non gli importava. Alzò lo sguardo, incrociando quello di lei. Anche se spenti, per Ledah quelli erano gli occhi più belli che avesse mai visto. Airis sorrise e poggiò la fronte contro la sua, senza perdere il contatto visivo. L'elfo le sfiorò con delicatezza la guancia, disegnando con i polpastrelli le lievi cicatrici sugli zigomi, le lunghe ciglia, le labbra piccole eppure così carnose e piene, il collo sottile come quello delle driadi.
"La Morte si è ammantata del tuo aspetto."
- Grazie, Airis. - esalò in un sussurro.
L'abbracciò ancora una volta e si arrese al suo tepore. Una luce accecante lo avvolse e, per un momento che gli sembrò eterno, il tempo si fermò.
Un boato assordante lo riportò alla realtà. L'atroce certezza di possedere un corpo tornò a invadergli la coscienza e Ledah si sentì scaraventare indietro da una potente onda d'urto. Attraversò l'aria in una frazione di secondo e sfondò una vetrata, atterrando sul pavimento polveroso di qualche casa. Sbatté le palpebre più volte, senza capacitarsi di come potesse essere ancora vivo. Avvertiva addosso il peso dell'armatura d'ombra, ma il dolore delle ferite era quasi del tutto svanito. Il vocio nella sua testa, mentre si stava quasi convincendo di averlo spinto a ritirarsi nei recessi della propria anima, riprese subito a graffiargli le orecchie e ora lo esortava a rialzarsi e compiere il suo dovere di carnefice. Rotolò carponi e tentò di riprendere fiato, ma più ossigeno provava ad incamerare più sentiva di averne bisogno, come se non fosse mai abbastanza.
Ad un tratto, si sentì sollevare con uno strattone. Con lo sguardo ancora sfocato e il caos che regnava nella sua testa, percepì delle mani sotto le ascelle e un respiro affannoso. Girò il capo e con un enorme sforzo squarciò il velo di nebbia che gli copriva la vista. Quando vide la guerriera, il cuore mancò un battito e le voci ammutolirono all'istante.
- Airis... - rantolò smarrito.
Ansimava vistosamente e la camicia si era lacerata in svariati punti, lasciando scoperte ampie porzioni di pelle ricoperte da tagli e lividi. Schioccò la lingua e un sorriso beffardo le increspò le labbra.
- Sono arrivati i rinforzi. - disse e indicò con un cenno la strada.
L'elfo trattenne il respiro e si impietrì, incredulo e al contempo pieno di sollievo.
La carcassa del drago giaceva a una settantina di braccia da dove si trovavano, sepolto sotto le macerie del campanile, con il fianco destro dilaniato e le ossa spaccate che emergevano dalle carni lacerate. A poca distanza c'era un uomo con una lunga tunica violacea, i capelli bianchi sciolti sulle spalle, le mani sfavillanti di luce e gli occhi rossi, accesi di furia.
- Papà! -
Trascinandosi dietro il piccolo Zefiro, Melwen corse tra le braccia del padre. Copernico la strinse forte, come per assicurarsi che lei fosse davvero lì, le asciugò le lacrime che le rigavano il viso e le baciò la fronte.
- La mamma? - la bambina alzò di scatto la testa, - La mamma sta bene, vero? -
Un'ombra oscurò lo sguardo del mago. Le accarezzò la testa, senza distogliere gli occhi da quelli di sua figlia. Per un momento, mentre si avvicinava a loro aggrappandosi ad Airis, Ledah ebbe l'impressione che stesse per scoppiare a piangere. Poi Copernico scrollò il capo e abbozzò un sorriso.
- Sì, sì sta bene. Ti aspetta alle porte della città. - la rassicurò scompigliandole la zazzera bionda.
Il ruggito furioso del drago, inaspettato e terribile, li raggelò. Una coltre di fumo avvolse la bestia e i tessuti si rimarginarono lentamente, mentre quell'essere infernale lottava per liberarsi dalle macerie.
- Sapevo che non sarebbe bastato un semplice incantesimo. - sbuffò il mago.
Si mise davanti a Melwen per farle da scudo, poi scoccò un'occhiata rapida a Ledah, forse per valutare i danni che aveva riportato.
- Portate via i bambini, mettetevi in salvo. A lui ci penso io. -
Fenrir e Baldur, che nel frattempo si erano avvicinati, si scambiarono uno sguardo d'intesa. Senza esitare presero i bambini in braccio, ma Melwen si dimenò come una serpe, cercando di fuggire dalla presa salda del nano. Si aggrappò alla tunica del padre piangendo.
- No! No, papà! Non lasciarmi sola! Ti prego, ti prego... -
Quando udì quelle parole, la determinazione di Copernico vacillò, ma fu solo questione di un attimo. Si impose di riprendere il controllo di sé e placare l'impercettibile tremore che gli scuoteva le membra. Non voleva lasciarla, ma quella era la cosa migliore da fare, il male minore. Distolse lo sguardo da quello disperato della figlia e con riluttanza l'allontanò.
- Non temere, piccola mia, tornerò. - le promise.
Aprì le braccia, lasciando che l'energia magica scorresse libera nelle sue vene, e inspirò profondamente, fissando i suoi occhi in quelli del drago.
- Andate! Nano, Drow, correte verso la porta Ovest. Airis, va' con loro e conduci i sopravvissuti lontano da qui. -
Baldur strattonò Melwen con più veemenza. La bambina tentò di opporsi, si divincolò, scalciò, urlò il nome del padre più e più volte, perché qualcosa le diceva che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto. Ma gli occhi di Copernico erano altrove, concentrati sulla nera figura che si stagliava davanti a loro, e presto le sue dita persero la presa. All'ultimo istante affondò le unghie nella stoffa, riuscendo a strappare il mantello.
- Non mi lasciare! Papà! -
Il corpo del mago fremette e, mentre la figlia si allontanava, Ledah lo vide sussurrare qualcosa, un addio che solo lui e Fenrir probabilmente udirono. Poi le parole vennero sovrastate dal ruggito del drago. Gli occhi ardevano di rinnovata furia e le zampe ferivano il terreno, nervose, pronte ad attaccare.
Copernico portò le mani davanti a sé e sui palmi cominciarono a volteggiare dei globi bianchi e iridescenti. Si morse il labbro e guardò l'elfo di sottecchi.
- Ledah. -
- Ho capito. - annuì, si allontanò da Airis e gli si affiancò, le ferite quasi del tutto guarite.
Non appena il calore della guerriera lo abbandonò, le voci tornarono ad assalirlo, ancora più feroci, ancora più spietate.
Uccidilo!
Barcollò, tenendosi la testa con le mani e premendo sulle orecchie. Volevano fare a pezzi la sua anima e il dolore provocato dalle loro grida era insopportabile. Un gelido intorpidimento gli invase le membra e Ledah capì si essere ormai giunto al limite. Percepì le loro dita avvinghiarsi alla sua volontà e trascinarlo in un vortice di follia. Si sentì mancare l'aria, il corpo fremette e una fitta lancinante gli artigliò le membra, mozzandogli il fiato. La corazza nera, simile a putrido catrame, gli si attorcigliò attorno alle gambe, solidificandosi in leggeri schinieri. Copernico lo osservò con uno sguardo imperscrutabile, ma non commentò.
- No, non possiamo lasciarvi qui. Se lo affrontassimo insieme... - tentò Airis, testarda.
- No. - scandì Ledah.
Le iridi rosse bruciavano come tizzoni ardenti e i lineamenti del viso si erano induriti.
- Vattene. - le intimò.
- Ma... - la voce le morì in gola e la frase si completò solo nella sua mente.
"Di questo passo ti trasformerai del tutto."
Come se le avesse letto nel pensiero, l'elfo incurvò le labbra in quello che doveva sembrare un sorriso, ma che alla luce delle fiamme intorno a loro sembrò più un ghigno crudele. Fece vari respiri profondi e riuscì a riprendere il controllo. Isolò il perpetuo brusio e sostenne lo sguardo della guerriera per un tempo incalcolabile. Voleva dirle tante, troppe cose e non sapeva se avrebbe trovato un'altra occasione. Chiuse gli occhi e quando li riaprì lasciò che fosse la sua anima a parlare.
- Vai, Airis. Compi il tuo dovere di Cavaliere e proteggili. -
Airis si stranì a quelle parole, ma in seguito una grande malinconia la invase, una tristezza profonda dettata dalla consapevolezza di non poter fare nulla per convincerli a fuggire. Mai come in quel momento si sentì così impotente, così debole.
- È un addio, Ledah di Llanowar? -
- No, direi che è più un arrivederci. - le regalò un sorriso sghembo, - Non me lo sono scordato, sai? Mi devi ancora raccontare cosa è successo ai tuoi occhi. -
Per la prima volta da quando si erano incontrati, ad Airis parve finalmente in pace con se stesso. Rimase immobile, incatenata a quegli occhi cremisi, e si rese conto di non aver paura dell'essere che aveva di fronte. Inaspettatamente, si ritrovò a pregare gli dei. Chiese loro di lasciarlo vivere, di permetterle di rivederlo, di poter ballare un'altra volta con lui perché solo mentre era tra le sue braccia poteva sentire il gelido vuoto che aveva dentro riempirsi di un piacevole calore.
- Se sopravviverai, lo farò. -
L'elfo assentì debolmente. Poi Airis corse via, svanendo in mezzo al labirinto di macerie.
Non appena l'eco dei suoi passi svanì, Ledah tornò a rivolgere la sua attenzione al loro mastodontico avversario. Il drago alternò lo sguardo tra la ragazza che stava fuggendo e il mago, come se stesse cercando di decidere chi sarebbe stato il suo prossimo obiettivo. Infine posò definitivamente gli occhi sul duo davanti a lui e lanciò un ruggito di sfida.
Copernico fece galleggiare due sfere di luce intorno a sé, mentre le sue braccia venivano circondate da fulmini bluastri.
- Hai un piano? Perché io non credo di... -
Il mago scosse la testa: - Tranquillo. Sapevo già tutto. -
Prima che Ledah potesse fare domande, lo zittì con un gesto secco.
- Se ne usciremo vivi, ti spiegherò ogni cosa. Ora tienilo occupato. Ho bisogno di tempo per preparare l'incantesimo. -
L'elfo mulinò le daghe e si mise in posizione, pronto a scattare. Il drago lo fissò e digrignò le zanne, poi vomitò una fiammata. Ledah scartò di lato, evitando all'ultimo istante che il fuoco lo investisse.
Sei stanco. Lascia a noi il tuo corpo... ti faremo vincere.
Scosse la testa, cercando di mantenere il controllo. Arretrò di qualche passo e studiò la bestia. Doveva colpire direttamente al cuore, infliggergli ferite era assolutamente inutile. Ma prima di trovare una falla nella sua difesa, doveva sfiancarlo.
"Potrà anche rigenerarsi, ma il dolore lo percepisce comunque."
Scattò rapido verso il drago, che proruppe in un'altra fiammata, ma Ledah fu abbastanza agile da schivarla. Balzò sulla sua zampa e la lama si abbatté su di essa in un fendente preciso. Al contatto con le squame, dall'arma si sprigionò un'energia nera e l'aria si saturò dell'odore di carne bruciata. Il drago si dimenò, sollevò l'arto ferito ringhiando in preda alla rabbia e tentò di colpirlo. L'elfo scattò indietro, evitando per un pelo di venire schiacciato, poi gli fu di nuovo addosso. Si portò sotto la bestia, descrisse un semicerchio con entrambe le daghe e colpì di piatto una delle zampe anteriori.
Fallo a pezzi!
Le voci esplosero in un urlo graffiante, disumano che apparteneva a tutte le persone che aveva conosciuto e a nessuna di esse. Ledah serrò le palpebre, tentando di arginare quella follia oscura, ma la stanchezza era troppa e il suo corpo lo pregava di lasciarsi andare e smettere di opporsi. Guardò di sottecchi Copernico e lo scorse concentrato, con le labbra tese e le mani chiuse attorno ad un globo di luce che diventava sempre più luminoso. Lo udì recitare bassa voce delle parole in una lingua antica, ma era evidente che non aveva ancora finito. Strinse i denti e si scagliò contro il drago con rinnovata determinazione, nel tentativo di lasciarsi dietro quelle voci. La bestia fendette l'aria con colpo della coda, ma Ledah si abbassò e piegò le ginocchia per sferrare un altro fendente. In una frazione di secondo la daga penetrò fino all'elsa nel gomito di una delle zampe. Il sangue uscì a fiotti, imbrattandogli il braccio e la corazza.
Ne vuoi ancora? Prendilo, prendi il suo sangue! Prendi la sua vita!
Una zampata lo colpì in pieno e lo scaraventò a terra. Il contraccolpo con il terreno gli mozzò il fiato. Con la vista offuscata, intravide un'ombra enorme avvicinarsi sempre di più e rotolò di fianco prima che la zampa del drago lo schiacciasse.
Colpiscilo! Ti basta poco, Ledah, ci sei quasi.
"Silenzio!"
Doveva farcela, non poteva lasciarle vincere. Annaspò, si rimise in piedi a fatica e strinse l'unica daga rimasta. Chiuse gli occhi. Un'energia nera avvolse l'arma e il metallo si piegò al volere delle ombre. La lama si allungò, la guardia si fece più grossa e l'elsa si fregiò di rune color sangue. Caricò nuovamente, scartò di lato e zigzagò, evitando tutti i colpi della bestia. Lo attaccò ancora, stavolta mirando al collo. Saltò su una delle zampe e corse lungo la pelle fino a poco sotto la gola. Balzò e, impugnando la daga a due mani, la conficcò poco sotto la mandibola, penetrando in profondità e descrivendo uno squarcio verticale fin quasi al petto. Cominciò a massacrare la creatura con inaudita ferocia: ogni volta che gli si presentava l'occasione, la sua lama scintillava sotto il sole, squarciando la pelle del mostro, facendola a brandelli. Saltava, scansava, arretrava sfuggendo alle fiamme e alla furia cieca dell'animale, assestava stoccate fulminee e ancora si ritirava, in una macabra danza di morte. Dopo ciascun colpo andato a segno, dalla daga si liberava un'onda di energia oscura, potente come le grida che gli perforavano il cervello.
Ancora! Di più!
Ledah chiuse gli occhi. Era leggero, rapido a sufficienza per poter tenere testa al drago ancora un po', ma quella lotta intensa lo stava sfiancando. Il suo tempo stava per scadere. Sentì il cappio del destino stringersi attorno alla gola e improvvisamente il respiro gli mancò. Strinse la spada fino a farsi sbiancare le nocche e partì ancora all'attacco.
A un tratto, le immagini di quello che era stata la sua vita fino a quel momento lo investirono a tradimento.
Ascolta la rabbia, Ledah, ricorda la solitudine che hai provato.
Negli anni aveva calpestato innumerevoli cadaveri, sia dei nemici sia dei suoi compagni, lasciandosi alle spalle solo una scia di sangue. La morte era stata la sua amante, le daghe le sue fide compagne. Aveva calcato i campi di battaglia ogni giorno, ciecamente convinto che gli insegnamenti e i valori che gli erano stati impartiti non potessero essere messi in discussione: l'amore per la patria, l'odio per gli umani, il sacrificio in guerra. Ma poi aveva perso il controllo in quella radura di Sheelwood e tutto gli era crollato addosso. Era stato esiliato dalla stessa gente che aveva giurato di proteggere, gli avevano sputato addosso, lo avevano insultato e gli avevano tirato pietre fino a farlo crollare in ginocchio. Sarebbe dovuto morire quel giorno, sotto gli occhi pieni di disgusto e orrore del suo popolo, ma lui voleva vivere. Era fuggito e aveva trovato rifugio nella parte più interna di Llanowar. Credeva di potersi redimere, credeva che se avesse continuato a combattere a fianco degli elfi, essi lo avrebbero riammesso tra loro, ma il suo passato era come un pesante macigno che lo trascinava sempre più in basso, sempre più giù in quel baratro fangoso di voci. La notizia di quello che aveva fatto aveva viaggiato su ali più veloci. Ben presto aveva dovuto sparire, diventando un'ombra tra le ombre.
Abbatté la spada sul collo della bestia e il ruggito di sofferenza del drago rimbombò nell'aria.
Ciononostante, aveva continuato a compiere il suo dovere. Nascosto tra le fronde degli alberi, aveva continuato a mietere nemici, lasciando che il merito di ogni uccisione fosse tributato ad altri soldati. Origliava spesso gli ordini dei capi e, appreso dove sarebbero andate le truppe in ricognizione, le precedeva, seguiva le tracce lasciate dagli umani, si spingeva nei luoghi dove si erano appostati e senza indugio gli eliminava. Durante quelle battute di caccia efferata, aveva incontrato nemici impavidi, valorosi, astuti, uomini che vivevano con il solo scopo di uccidere, ma anche soldati che combattevano per denaro, per fame, per piacere o per altre ragioni. A volte era bastato un semplice colpo, altre volte era stato costretto a lottare fino allo stremo delle forze. Ma, alla fine, il loro sangue era scivolato sulle sue lame, gocciolando a terra in un costante stillicidio. Alcune volte si era avventurato fino alle porte degli insediamenti elfici per sfuggire a quella cupa solitudine, però poi il buonsenso lo aveva spinto sempre a ritirarsi di nuovo.
