Dopo che Brandir se n'era andato via dalla locanda, Ledah era rimasto lì a riflettere sul da farsi. Da una parte, quello che l'amico gli aveva detto circa le intenzioni del Consiglio non lo convinceva molto, dall'altra però non se la sentiva di mettere in dubbio le sue parole: Brandir non era solo il suo Comandante, ma anche il migliore amico. Non avrebbe avuto motivo di mentirgli. Eppure il suo istinto continuava a urlargli di non fidarsi, perché Brandir, stranamente, era stato fin troppo vago ed aveva evitato di soffermarsi sull'argomento più del dovuto. Era riuscito a deviare il discorso con una sorprendente maestria, ma a Ledah quel suo atteggiamento non era sfuggito. Si augurava di sbagliarsi.
Si impose di ignorare il crescente disagio e sorseggiò l'ennesimo boccale di birra. Dall'inizio della serata ne aveva bevuti tre e ora era al quarto. L'alcool aveva già cominciato a penetrare nelle vene e invadergli il cervello, annebbiando quei tetri pensieri. Davanti a lui passò un'avvenente cameriera con i capelli scuri, il corpo fasciato da un corpetto di pelle nera e un paio di pantaloni marroni estremamente aderenti. Percependo lo sguardo di Ledah addosso, lei si girò nella sua direzione. Il viso aveva dei lineamenti spigolosi e gli occhi del colore dell'uva matura erano pieni di malizia, dettaglio che l'elfo trovò particolarmente eccitante. Gli si avvicinò e poi, chinandosi leggermente per prendere la pinta vuota, gli sussurrò di aspettare che finisse il suo turno. Non appena fu di nuovo lontana, Ledah si umettò le labbra con la lingua, fremendo di anticipazione.
Si mise comodo sulla sedia, ma ad un tratto sussultò e impallidì. Scrollò con veemenza la testa pesante come un macigno, nel tentativo di scacciare i brutti ricordi che erano riemersi all'improvviso, cogliendolo alla sprovvista: Elladan, il suo tradimento, la disperazione di Haldamir, il suo ultimo sacrificio, gli sguardi accusatori del suo popolo e la loro diffidenza. Chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli.
"E' tutto finito ormai..."
Ordinò un distillato di papavero e lo buttò giù in un soffio. Il liquido scese lungo la gola, per poi diffondersi come una vampata calda in tutto il corpo, azzerando i pensieri. Inspirò profondamente, mentre quegli stralci di passato sprofondavano ancora nell'oblio. Rimase a bearsi di quella sensazione per un tempo che non seppe calcolare, finché dita delicate si poggiarono sulla sua spalla. Fece spaziare lo sguardo intorno per la sala: nella locanda era rimasto soltanto lui.
- Andiamo da qualche parte? Oppure preferisci rimanere qui? Stasera chiudo io. - gli bisbigliò la cameriera di prima, alitandogli nell'orecchio con fare seducente.
Ledah la trasse a sé con urgenza, la spinse a cavalcioni sulle sue gambe e cominciò a slacciarle il corpetto, inspirando il suo dolce profumo.
"Lavanda... lavanda e cedro."
Liberò i seni dalla stretta della stoffa e vi affondò il viso, mentre le mani correvano sulla schiena liscia.
- Non voglio andare da nessuna parte. Ti voglio qui. Ora. - rispose con voce roca e iniziò a leccarle i capezzoli, che si inturgidirono al primo tocco.
La sentì sussultare sotto la propria lingua e ne fu compiaciuto. Percorse con le labbra il profilo dei seni e si riempì le orecchie dei gemiti sommessi della giovane elfa. Non sapeva neanche il suo nome.
- Come ti chiami? -
- Eladel... - sospirò lei.
- Eladel... - pronunciò scandendo le lettere, - Che bel nome. -
La prese in braccio, la issò sul tavolo di legno e con delicatezza le divaricò le gambe, mentre la baciava e la palpava dappertutto. Eladel abbandonò la testa all'indietro, godendosi quelle gentili carezze. Poi il moro la strinse a sé con forza e affondò i denti nella pelle morbida di una spalla, quasi a volerla marchiare. Voleva possederla, voleva divorarla e voleva sentirsi amato, anche solo per un attimo, anche tra le braccia di una sconosciuta, che molto probabilmente non avrebbe più rivisto. Se solo avesse potuto assaporare la dolcezza e lo struggente sentimento dell'amore per una misera volta, era sicuro che la solitudine e l'angoscia che albergavano in lui da innumerevoli anni sarebbero svanite per un po', concedendogli la tanto agognata pace. Ne aveva abbastanza delle tenebre, del freddo e della desolazione, la sua anima bramava calore, un fuoco purificatore in grado di farlo sentire rigenerato, vivo, nuovo, ancora innocente e pieno di sogni e speranze.
Chiuse gli occhi, prese fiato e si immerse nel corpo accogliente di Eladel, come si stesse tuffando sott'acqua. Il piacere lo travolse all'istante e per un attimo si ritrovò in apnea, boccheggiante, a galleggiare in un universo ovattato in cui presto si sarebbe annullato. Per l'ora seguente si dimenticò di essere Ledah, l'elfo oscuro, l'Alfiere dalle Ombre, colui che aveva insultato la vita stessa nascendo dalla morte.
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Fuoco nelle Tenebre
Fantasía[ Primo libro della trilogia 'Guardiani'.] Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo...