Capitolo 49

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Erano le 16 e avevo appena ricevuto la telefonata che in men che non si dica aveva completamente svoltato la mia giornata.
Leonardo Bonucci, che fino a poco tempo prima stavo intervistando, era seduto proprio di fronte a me mentre tremando come una foglia cercavo di asciugare qualche lacrima che mi era sfuggita.
"Sei sicura di stare bene? Caro ti chiamo qualcuno!" mi afferrò una mano premuroso.
"Non voglio far preoccupare nessuno, non è successo niente, si tratta solo della mia vita privata e non voglio che si mischi con il lavoro" specificai per l'ennesima volta.
"Ho capito, mando un messaggio a Paulo" estrasse il suo cellulare dalla tasca.
"Bonny, finiamo quello che stavamo facendo, ci parlo dopo con lui, sta' tranquillo" provai a dire ma ormai non c'era verso di fargli cambiare idea.
Dopo nemmeno 5 minuti lo vidi entrare dalla porta con il fiatone.
"Ciao piccoletta" mi salutò Leo per poi rivolgersi a lui dicendo: "dopo fammi sapere come sta".
Annuì e piano mi si avvicinò prendendo il suo posto.
"Non puoi correre da me tutte le volte, avrai pur qualcosa da fare" lo ammonii.
Non mi stava affatto bene che perdesse delle sedute importanti, specialmente con l'imminente partita di Champions contro il Valencia dove doveva dare il meglio.
"Sei pallida come un cadavere, stavi per svenire, non potevo starmene di là con le mani in mano, non mi sarei nemmeno concentrato" allungò il braccio sulla scrivania per sfiorarmi delicatamente il polso con le dita.
"Hai ragione, scusa" risposi prendendo a massaggiarmi la fronte nel vano tentativo di non riprendere a piangere.
"Ho bisogno di parlarti" mi dovetti rivolgere a lui poiché ero consapevole non sarei riuscita ad affrontare tutto da sola.
"Sabes que me puedes contar todo mi amor, che ne dici di metterci comodi però?" propose e mi sembrò più che ragionevole.
"Paulo ascolta, non ti allarmare, però devi venire ad aiutarmi perché ho le gambe paralizzate" sussurrai come se in quel modo si sarebbe potuto attutire il colpo, cosa che ovviamente non successe dato che spalancò gli occhi impaurito.
"Mi succede quando ho un attacco di panico, e adesso ne sto avendo uno, non è il primo e non sarà nemmeno l'ultimo. Ora, non farmi sprecare tempo per spiegare e aiutami per favore, non abbiamo tutto il giorno" fui talmente distaccata e brutale da far paura a me stessa però se gli avessi detto tutto quello che mi succedeva in quei momenti non avrei ottenuto granché, anzi, si sarebbe solo spaventato di più.
Forse sbagliai completamente, perché prima o poi avrebbe dovuto imparare come comportarsi, ma avremmo avuto tempo per affrontare il discorso.
Lentamente, un passo alla volta, ci spostammo sul divanetto e iniziai a raccontare:
"Innanzitutto stai sereno perché ora mi passa, devo solo metabolizzare la notizia. Mi ha chiamata l'agenzia immobiliare, hanno venduto casa dei miei, che poi è dove viveva mia nonna, la vogliono libera entro questa sera perché dopodomani la occuperanno i nuovi acquirenti".
Era dura per me, ecco spiegato il motivo della mia reazione, infondo si trattava pur sempre del luogo dove ero cresciuta.
"Non sapevo fosse in vendita" rispose semplicemente.
Sospirai.
"No, certo che no. L'ho deciso il girono del funerale, dopo averti trovato con Antonella, e poi dato che non mi avevano più aggiornato al riguardo mi sono scordata di dirtelo" gli rivolsi uno sguardo di gelo, quasi disgustato, causa il ricordo dell'accadimento.
Per qualche secondo lo vidi perso, non sapeva cosa fare o dire e alla fine se ne uscì con:
"Ti accompagno quando vuoi, lo facciamo insieme"
Mi fece sorridere perché voleva essermi vicino ma non era detto che io volessi condividere quell'esperienza con lui, quella casa per me significava tutto, i ricordi della mia infanzia, di quando passavo le giornate con le persone che amavo con tutta me stessa.
"Vorrei andarci da sola Paulo, non me ne volere, ma devo affrontarlo così" gli posai una mano sulla spalla, un gesto che consideravo così intimo ed estremamente nostro.
"Carolina, ti ho fatto delle promesse, ti prego lascia che ti stia accanto, lasciami entrare nella tua vita" si avvicinò quasi a far sfiorare i nostri nasi e le nostre fronti.
Scossi il capo, non ero pronta a farlo, anche se forse glielo dovevo...
"Di cosa hai paura?" chiese poi.
Eh, bella domanda...
"Dei miei scheletri nell'armadio, del mio passato che credevo di esser riuscita a buttarmi alle spalle ma tornare lì dentro significherà riviverlo da capo, ricordare ogni singola sfaccettatura, e non voglio che tu mi veda così, perché so già che sarò devastata" ammisi senza nemmeno riuscire a guardarlo in faccia.
Codarda..
"Mi amor, non ci sono stato mai per te, non ci sono stato quando tua nonna è mancata, non ci sono stato nei momenti di sofferenza, lascia che ci sia almeno per questo, meriti qualcuno con te e quel qualcuno posso essere io" mi alzò il mento facendo così incontrare i nostri sguardi.
Tempo due minuti che mi ritrovai con il volto nascosto nell'incavo del suo collo e le sue braccia a stringere il mio corpo scosso dai singhiozzi.
Non avevo null'altro da aggiungere, non volevo commettere lo stesso errore di mesi e mesi prima, ricordavo ancora il tonfo della porta, la mia voce ad urlare il suo nome per tentare di riportarlo indietro.
Una tra le nottate peggiori da quando ci conoscevamo, e forse fu proprio in quel momento che le cose si ruppero e iniziarono a precipitare.
Ma n'eravamo usciti, eravamo andati avanti, e non potevo permettere che accadesse ancora, no.
Poche ore dopo eravamo davanti il portone verde scuro della mia vecchia abitazione, mi soffermai ad osservarne il prospetto un po' più del dovuto, finché Paulo non mi fece coraggio e mi spinse ad entrare.
Camminai tra quelle mura spostando freneticamente lo sguardo da destra verso sinistra, squadrando tutti gli oggetti cercando di memorizzarne la disposizione che non sarebbe stata mai più la stessa.
Come prima cosa mi avvicinai al frigorifero e sfiorai una ad una tutte le calamite che raccontavano le storie dei nostri viaggi: Spagna, India, Norvegia e poi tutte le città italiane che avevamo visitato a fondo.
Le afferrai e le riposi con garbo all'interno della mia borsa, tutte tranne una: Mallorca, composta dal timone di una nave con all'interno Santa Maria, la cattedrale più famosa dell'isola.
Quella vacanza, la prima notte di abusi, le unghie che strisciavano sulle mie cosce facendomi urlare, certamente non di piacere.
La scaraventai contro il pavimento producendo un rumore non tanto forte ma abbastanza da attirare l'attenzione.
Mi portai le mani tra i capelli facendo respiri profondi, Paulo dal soggiorno scattò verso di me, abbassò lo sguardo sui cocci a terra e senza dire una parola si chinò, gli raccolse e gli buttò nell'immondizia, poi mi si avvicinò lasciandomi un tenero bacio sulla fronte dandomi la forza necessaria per affrontare tutto il resto.
Avevo fatto bene a portarlo con me.
Pian piano iniziammo a svuotare gli scaffali riponendo gli oggetti in scatole di diverso colore che avevamo catalogato in: da buttare, da donare, da tenere.
Nella prima le cose non riutilizzabili, nella seconda da regalare alle persone più bisognose di noi, a cui di certo non mancava nulla, e nella terza.. beh.. i ricordi a cui non potevo rinunciare.
Fu la più vuota tra le tre ma infondo non volevo ammassare troppe cosa a casa sua, avrebbe scombinato non solo l'ambiente ma anche la mia tranquillità.
Tenni l'album delle foto di me bambina, i body di danza e le scarpette da punta.
Come ultima stanza da svuotare era rimasta camera mia, quella camera in cui non volevo che venisse nessuno e alla fine ero diventata io stessa a non volerci entrare.
L'unica cosa bella che trovai fu il quadro appeso al muro con all'interno la sua maglia, quella della prima stagione alla Juventus.
"Questa è proprio tua" gli dissi mentre la guardavamo insieme abbracciati.
"Beh sai, c'è scritto il mio nome" certo che gli sembrava sempre tutto così ovvio.
"Ma non mi dire! Intendevo che non è una qualsiasi, la indossavi tu, in campo, il giorno della premiazione del tuo primissimo scudetto. L'hai lanciata verso la curva e l'ha presa mio papà" mi girai e gli sorrisi.
Era uno tra gli ultimi ricordi più felici che avevo insieme a lui.
"Oh mio Dio, quell'uomo con la barba grigiastra e senza capelli" lo descrisse perfettamente.
Annuii con un pizzico di sorpresa.
"Lo ricordo come fosse ieri.. incredibile si trattasse di tuo padre. Mi guardò e mi sorrise, era così soddisfatto. Urlò con tanta fierezza che sua figlia ne sarebbe stata felicissima credendo che non lo sentissi. Cazzo Carolina, quella ragazza sei te.." era totalmente incredulo e io come lui.
Mi fece addirittura scappare qualche lacrima per l'emozione.
"Era semplicemente destino!" esclamai prima di baciarlo.
E per la prima volta ero davvero certa che i miei genitori fossero più che orgogliosi di me, della donna che ero diventata e delle scelte che avevo fatto.

Joya💎 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora