Frammenti di memoria - In difesa degli innocenti

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Era una bellissima giornata di sole. La piccola Caillean, disturbata da un timido raggio di luce, aprì leggermente gli occhi, per poi guardarsi intorno. Una leggera brezza si infilò tra le imposte consunte della finestra della sua cameretta, portando con sé un dolce profumo di gelsomini.

"Ah, già... è arrivata l'estate."
Mugugnò qualcosa di indefinito e si rannicchiò sotto la coperta per continuare a dormire. Però, appena realizzò appieno ciò che aveva pensato, scattò a sedere.
- Aspetta... è arrivata l'estate! -
La nuova constatazione dissipò completamente le nebbie del sonno, dando a quella bambina di nove anni un motivo per alzarsi definitivamente dal letto. Si liberò dalle coperte e corse in cucina tutta eccitata, trovando sua madre intenta a sbucciare le patate per il pranzo.
- Quante volte ti devo dire di non girare scalza per casa? - la redarguì subito Alicia e due iridi grigio-verdi scrutarono severe Caillean, - E poi dove credi di andare con quei capelli? Sembra tu abbia fatto la lotta con un gatto. -
La bambina roteò gli occhi esasperata e sbuffò, sedendosi poi a tavola per divorare la colazione a base di uova e carne essiccata. Trascorse un minuto scarso di silenzio, quando all'improvviso sua madre riattaccò con la predica su quanto la piccolina fosse un maschiaccio. Quest'ultima era sul punto di risponderle a tono, ma un attimo più tardi frenò le parole astiose e si morse le labbra: se voleva uscire a giocare nel bosco, doveva cercare di non far arrabbiare quella donna grassottella, dai capelli neri come la notte e ispidi come paglia. Ne guardò le mani callose, che, con una solerzia simile a quella di un cuoco professionista, tagliavano le rape e le melanzane.
- Posso uscire, mamma? -
- Certo, ma prima vai a pettinarti. Poi devi andare a prendere le carote nell'orto e dopo recarti al mercato in paese a comprare due cose. -
Caillean sbuffò di nuovo sonoramente, ma obbedì. Si diresse in camera e, con un pettine d'osso di coniglio, cominciò a districare i nodi che inselvatichivano la sua chioma fulva.
Odiava andare in paese. Tutte le persone che la incontravano la fissavano con un misto di paura e diffidenza, mentre i bambini la scansavano come se fosse un'appestata. Tutto per i suoi capelli rossi come le fiamme, che aveva ereditato da sua nonna paterna.
Una volta terminato l'arduo compito, tornò in cucina più determinata che mai.
- Non ci voglio andare in paese, uffa! -
La madre sospirò e scosse la testa.
- Va bene, va bene. A prendere quelle cose vado io, ma tu rimani qui e controlli che la minestra non bruci, chiaro? - sentenziò in tono leggermente più dolce, - Ora vai lavarti. Non voglio avere una figlia puzzolente in casa. -
Caillean sorrise e corse al pozzo sul retro della casetta, correndo veloce come una lepre. Tirò su il secchio, immerse il viso nel liquido cristallino e rabbrividì a causa dell'aria fresca, ma niente riusciva a darle più energia.
Suo padre le aveva raccontato che, quando era ancora un soldato, ogni mattina andava al fiume poco fuori dall'accampamento e si immergeva nelle sue rapide. Era convinto che il freddo lo aiutasse a purificarsi. I suoi commilitoni dicevano che era pazzo a farsi il bagno con quella temperatura così bassa, ma a lui non importava granché della loro opinione.
Da quando le era stato riferito quell'aneddoto, anche Caillean aveva preso quell'abitudine. All'inizio non era stato per niente facile, soprattutto per lei che, a differenza di suo padre, era nata a Merite, vicino al Grande Mare, dove il clima era caldo e secco.
Da quel che sapeva, i suoi nonni si erano trasferiti lì da Sershet, capitale del sud, non appena sua madre era nata. Da quando era scoppiato il conflitto con gli elfi, la città era diventata uno dei più grandi avamposti dell'esercito umano, così chi poteva si trasferiva nelle campagne, dove la guerra era solo una semplice eco.
La fragile pace che regnava in quel paesino assolato, lontano da tutto e da tutti, era più che sufficiente per la povera gente che vi abitava.
Caillean guardò la sua immagine riflessa. Se non fosse stato per quella zazzera rossa, sarebbe stata una bambina normale. Forse un po' troppo magra e ossuta, ma sicuramente la gente avrebbe smesso di additarla, e avrebbe avuto anche degli amichetti con cui uscire a giocare.
Secondo un'antica leggenda, chi nasceva coi capelli rossi era un figlio di Aesir, divinità che governa le tenebre e il caos. Le donne che partorivano dei bambini con questa caratteristica erano considerate delle meretrici, che pur di avere un po' di piacere acconsentivano a mettere al mondo una stirpe maledetta. Per questo motivo Caillean e i suoi genitori venivano completamente emarginati dalla comunità, senza ricevere aiuti di alcun tipo.
Prese il cordoncino di spago che portava al polso e legò la fluente chioma in una semplice coda, mentre si tirava un'altra secchiata d'acqua in testa.
- Caillean! -
La voce di sua madre la distolse dalle sue riflessioni, ricordandole quale era la priorità: accontentarla per poter poi andare a giocare nel bosco.
Si mise a correre in direzione della casa, le goccioline d'acqua che le rigano il volto.
La mattina passò in fretta, scandita dallo scorrere della sabbia nella clessidra, posta su un cassettone vicino alla porta d'ingresso. Era un oggetto alto quasi mezzo braccio e molto pesante.
Caillean si tenne occupata per non pensare alla noia, cercando di adempiere a tutte le mansioni che le venivano assegnate. Ma era distratta dai continui giochi di luce dei raggi del sole sui vetri delle finestre, dal continuo frinire delle cicale e dal fruscio del vento tra le fronde degli alberi. Tutti quei suoni la rendevano ancora più smaniosa di uscire, anche se sapeva che fino a quando non terminava i suoi compiti, quel permesso le era completamente interdetto.
Un goccia di minestra schizzò fuori dalla pentola di rame, facendole ritrarre la mano dal mestolo con un "ahia" soffocato.
Alicia si voltò verso di lei: - Si può sapere dove hai la testa? Insomma, sei una signorina, ormai! Se non riesci a girare neanche una minestra, come credi di trovare marito? -
Caillean sospirò esasperata, mentre fingeva di ascoltare la solita tiritera.
"Ma chi vuole sposarsi? Io voglio diventare un soldato come papà, sconfiggere gli elfi e riportare la pace in tutta Esperya."
Osservò le verdure amalgamarsi in una pappina verdognola, avvedendosi però di non far menzione dei suoi piani per il futuro. Sapeva che sua madre voleva semplicemente che lei fosse felice e che un giorno potesse andare a vivere in un posto dove finalmente sarebbe stata accettata, ma erano delle idee che si discostavano troppo da quello che desiderava. Caillean aveva stabilito che la vita coniugale non faceva per lei, che invece voleva calcare i campi di battaglia sopra un cavallo nero dagli occhi vermigli, che avrebbe chiamato Ciaran.
"Gli elfi tremeranno davanti a me e fuggiranno non appena mi vedranno apparire all'orizzonte e..."
Il rumore della porta di casa la distolse dalle sue fantasie eroiche, facendola voltare. Incrociò due occhi verdi come l'erba, identici ai suoi.
- Papà! -
Incurante dei rimbrotti di Alicia, gli saltò in braccio e gli cosparse la faccia di baci.
Kale era un uomo alto, dalle braccia forti e muscolose, con mani piene di calli a causa del continuo uso della spada e dell'arco, la sua sua arma prediletta per quando andava a caccia. Il viso bonario, incorniciato da una cascata di capelli rossi tenuti a malapena stretti in una lunga treccia, era segnato da una profonda cicatrice.
- La mamma ti ha tenuto in prigione a pelare patate? -
La bambina annuì, afflitta.
- Beh, che ne dici allora di venire nel bosco con me? -
Un urlo di giubilo uscì dalle labbra di Caillean.
Mangiarono in fretta il pasticcio di patate e la minestra. La madre scosse la testa, spostando lo sguardo divertito alternativamente dal marito alla figlia.
- Siete uguali, voi due. - la bozza di un sorriso si disegnò su quelle labbra sottili.
L'uomo e sua figlia fecero spallucce e addentarono voraci due mele belle mature.
- E tu, Kale, dovresti smetterla di fargliele passare tutte lisce. Guardala! Si ingozza come un maiale e si comporta da maschiaccio! -
- Anche tu eri così, Alicia. Anzi, eri anche peggio di lei. Ti devo ricordare di tutti gli animaletti morti che portavi a casa per la tua collezione? -
Alicia ammutolì, punta nel vivo, mentre le sue guance si imporporano di rosso.
- Davvero la mamma aveva una collezione di animali morti? - volle sapere la piccola.
Non si sarebbe fatta scappare un'occasione così succulenta per rispondere a tono a sua madre quando quella la rimproverava di essere poco femminile.
- N-non è vero! - esclamò l'interessata, - Ora andate fuori, prima che vi appenda per le orecchie! -
Il marito sorrise e si allungò per stamparle un leggero bacio a fior di labbra.
- A dopo, amore. - le accarezzò il volto mentre Caillean li guardava da dietro con un'espressione disgustata.
- Bleah! -
Prima che qualcuno dei due genitori potesse dire qualcosa, la bambina infilò la porta e corse fuori. Ad accoglierla ci fu lo spettacolo della natura in fiore: il sole illuminava un prato di campanule e gigli, che si estendeva a perdita d'occhio per miglia, le acque del ruscello che scorreva vicino al limitare del bosco erano limpide e fresche e i rami degli alberi sembravano protendersi verso il cielo alla ricerca di quel calore tanto agognato durante l'inverno e la tiepida primavera. Il vento le scompigliò i capelli, facendoli ondeggiare in sinuose spirali, come lingue di fuoco.
Cominciò a correre e l'adrenalina non tardò a farle ribollire il sangue nelle vene. Qualche gocciolina di sudore le imperlò il viso. Si inoltrò nel bosco di antiche querce e cipressi odorosi, meta di numerose scampagnate e battute di caccia in compagnia del padre, con lo sguardo dritto davanti a sé e i piedi che scavalcavano con rapidi saltelli le robuste radici che sbucavano dal terreno. Lentamente le sagome degli alberi coprirono i raggi del sole, donandole un po' di refrigerio, mentre si lasciava alle spalle la sua casa. Con il cuore che le scoppiava nel petto arrivò nella radura dove di solito lei e il padre si fermavano a riposare. Una leggera brezza le portò alle narici il profumo delle margherite che costellavano il prato. Caillean vi si lasciò cadere, inspirando a pieni polmoni quell'aria fresca.
Quanto le era mancata la sensazione dei fili d'erba tra i capelli e il caldo che preannunciava un'estate all'insegna dei giochi e del divertimento.
A un tratto un'ombra si allungò sul suo viso. La bambina aprì gli occhi, per nulla spaventata, e incrociò quelli smeraldo del padre.
- Ti godi il sole, eh? - si stese accanto a lei a fissare il cielo terso, - Anche su al nord, in alcuni giorni, si poteva ammirare un azzurro così splendido. -
- Come facevi a guardare il cielo se eri sempre a combattere, papà? -
Kale sospirò, chiudendo gli occhi per rievocare i ricordi relativi a quel periodo.
- Lo facevo quando il mio plotone era accampato vicino al Tabor, un fiume immenso che divide Ferya ed Eleuterya. Durante le pause tra un combattimento e l'altro andavo a rinfrescarmi in quelle acque. Era come se il freddo potesse purificarmi da tutti i miei peccati. -
- Peccati? Ma di che stai parlando, papà! Tu eri un eroe! Hai ucciso tanti elfi e hai fermato la loro avanzata verso la capitale! -
Caillean si voltò verso di lui, i loro capelli che si sovrapponevano e si mischiavano in un vortice rosso.
- Pensi che uccidere sia giusto, piccola mia? - sorrise mesto, accarezzandole la guancia paffuta.
Lei si mordicchiò il labbro inferiore, incerta su cosa rispondere: - N-no... uccidere non è giusto... ma se non l'avessi fatto, sarebbero morte tante persone... -
- Uccidere non è mai giusto, perché la vita è un dono che ci è stato offerto dagli dei e noi non possiamo arrogarci il diritto di essere i boia di un altro uomo. Certo, se non avessimo preso le armi, ci sarebbero state numerosissime vittime, però non devi pensare che gli elfi siano tutti malvagi. Io ne ho incontrati molti, sia mentre ero in battaglia sia mentre montavo la guardia alle celle dei prigionieri, e posso assicurarti che non sono quei mostri che ci descrivono. Sono dei guerrieri formidabili, soprattutto nell'uso dell'arco, e hanno un grande rispetto dei loro avversari. Uno di loro mi ha persino salvato la vita. -
Caillean strabuzzò gli occhi, incredula. Il padre si tirò su a sedere e la prese in braccio, come ogni volta che si accingeva a raccontarle una storia.
- Adesso ho sentito che hanno perso molti dei loro valori, che ogni volta che conquistano una città compiono delle brutalità che vanno al di là di ogni immaginazione. Forse è davvero così, ma non credo possibile che siano loro gli artefici di tutti quegli eccidi. Non sempre si riesce a distinguere il vero nemico. -
- Ma i Quattro Cavalieri dicono che... -
- Il Concilio dei Quattro Cavalieri è un organo corrotto. Coloro che siedono su quegli scranni secolari, ammantandosi di tante belle parole, sono solo uomini che pensano più al loro tornaconto personale che altro. Nessuno di loro ha mai calcato un campo di battaglia, nessuno di loro sa cosa significa lavare il sangue col sangue o assumersi la responsabilità di togliere la vita. - la strinse forte, affondando il naso nella stoffa che le ricopriva la spalla, - Ho sentito che non hai intenzione di sposarti, che vuoi arruolarti e diventare un soldato... -
Caillean sbiancò. Come faceva a sapere sempre tutto, suo padre? Eppure non l'aveva detto ad anima viva. Abbassò lo sguardo colpevole, cercando di sfuggire a quello tagliente dell'uomo. Sentì una mano prenderle delicatamente il mento e alzarlo. L'espressione di Kale era indecifrabile, la piccola non avrebbe saputo dire se fosse furioso o immensamente triste.
Quando finalmente riprese a parlare, la sua voce aveva perso ogni calore.
- Lo so che non vuoi seguire le orme di tua madre e non penso che sarebbe la strada adatta a te. Però, figlia mia, pensaci bene. La vita nell'esercito è dura, soprattutto per una donna. È un posto ancora pieno di pregiudizi, dove è difficile farsi strada, dove la gente tira fuori il peggio di sé. Ma soprattutto devi essere consapevole che, se vuoi diventare un guerriero, dovrai portare per tutta la vita il peso di aver ucciso. È un grosso fardello. Non importa per quale motivo tu lo faccia, non importa quante volte chiederai perdono: le tue mani rimarranno sempre le mani di un assassino, le tue dita saranno per sempre lorde del sangue dei tuoi compagni e dei tuoi nemici. - le strinse le spalle, la voce ridotta a un sussurro, - Dimenticati le ballate dei bardi e le storie che ti sono state raccontate: nella guerra non c'è niente di eroico. C'è solo un'effimera gloria che tramuta gli uomini più onesti in feroci carnefici. Sei pronta a tutto questo? Perché se è veramente ciò che vuoi, io ti sosterrò come ho fatto sinora. -
Caillean lo fissò, facendosi improvvisamente seria.
- Sì, è quello che voglio. Voglio combattere e riportare la pace su Esperya. Voglio poter vedere la gente felice, senza più la paura di viaggiare. Voglio non dover più sentire l'odore dei campi bruciati e le urla degli innocenti. Io diventerò un Cavaliere e metterò la mia spada al servizio della giustizia. Io diventerò come te, papà. -
L'uomo rimase immobile per alcuni istanti, poi le labbra si stesero nel solito sorriso che la bambina amava tanto.
- Va bene, piccola mia. Se tua madre verrà a saperlo, mi farà lo scalpo. -
Caillean rise divertita: - Ah, lo so. Ma non serve che mamma lo sappia, vero? -
- No, ci tengo alla vita! - ridacchiò anche lui, poi le lanciò una spada di legno, - Bene, ora in guardia! Vediamo quanto sei migliorata dall'ultima volta. -

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