Li detesti, vero? Dovrebbero morire tutti. Ingrati, ipocriti, vili!
Per anni era andato avanti in quel modo. Alla morte dopo un po' ci si abitua. Non gli importava se la sua anima sarebbe diventata sempre più nera, perché non aveva più niente da perdere, eccetto se stesso. Tuttavia, quando aveva imparato cosa significasse davvero sentirsi vivo e aveva creduto di potersi salvare, la verità era tornata ad assalirlo. Per Ledah di Llanowar non c'era mai stato scampo. Si era illuso di aver trovato un'ancora a cui aggrapparsi per non precipitare, ma pareva che la corda che lo teneva appeso si fosse ormai spezzata. Stava cadendo.
All'improvviso si sentì afferrare per una spalla e qualcuno lo costrinse ad indietreggiare.
- Non è ancora arrivato il tuo momento, Ledah. - la voce di Copernico gli esplose in testa.
L'elfo percepì una scarica di calore attraversare ogni fibra del suo corpo e le voci ammutolirono di colpo. Sbatté le palpebre e barcollò privo di forze. Tutto il potere che aveva percepito scorrergli nelle vene fino a quel momento svanì assieme alle ombre. Pezzi di metallo nero caddero a terra con un tonfo sordo e lentamente l'armatura si sgretolò sotto il suo sguardo attonito. Fissò Copernico, sbigottito, e vide il frammento di cristallo azzurro che volteggiava nel palmo della sua mano.
- Hai preso tempo a sufficienza. Ora sono pronto. -
Poi, prima ancora che Ledah potesse capire cosa stesse succedendo, una potente onda d'urto lo scaraventò all'interno di un edificio distrutto. Le schegge di vetro lo ferirono e il contraccolpo con il terreno gli offuscò la vista. A fatica tirò su il capo e vide il corpo del mago librarsi in aria, mentre raggi di luce bianca scaturivano dal cristallo. Il drago ringhiò e sputò fuoco addosso a Copernico, ma le fiamme si infransero contro una barriera impalpabile. Allora ci si accanì con le zampe, ma i suoi artigli si frantumarono. Il suo ruggito di dolore si diffuse per tutta la città. Il mezz'elfo mantenne la concentrazione e continuò a sussurrare con voce roca un'antica litania, il viso contratto per la fatica e le vene che emergevano sotto la pelle come rami bluastri. Il frammento vibrò nelle sue mani ed emise una luce sempre più accecante.
Ledah osservò la scena, immobile, lo sguardo perso in un vecchio ricordo e una sensazione di angoscia che gli attanagliava le viscere. Le parole di Airis riemersero prepotentemente dalla memoria.
"Dopo aver perlustrato a fondo la cattedrale del Signore della Foresta, nel cortile antistante ho trovato i cadaveri di una decina di sacerdoti, accatastati attorno a un'enorme voragine. I loro corpi sembravano degli scheletri, per quanto la pelle era tesa sulle ossa. Era come se..."
"Come se gli avessero risucchiato la vita..."
L'aria gli si incastrò in gola. Alzò lo sguardo e vide il corpo di Copernico coperto di ferite, il sangue a imbrattargli la tunica, la pelle tirata sugli zigomi e piagata sulle mani.
- Copernico, fermati! Così morirai! - gridò.
Tentò di alzarsi, ma i muscoli non rispondevano. Era come se tutta la stanchezza gli fosse piombata addosso in un solo istante. Poi la voce del mago parlò direttamente alla sua coscienza.
"Scusami, Ledah, ma devo fare in fretta e purtroppo non ce la farò a rivelarti tutto quello che ho scoperto. Come hai visto, sono riuscito controllare parzialmente il tuo potere ed è stato grazie al frammento che Airis mi ha portato."
"Ti prego, fermati!"
"Giunto a questo punto non posso più fermarmi. Ora ascoltami. Devi assolutamente trovare un altro di questi frammenti. Mi sbagliavo, Ledah, mi sbagliavo su tutto. Il cristallo madre non era un semplice catalizzatore, ma aveva all'interno qualcosa di più, una luce molto potente, che sarebbe addirittura capace di sconfiggere le tenebre dentro di te, aiutandoti a dominarle. Trovalo, Ledah, trova l'ultimo frammento!"
Innalzò le braccia al cielo e la scheggia luminosa volteggiò sopra di lui. Il drago si ritrasse, accecato. Le ferite ancora aperte ricominciarono a sanguinare e la rigenerazione si arrestò. Un forte vento si alzò e spazzò via i fumi degli incendi, rivelando un cielo di un azzurro chiarissimo.
Copernico abbassò lo sguardo, incrociando quello atterrito dell'elfo. Un sorriso sereno gli si dipinse sul volto stanco.
"Per favore, di' a Melwen che le ho sempre voluto bene."
Fece un gesto con una mano e una brezza leggera sfiorò Ledah, che percepì il proprio corpo avvolto da una forza intangibile.
Ad un tratto, un fischio acuto si diffuse nell'aria.
- No! Non farlo! -
"Vivi, Ledah. Vivi e proteggile."
Infine calò un silenzio assordante.
Gli animali ammutolirono, il vento si calmò e il tempo si arrestò.

Il vuoto.
Un vuoto che aveva portato morte e distruzione, un vuoto che Airis non avrebbe mai dimenticato.
La calma prima della tempesta.
La guerriera si fermò e si voltò indietro per sincerarsi che non fosse ciò che pensava, ma un attimo più tardi ogni dubbio venne spazzato via.
Vide una luce bianca espandersi rapidamente.
Udì un boato devastante.
Un'onda d'urto la investì, le staccò i piedi da terra e la scaraventò lontano.
Poi il buio l'avvolse.

Una figura avanzò spedita tra le macerie. Indossava una splendente armatura nera e il mantello verde ondeggiava sulla schiena. Osservò distrattamente i suoi sottoposti per appurare che stessero compiendo il loro lavoro. I demoni annusavano l'aria e correvano in qua e là e gli elfi non morti battevano le strade sulle tracce di qualche sopravvissuto, anche se era alquanto improbabile che un umano potesse essersi salvato.
Non avevano previsto che il mago fosse in possesso di un frammento, ma in fin dei conti avevano ottenuto esattamente ciò che volevano. Si rigirò tra le mani un libro vecchio dalla copertina consunta e gli spigoli istoriati con decorazioni dorate. Con finta indifferenza scorse con le dita le pagine ingiallite dagli anni e non poté fare a meno di sorridere compiaciuto. Lei sarebbe stata felice.
Lanciò una rapida occhiata al carro dietro di sé, dove giaceva il corpo inerte di Ledah. Respirava appena, ma era vivo. Due demoni gli avevano legato le mani dietro la schiena e ora stavano lì di guardia, anche se in quelle condizioni non sarebbe comunque riuscito a scappare. Rifletté che, se non fosse stato per quella magia di protezione, probabilmente ora avrebbero trovato soltanto le ossa.
"Sei un elfo fortunato, Ledah. Molto fortunato."
Schioccò la lingua e si avvicinò a un cavaliere ferito, che sedeva ai piedi di quella che doveva essere stata una bottega di dolci, a giudicare dal lieve profumo zuccherino che ancora ammantava le pareti. I capelli corti e fulvi erano sporchi di polvere e fuliggine, mentre il viso spruzzato di piccole efelidi era disteso in un'espressione rilassata. L'armatura nera era stata scalfita in più punti, ma nel complesso era intatta.
Non appena lo vide arrivare, si girò verso di lui, fissandolo con disinteresse.
- Ce ne avete messo di tempo. Sono quasi morto... di noia. - sbuffò Brandir.
L'altro si soffermò sulle ferite che deturpavano il volto dell'elfo. A parte l'evidente linea rossa che gli deturpava il collo, la pelle sulle guance era bruciata e le ossa bianche spuntavano da sotto la carne viva.
- È colpa tua. - rispose, gelido, - Ci abbiamo messo più di un'ora per trovare la tua stupida testa. -
Brandir scrollò le spalle e cambiò argomento: - Beh, lo avete preso? -
- Sì. Lo abbiamo già caricato sul carro. -
In quel momento, un demone si avvicinò: - Signore, dobbiamo sbrigarci. -
- Sì, arriviamo. -
Il mostro annuì e si dileguò lasciandoli di nuovo soli.
L'elfo si alzò, si stiracchiò e scrocchiò il collo: - Non ricordo il tuo nome. -
Il guerriero col mantello verde ghignò appena: - Io sono Eigor Felther, primo Comandante della cinquantesima legione, Cavaliere del Drago. -
Morto nell'ultimo assedio di Llanowar.
Ma questo non lo disse.  

Fuoco nelle TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora