Frammenti di memoria - Giustizia

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  Caillean si sentiva immensamente debole

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Caillean si sentiva immensamente debole. L'avevano nutrita solamente con pane e acqua nei giorni precedenti. Glieli avevano portati quando meno se lo aspettava, forse perché speravano di sorprenderla addormentata, così da lasciare quei miseri pasti ai topi. Ma lei era sempre rimasta vigile ed era riuscita a sopravvivere. Chiusa in quella stanza angusta e umida, illuminata solo grazie a un'unica finestra, si gettava sul cibo con disperazione per placare i crampi della fame che la tormentavano giorno e notte, invano. Più di una volta si era trascinata fino alle sbarre della cella, strisciando in mezzo ai suoi stessi escrementi e alla paglia intrisa di urina, ma le catene la bloccavano sempre prima di riuscire anche solo a sfiorarle. Allora urlava, pregava gli dei e piangeva, ma nessuno era mai giunto in suo soccorso.
Talvolta le era parso di sentire dei gemiti di dolore, ma da quel che ricordava quelle prigioni non erano più in uso da secoli, perciò li aveva archiviati come mero frutto della sua mente spossata. Spesso, per rompere quel silenzio assordante, parlava tra sé e sé, raccontandosi le leggende che giravano attorno a quelle antiche rovine, oppure faceva progetti su quando suo padre sarebbe venuto a portarla via da lì. A tratti le pareva persino di udire la sua voce che la chiamava promettendole la salvezza. Poi l'immagine della sua testa conficcata sulla picca all'entrata del villaggio, insieme a quelle di molti altri uomini a cui non sapeva dare un nome, tornava ad assalirla con forza e tutte le sue speranze andavano in frantumi.
Ogni tanto una donna incappucciata era venuta a farle visita e a controllare le ferite, ma non si era mai spinta al di là di una rapida occhiata. Caillean aveva provato a parlarle, ma in risposta aveva ottenuto soltanto l'eco della propria voce.
Al settimo giorno vennero a prenderla. Stava scivolando nel torpore del sonno, quando all'improvviso udì un rumore di passi e il cigolio della pesante porta di ferro della cella. Due uomini la afferrarono sotto le ascelle e la costrinsero in piedi. Tentò di opporre resistenza, ma erano troppo forti. L'alba era sorta da meno di un'ora e le pareti del lungo corridoio di pietra che stava attraversando rilucevano di un alone rosato. Il profumo dei fiori di campo le solleticò le narici e un leggero venticello estivo si insinuò sotto le sue vesti lacere, accarezzando la pelle martoriata. I muscoli delle gambe erano intorpidite per la prolungata mancanza di movimento, tanto che non riusciva a camminare. Ci pensarono le guardie a sorreggerla, sorde al suo piagnucolio disperato, trascinandola in un dedalo di passaggi tutti uguali dove c'erano altre celle. Molte erano vuote, altre invece erano occupate da pochi prigionieri, che Caillean riconobbe come abitanti di Merite. Li osservò di sfuggita, chiedendosi perché si trovassero lì: Merite era un posto tranquillo, dove il crimine più grave era il furto di frutta e dolcetti da parte dei bambini. Perché quindi il macellaio e il fabbro erano stati rinchiusi? Perché in quell'altra cella c'era il pastore che viveva poco fuori dal paese? Non erano amici della sua famiglia, ma qualche volta avevano chiacchierato e scherzato con suo padre e si erano fatti pure qualche piccolo favore a vicenda. L'angoscia le annodò le viscere e le gelò il sangue.
Con immenso sforzo alzò appena la testa, gli occhi lucidi e il cuore che batteva contro la cassa toracica.
- Perché? -
La domanda le uscì strozzata. Aveva la gola secca. Una delle guardie storse le labbra in una smorfia infastidita, strinse la presa attorno al braccio della bambina e continuò a strattonarla senza rivolgerle la parola.
Non appena uscirono all'aperto, la luce le graffiò gli occhi. Serrò le palpebre, cercando di proteggersi dai raggi del sole, ma il bruciore era forte, insopportabile, dato che era rimasta al buio per sette lunghi giorni, osservando il cielo da dietro le sbarre della sua prigione. Attraversarono il villaggio sotto un sole implacabile. I capelli le ricadevano davanti al volto e il sudore le imperlava la fronte, ma nessuno dei due uomini che l'avevano presa in custodia si premurò di aiutarla, quasi fossero compiaciuti di vederla ridotta in quello stato.
Quando percepì la carezze degli steli d'erba sulle gambe, capì che si trovavano al limitare della foresta. Forse volevano ammazzarla e lasciare il suo corpo alla mercé dei corvi, ma a lei non importava più: meglio morire che continuare con quella tortura. Però non voleva fare la fine di suo padre, non voleva che la sua testa finisse su una picca. Singhiozzò, strinse i pugni e cominciò a tremare.
- Vuoi morire subito, mocciosa? -
Una guardia le artigliò i capelli e la costrinse a guardarlo. L'espressione feroce che gli deformava il viso le fece accapponare la pelle.
- Se non la smetti, ti taglierò la testa. È chiaro? - sibilò.
Caillean annuì con veemenza, obbligandosi a ricacciare indietro le lacrime. L'uomo lasciò la presa sui capelli e le afferrò di nuovo il braccio.
Dopo mezz'ora di cammino, giunsero in una radura. L'aria era afosa e satura d'umidità e la luce filtrava a fatica attraverso le fronde degli alberi. Nascosti nella penombra, Caillean riconobbe molti degli abitanti di Merite. Le loro facce erano distorte dall'odio, dalla rabbia, dal disprezzo. A pochi passi da lei, con le braccia dietro la schiena, vestito con l'alto copricapo nero e la tunica di lana grezza, il capo villaggio la scrutava impassibile. Non appena incrociò il suo sguardo, la bambina sentì le forze mancarle e intuì perché l'avessero condotta lì. Il pomeriggio in cui aveva ritrovato il cadavere di Elyn le tornò alla mente.
Tremò da capo a piedi come una foglia, incapace di arginare il moto di terrore che le scorreva nelle vene. Stavolta fu lei ad aggrapparsi alle guardie, ma queste la gettarono a terra con malagrazia. Sbatté la testa contro qualcosa di duro e percepì il sapore del sangue in bocca. Provò ad alzarsi, ma era troppo debole, così strisciò sui gomiti e sulle ginocchia, fino a quando un calcio alle costole non le mozzò il fiato. Strinse i denti e annaspò, ma i colpi arrivavano da ogni direzione, violenti e implacabili, abbattendosi sulla schiena, sui fianchi, sulle gambe e sulle spalle. Una tortura inflitta con metodo allo scopo di spezzarla e umiliarla. Caillean avvertiva gli occhi di tutti addosso mentre la picchiavano, udiva le ingiurie, la viscosità della frutta marcia che le veniva lanciata addosso. Serrò i pugni e si impose di trattenere le urla di dolore, ma le lacrime presto cominciarono a premere dietro le ciglia. Si rannicchiò e attese che smettessero, piangendo come mai aveva fatto.
Dopo un po' la voce del capo villaggio sovrastò il vociare intorno a lei: - Per ora è sufficiente. Tiratela su e che il processo cominci. -
A quell'ordine gli uomini si fermarono. Caillean riuscì a riacquistare un minimo di controllo, poi la sollevarono e la costrinsero in piedi. Osservò la folla che si era radunata, cercando di mostrare una forza che in quel momento sapeva di non avere, però non voleva conceder loro alcuna soddisfazione. Erano accorsi quasi tutti, uomini, donne, adulti, ragazzi e persino i bambini. I genitori di Elyn erano in prima fila e la fissavano con uno sguardo colmo di rabbia e rancore, additandola e sussurrando qualcosa a denti stretti. Vicino a loro c'era il capo villaggio, che annuiva ai loro discorsi di tanto in tanto, ma il suo viso era una maschera indecifrabile. Quando il silenzio calò di nuovo nella radura, egli fece qualche passo avanti.
- Penso che tu sappia perché sei qui, Caillean. - esordì mellifluo.
Lei si torse le mani sudate con palese nervosismo: - Sì... credo di sì. -
L'uomo inarcò un sopracciglio: - Credi? -
La bambina annuì incerta.
- Vedi, circa una settimana fa in questi boschi è stato ritrovato il corpo della nostra giovane Elyn, ma questo lo sai. Sei stata tu a trovarlo, infatti. -
- Sì. - rispose intimidita, tenendo rigorosamente lo sguardo basso.
- Quella povera, gentile ragazza era sparita da un paio di giorni, come raccontano i suoi affranti genitori. Avevamo cominciato a battere la foresta già da molto, ma senza alcun risultato. Come per magia, la nostra piccola Elyn era scomparsa nel nulla, senza lasciare alcuna traccia. Molti avevano avanzato l'ipotesi che si fosse persa o fosse caduta in un burrone mentre tornava a casa. Insomma, una drammatica fatalità aveva portato via una giovane vita. Succede. -
A quelle parole, la fruttivendola cominciò a piangere sommessamente. Il marito le cinse le spalle, accarezzandole la schiena nel tentativo di calmarla.
- Peccato che io non creda alle fatalità. Certo, a volte accadono, ma Merite è una paese tranquillo e i suoi boschi hanno sempre costituito un rifugio sicuro più che un labirinto d'insidie. Così, io e altri, ci siamo domandati cos'altro potesse essere successo. -
La fissò e i suoi occhi la trafissero come punte di spillo. Caillean si strinse nelle spalle, sentendosi improvvisamente nuda sotto quegli occhi gelidi, che sembravano scrutarla fin dentro l'anima.
- Magia nera... - sibilò plateale, mentre un sorriso spietato gli stirava le labbra.
Un mormorio agitato si levò dagli astanti. Qualcuno sussultò e si portò nelle ultime file, altri cominciarono di nuovo a insultarla.
- Sissignori, proprio di quell'antica arte maligna sto parlando. - aprì le braccia e la indicò, - Questa ragazzina e suo padre hanno rapito la piccola e innocente Elyn, l'hanno ammazzata per i loro sordidi scopi! -
- L'hai uccisa tu! - inveì la fruttivendola con odio.
- No! No, non sono stata io! - urlò disperata.
- Taci! Sei un mostro! Assassina! -
La donna tentò di saltarle addosso, ma suo marito la costrinse a terra e la bloccò con il proprio peso. Ciononostante, continuò a gridare, additandola con il suo scheletrico dito adunco.
Caillean si coprì le orecchie. Avrebbe voluto invocare suo padre, di sicuro l'avrebbe protetta, ma lui ormai non c'era più. Era sola.
Il capo villaggio, soddisfatto, sollevò un braccio intimando il silenzio e proseguì il suo discorso.
- Poi, una volta uccisa, l'avete usata per richiamare il dio dell'oscurità, Aesir! Cosa volevate ottenere? Potere, denaro, immortalità? Non vi siete sentiti in colpa per l'atto sacrilego che avete compiuto? Per lo strazio che avete portato alla famiglia di Elyn? Tu, quel bastardo di tuo padre e tutti i vostri complici siete degli assassini! Ma se per questi ultimi c'è speranza di redenzione, la spada della giustizia è pronta ad abbattersi sulla tua testa, che verrà esposta pubblicamente accanto a quella del tuo defunto paparino. -
Quelle ultime parole smossero qualcosa in Caillean. Percepì la collera ribollirle in petto, un'ira talmente forte che il dolore svanì. Strinse più forte i pugni e avanzò di un passo: lei e suo padre avevano solo avuto la sventura di nascere con i capelli rossi, non era colpa loro, ma quella gente ignorante e superstiziosa si era spinta ben oltre, imprigionando anche quelli che avevano solo rivolto loro la parola.
- Non parlate male di mio padre! - urlò.
Il capo villaggio la guardò appena, infastidito dall'interruzione.
- Siete meschini! Siete dei mostri! Non siete esseri umani, siete delle bestie! -
Un sasso le colpì la guancia, ma non vi diede peso. La rabbia crebbe, un fuoco distruttivo che alimentava la nuova forza che pian piano la stava pervadendo.
- Cosa ne avete fatto di mia madre? Dov'è?! -
L'uomo alzò un braccio e, immediatamente, tutti ammutolirono.
- Figlia di Aesir, tua madre, onorato membro della nostra comunità, è fuggita. Quando siamo giunti a casa tua per prelevare tuo padre non l'abbiamo trovata. Forse si era stancato di lei e le aveva fatto fare la stessa fine della nostra povera Elyn. -
- Bugiardo! -
- Io non mento, piccola strega. Ho dalla mia parte la luce della giustizia e l'appoggio dei miei cari compaesani. - le scoccò un'occhiata sprezzante e si rivolse nuovamente alle persone assiepate alle sue spalle, - Amici, avete chiesto la decapitazione per questo demonio, ma io non credo sia il castigo migliore. Marcirà nelle prigioni per tutta la vita. -
Un uomo corpulento e barbuto lo interruppe: - Ma questa è la pena che viene inflitta ai ladri! Non possiamo trattarla con i guanti solo perché è una bambina. Lei è una figlia di Aesir, merita qualcosa di peggio. -
Il capo villaggio tornò a squadrarla, sfoggiando un'espressione granitica, e rimase assorto nei suoi pensieri per alcuni interminabili istanti. Caillean contrasse la mascella e sospirò frustrata, gli occhi iniettati di sangue e i muscoli irrigiditi per la tensione. Avrebbe voluto cingere il suo collo con le dita e strangolarlo, ma il proprio corpo, provato dalla fame e dalle percosse, era troppo fiaccato per concepire qualsivoglia attacco.
L'uomo schioccò le dita e sfoggiò un sorriso compiaciuto.
- Ecco, credo di aver trovato la sentenza perfetta. Lei vivrà, anche se si è macchiata dell'omicidio di un'innocente, ma le verrà sottratto tutto ciò di cui si gode durante la vita. Proprio come un cadavere, non potrà più parlare, né bearsi del calore del sole, né vedere il sorgere di un nuovo giorno o udire il canto degli uccelli in primavera. Tutto questo ti verrà tolto, Caillean. - un baluginio crudele brillò in fondo ai suoi occhi.
La bambina si pietrificò e il suo cuore perse un battito. Guardò il capo villaggio, ritto davanti a lei, ma al suo posto rivide la testa del padre conficcata su una picca, i capelli impiastricciati di catrame e gli occhi mangiati dai corvi. Si sentì afferrare di nuovo per le braccia, ma stavolta non si divincolò, non scalciò e non si ribellò. La furia di prima era svanita, evaporata come neve al sole. Mentre la trascinavano via, con i piedi che strusciavano sull'erba, si chiese quale fosse stato il motivo di quel processo, una messinscena di cattivo gusto dal finale scontato. Fu allora che comprese la crudeltà di quelle persone: il loro intento era trovare un capro espiatorio per la morte di Elyn e finalmente accusarla in pubblico, facendola passare per un demone. Con suo padre, un uomo che aveva conosciuto la durezza della guerra, forse non ci erano riusciti, non ce l'avevano fatta a piegarlo, così come per gli altri uomini che erano andati incontro alla sua stessa fine o che erano ancora imprigionati. Con lei, invece, una bambina spaventata e indifesa, non si erano fatti scrupoli: la volevano viva, indebolita e disperata per immolarla in nome del loro ideale di giustizia e quell'omicidio era stato solo un pretesto. Se fosse arrivata un'epidemia di peste o una carestia avrebbero agito nello stesso modo. Per lei e per suo padre non c'era mai stato scampo.
La ricondussero in cella, forse nella stessa in cui aveva soggiornato fino a quel giorno, ma non avrebbe saputo stabilirlo. Lì tutte le pietre erano uguali, in una sequenza di porte sbarrate identiche le une alle altre. Quando udì la pesante porta di ferro chiudersi, incurante dell'odore di urina e di escrementi, si gettò supina sul pagliericcio e rimase immobile a fissare il soffitto.
Nei giorni seguenti riprese a pensare ai genitori in modo quasi ossessivo. Si rivide sotto il timido sole invernale, mentre si esercitava con la spada e provava ad emulare i movimenti che il padre le aveva insegnato prima di partire. Riemerse, vivido come il ricordo più dolce, la voce di sua madre che la chiamava per la cena e quando addentava il pane stantio le sembrava di sentire sulla lingua il sapore della carne arrosto che lei cucinava nei giorni speciali. Il confine tra realtà e sogno divenne sempre più labile e dopo poco perse completamente la cognizione di sé e del mondo che la circondava. Scivolò in una sorta di apatia da cui non volle più riemergere.
Trascorsero così tre lunghi giorni. Le ferite continuarono a bruciare per tutto il tempo e i suoi carcerieri comparvero solo all'ora dei pasti. Quando la trascinarono fuori dalla cella era notte fonda e stavolta venne a prenderla un unico uomo. La agguantò per un braccio e la sospinse lungo il corridoio, dalla parte opposta all'uscita. Camminarono per minuti interi, o forse per ore, spingendosi sempre di più nelle viscere di quegli antichi ruderi. Ad un certo punto il corridoio sbucò in una camera circolare, senza finestre e dal soffitto alto. L'aria era stantia, trasudante umidità. Le otto torce appese alle pareti lanciavano dei lugubri bagliori, delineando gli oggetti di tortura che languivano sul pavimento, vicini al muro. Al centro, appoggiato a una gabbia arrugginita, il capo villaggio la fissava con un ghigno stampato in faccia.
Non appena Caillean fece il primo passo all'interno, le catene che pendevano dal soffitto tintinnarono, come a darle il benvenuto. La guardia la depositò ai piedi del suo aguzzino e, senza battere ciglio, se ne andò. Il capo villaggio inclinò la testa e cominciò a girarle intorno come un avvoltoio, per poterla osservare da più angolazioni. Lei rimase ferma, la testa ciondolante e le braccia inermi lungo i fianchi, quasi fosse una marionetta senza fili.
- Non hai una grande resistenza. Mi sarei aspettato un minimo di ribellione, invece è bastato così poco per piegarti. Eppure, in qualche modo, mi ricordi tua madre. -
Si inginocchiò e le artigliò le guance sporche, fissandola con serietà. Caillean tacque e l'altro interpretò quel silenzio come un'esortazione a continuare.
- Sai, quando eravamo bambini, io e Iola stavamo sempre insieme. I suoi genitori si erano rifugiati qui dalla capitale in cerca di un po' di tranquillità e impiegarono poco ad integrarsi con la comunità. Iola era una bambina spigliata, dalla lingua tagliente e dall'animo puro, che diceva sempre quel che pensava. Molti ragazzi la consideravano insopportabile, ma io ne ero affascinato. Più volte mi dissero di starle lontano, ma c'era qualcosa in lei che mi attraeva in un modo che non sapevo definire. Così, un giorno, andai da lei e le chiesi di diventare mia amica. Inaspettatamente, mi disse di sì. Tua madre ti ha mai raccontato niente di tutto ciò? -
- No. - borbottò.
L'uomo la studiò in silenzio, poi sbuffò.
- Non ha importanza. Comunque, passarono gli anni e tua madre divenne una donna bellissima e determinata. Anche senza il supporto dei suoi genitori, morti prematuramente, riuscì a sopravvivere in maniera dignitosa. Inoltre, essendo io il figlio del capo villaggio, le diedi una mano. Ero innamorato di Iola, la amavo con tutto me stesso. Già allora avrei voluto chiederle di sposarmi, ma sapevo di dover aspettare di prendere il posto di mio padre prima di avanzare una proposta di matrimonio. Però, quando finalmente ascesi al potere, qualcosa andò storto. -
La sua voce si incrinò e affondò le unghie nella pelle delle guance di Caillean, che sussultò ed emise un piccolo gemito.
- Un bel giorno comparve Kale, quel bastardo di tuo padre, e la portò via da me. - ringhiò, - Capisci? Me la portò via come se nulla fosse, prendendosi qualcosa che era mio di diritto. Io ero cresciuto assieme a Iola, io l'amavo, io meritavo di sposarla! Ma lei non l'ha mai capito... -
Nauseata da quelle parole, Caillean sbottò: - E credevi davvero di risolvere qualcosa uccidendo mio padre? Credevi che mia madre ti avrebbe perdonato dopo un atto simile? -
- Il sangue di Kale era l'ultima cosa che volevo, fidati, avrei preferito non sporcami le mani. L'ho minacciato, intimandogli di andarsene dal villaggio, gli ho assicurato che sarei stato disposto a prendermi cura di te, ma lui non ha mai voluto sentire ragioni. Era un uomo orgoglioso e persino quando gli ho mostrato questa sala non ha battuto ciglio. -
- Perché mi stai raccontando questa storia? Cos'altro vuoi da me? -
- Volevo proporti un accordo. -
Caillean aggrottò le sopracciglia e replicò: - La sentenza è già stata emessa. -
- Posso sempre rimaneggiarla. - sorrise, mostrando una fila di denti bianchissimi, - Sono disposto a concederti una via di salvezza. Ascoltami e non fare come Kale, sii saggia: non la ripeterò una seconda volta. -
A sentire pronunciare il nome del padre, il gelo le trafisse il cuore. Digrignò i denti e assentì.
- Conosco un mago potente alla capitale, capace di compiere magie incredibili e che mi deve anche più di un favore. Gli chiederò di creare una pozione in grado di modificare l'aspetto delle persone. Una di queste la darò a te, l'altra a una bambina del villaggio. Tu, con un nuovo aspetto, verrai a vivere da me e io ti crescerò fino a quando non diventerai abbastanza grande da poter diventare mia moglie. Certo, dovrai prendere la pozione ogni giorno affinché nessuno si insospettisca, ma avresti salva la vita. -
- E dall'altra bambina? Cosa ne sarà? -
- Prenderà il tuo posto in questa prigione e sconterà la tua pena, ovviamente. Farti sparire così, come se niente fosse, non è possibile, la gente farebbe domande. -
Caillean strabuzzò gli occhi. Quell'uomo era pazzo, completamente pazzo.
- Come... come puoi fare una cosa del genere? È innocente! -
Il capo villaggio fece spallucce: - Non mi importa. Pensi davvero che mi possa interessare che fine farà dopo che ho ucciso Elyn e fatto ricadere la colpa su di voi? - rispose pacato.
- L'hai... l'hai uccisa tu? -
L'uomo sogghignò.
- Come ho detto al processo, non credo alle fatalità, soprattutto quando ho degli uomini privi di scrupoli alle mie dipendenze. Lei aveva scoperto i piani che avevo in serbo per te e stava correndo ad avvisarti. Non potevo permetterlo. È bastato seguirla nella foresta, aspettare che si distraesse un attimo e poi pugnalarla alle spalle. Quella di tuo padre è stata una morte imprevista, in verità. Appena Elyn è scomparsa non sono riuscito a fermare la folla inferocita che è andata a stanare tuo padre, convinta che fosse lui il colpevole. -
- Menti. - boccheggiò allibita.
- No, dico sul serio. Certo, avevo cominciato da tempo a diffondere la voce che voi foste dei mostri, figli di Aesir, ed è stato facile fare il lavaggio del cervello a questa gente superstiziosa. Ma confesso che sono rimasto stupito anch'io dalle teste infilzate sulle mura. Gli abitanti di Merite hanno eliminato di loro spontanea volontà Kale e quasi tutti coloro che ritenevano essere suoi complici. Non appena ho potuto, mi sono affrettato a fermarli e a convincerli a sbattere in cella i sopravvissuti, per risparmiare loro quell'ingiusto destino. -
- Tu sei pazzo... - esalò, guardandolo con occhi sgranati.
L'altro scoppiò a ridere: - Credo che tu abbia capito cosa sono disposto a fare per ottenere ciò che voglio. Comunque, cosa hai deciso? Accetti di diventare mia moglie? -
- Preferirei mille volte marcire in queste prigioni che trascorrere un solo giorno della mia vita al tuo fianco. Mia madre non ti avrebbe mai amato. - sibilò e lo trafisse con uno sguardo carico d'odio e rancore.
- Taci! - tuonò, poi la schiaffeggiò con inaudita violenza.
Caillean sputò un grumo di sangue, ma non si fece intimorire. Se doveva morire, voleva farlo con onore, come un vero soldato. Come suo padre.
- Sei un verme schifoso e un giorno pagherai per tutto il male che hai fatto! -
- Guardie! -
La bambina udì uno sferragliare alle sue spalle. Lanciò un'occhiata di sbieco all'entrata della stanza e poi, approfittando della distrazione del capo villaggio, gli saltò addosso gettandolo a terra. Lo morse con rabbia, affondando i denti nella carne del braccio, mentre graffiava come una belva la sua pelle. Lui urlò e l'afferrò per i capelli, cercando di scrollarsela di dosso. Il sapore del sangue le invase di nuovo la bocca, facendole lacrimare gli occhi e contorcere lo stomaco in preda a conati di vomito, ma non mollò la presa. Quando le guardie giunsero, la agguantarono per i vestiti laceri e la atterrarono sul pavimento.
- Signore, state bene? -
L'uomo gli scoccò un'occhiata gelida, mettendo a tacere la guardia. Il suo viso era distorto in una maschera di collera a stento trattenuta.
- Giratela e apritele bene gli occhi. - ordinò, tirando fuori una boccetta di liquido violaceo dalla tasca interna della tunica.
Caillean scalciò e si dimenò, nel vano di tentativo di sottrarsi al suo destino. Gridò frustrata e girò più volte la testa, ma alla fine una delle guardie le artigliò la cute e la tenne immobile, premendo sulle palpebre per fargliele spalancare. Il capo villaggio si inginocchiò e stappò la boccetta.
- Che le sia tolta la vista! -
Poi versò il contenuto sugli occhi della bambina e un urlo acuto e straziante si diffuse per i corridoi delle prigioni.



Quando Airis si ridestò, si toccò il viso e si guardò per appurare di non essere ancora la Caillean del suo incubo. Osservò poi spaesata lo spazio bianco che la circondava, chiedendosi se si fosse svegliata davvero o se quello fosse l'Elwing Telperiën, il luogo dove tutte le anime tornano. In seguito, la consapevolezza di ciò che era diventata a causa di Lysandra tornò a farsi strada in lei ed esalò un sospiro di sollievo.
"Io non posso morire."
Strano che ricordasse perfettamente cosa fosse successo prima di arrivare lì, ma non aveva la più pallida idea di dove fosse "lì".
Si alzò a fatica e cercò qualche punto di riferimento che potesse aiutarla ad orientarsi, ma a parte quel bianco accecante non c'era nient'altro. Iniziò a camminare e continuò per un tempo che non seppe quantificare, lasciando che fossero i suoi piedi a decidere la direzione. Ovunque posasse lo sguardo vedeva solo bianco, un vuoto abbagliante che pareva non avere fine. Il silenzio era assoluto e persino il battito del suo cuore le sembrava fin troppo rumoroso. Improvvisamente udì un fruscio alle sue spalle. Si voltò di scatto e con sommo stupore scorse una ragazza avanzare verso di lei a piedi scalzi. I suoi occhi erano di un azzurro molto chiaro e i lunghissimi capelli argentei le ricadevano languidamente sul seno, disegnando l'ovale perfetto del viso. La carnagione diafana e il portamento aggraziato le conferivano un'aura regale, in contrasto con la semplice tunica bianca che le arrivava fin poco sopra il ginocchio. Tuttavia, il dettaglio che attirò di più l'attenzione della guerriera furono le sottili e candide ali che aveva al posto delle orecchie, talmente lunghe che arrivavano ad accarezzarle le gambe nude.
Airis rimase ferma. Non aveva paura, si sentiva a suo agio di fronte a lei, come se la conoscesse da sempre. Fece per chiederle chi fosse, ma la ragazza prevenne la domanda.
- Non è ancora il momento. Quando ci incontreremo di nuovo chiarirò tutti i tuoi dubbi, ma adesso non abbiamo tempo. -
Aveva una voce flautata, delicata e melodiosa. Eppure la sua presenza era imponente e comunicava una forza e un'autorevolezza che si esprimeva attraverso il suo sguardo intenso.
- Immagino tu voglia sapere come sei arrivata qui e che posto sia questo. -
Airis annuì esitante.
La ragazza le si avvicinò ancora. Una piuma fluttuò nell'aria, come sospinta da un leggero soffio di vento, anche se ad Airis pareva che l'aria fosse immobile.
Ad un tratto, il pensiero di Lysandra la raggelò.
- Non preoccuparti, lei non può raggiungere questo luogo, non può sentirci. - la rassicurò la creatura.
- Dove siamo? -
- A cavallo tra sogno e realtà, in un universo privo di confini. -
La ragazza sollevò una mano e le sfiorò appena la guancia. Aveva le dita fredde, ma la guerriera non si ritrasse. Aveva capito di trovarsi al cospetto di qualcosa di antico e infinitamente potente, forse una divinità, e non si meravigliò che sapesse del legame tra lei e Lysandra.
- Ora ascoltami bene e presta attenzione, perché tra poco ti sveglierai. Ti ho portata qui poiché ritengo che tu sia pronta per il compito che voglio assegnarti. Ti ho osservata sin dall'inizio, da prima che tu nascessi. Eri una bambina meravigliosa e avrei preferito che tu non avessi nulla a che fare con questa storia, che vivessi serena come una comune mortale. Però ormai credo che tu abbia già capito che la tua non potrà mai essere un'esistenza normale. -
Percorse con i polpastrelli i segni che l'acido aveva lasciato sugli zigomi di Airis e in quegli occhi azzurri la guerriera intravide una grande tristezza.
- Nonostante tutto il male che hai dovuto subire, ti sei sempre rialzata, senza mai perdere di vista il tuo obiettivo, continuando a camminare a testa alta. Per un po' hai brancolato nel buio, ma alla fine sei ritornata sulla tua strada e ti sei ricordata chi eri e chi volevi diventare fin da piccola. -
Airis sorrise, rammentando le parole che Ledah le aveva rivolto per convincerla a proteggere Luthien. Era stato l'elfo a scuoterla dal torpore, a darle la forza di impugnare la spada e ritornare ad essere il Cavaliere del Lupo.
- Ora, però, ti chiedo: sei disposta a portare a termine il tuo ultimo compito? -
Airis aggrottò le sopracciglia senza capire: - Il mio... ultimo compito? -
- Sì, ma se non accetterai non potrò dirti nulla. Nella missione che ti affiderò non sono ammessi ripensamenti. -
- Non posso accettare senza prima sapere di cosa si tratta. -
Benché la fiducia incondizionata che nutriva per quella strana ragazza la spingesse ad accettare l'incarico, la paura dei rischi che avrebbe corso e delle conseguenze a cui sarebbe andata incontro la bloccava, impedendole di abbandonarsi del tutto al calore sprigionato da quelle mani diafane.
- Mi dispiace. Io ho visto e so già cosa diresti, perché sul mio corpo è stato scritto il futuro e il passato del mondo. Se ti rivelassi lo scopo di questa missione, condizionerei il tuo giudizio e il corso degli eventi muterebbe. Certo, non è detto che poi non accada, ma nel momento della decisione la tua mente deve essere lucida e la tua scelta decisa. -
Airis scosse debolmente il capo e mormorò afflitta: - Non posso... è come chiedermi di lasciarmi cadere nel baratro e sperare che qualcuno mi prenda prima dello schianto. -
- Bella metafora, molto azzeccata. Sappi solo che da quello che mi dirai dipenderà non solo il tuo destino, ma anche quello delle persone che ti circondano. Sii consapevole che se accetterai, diventerai la mano sinistra di Yggrasill sulla terra, l'ultima Guardiana dell'umanità. -
- Cosa significa? Chi è Yggrasill? E cosa significa essere una Guardiana dell'umanità? -
L'altra tacque e fece spaziare lo sguardo attorno a sé.
- Ahh... sono desolata, Airis, il nostro tempo è scaduto. Ti prego di riflettere sulla tua risposta ed è di vitale importanza che decidi in fretta. -
Ad un tratto, la guerriera sentì le ginocchia cederle e il corpo contrarsi in preda ad una scarica di dolore. Si accasciò a terra con un gemito e gli occhi le si riempirono di lacrime. La ragazza la osservò impassibile, poi le diede le spalle e si allontanò senza dire una parola.
- N-no... aspetta! Non andartene! -
Ogni muscolo pulsava di sofferenza, tendendosi spasmodicamente sotto la pelle. Le sembrò di bruciare viva in una straziante agonia. Le parve di avere tutte le ossa rotte e che ogni brandello del suo corpo venisse pian piano dilaniato da un calore insopportabile. In un ultimo impeto di disperazione, protese una mano verso la fanciulla, ma un'altra ondata di insopportabile dolore la investì, facendola piegare su se stessa.
- Ci rivedremo, Cavaliere. E ricorda: non rivelare a nessuno quanto ci siamo dette e quando avrai compiuto la tua scelta cercami. -
Infine il mondo bianco che la circondava si frantumò, esplodendo in tante minuscole schegge di luce.

Quando Airis aprì gli occhi, avvertì sotto la schiena la durezza della nuda terra e sopra di sé riconobbe il tessuto delle tende da campo. Tentò di alzarsi, ma una fitta acuta la bloccò e una stretta decisa sulle spalle le tenne giù. La guerriera gemette sofferente, ma smise di muoversi, consapevole che sarebbe stata solo peggio.
- Tranquilla, shhh. Devi riposare. Il fatto che finalmente tu ti sia svegliata è un'ottima cosa, ma evita movimenti superflui. -
Con lentezza Airis girò la testa nella direzione di quella voce. Lì accanto, inginocchiato al capezzale della brandina su cui era stata adagiata, scorse Fenrir, intento a spalmare un unguento verdognolo su delle bende. Il Drow incrociò il suo sguardo e le regalò un sorriso appena accennato.
- Bentornata tra noi, Airis. -   

Fuoco nelle TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora