Capitolo 17

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Dopo la fantastica nottata passata in bianco dovetti tirar sù il morale e recuperare le forze per affrontare il compito che mi era stato assegnato dal presidente.
Nonostante quasi tutti fossero in ritiro da tutt'altra parte c'era sempre qualcosa da fare e qualche affare da sistemare, Andrea mia aveva chiesto un enorme favore e non potevo rifiutarmi, infondo si trattava solo di parlare con alcuni procuratori dei nostri calciatori.
Perché lo aveva chiesto proprio a me che ero una semplice giornalista?
Le mie certificazioni linguistiche e la mia laurea, nessuno lì se la sarebbe potuta cavare meglio.
Non mi truccai e per la prima volta mi presentai in ufficio indossando dei jeans con al di sopra un maglione a collo alto, infine, per mantenere il look da liceale svogliata qual ero un bel po' di anni prima, occhiali da vista anziché lentine e Air Force 1 rigorosamente bianche.
"Buongiorno Caro, mi hanno detto che non stai molto bene" Tommaso si presentò in ufficio con un caffè e una ciambella in un cartoccio bianco.
In quel posto le notizie si diffondevano più che velocemente, avevo semplicemente risposto alla domanda della segretaria all'ingresso: "Come va questa mattina" con "Bene dai", a quanto pare quell'esclamazione finale aveva destato sospetti.
Più che sospetti credo avesse dato conferma che ci fosse qualcosa che non andava in me viste le occhiaie non coperte con il correttore e gli occhi gonfi.
"Buongiorno a te, niente che non si possa sistemare" risposi con un sorriso ringraziandolo poi per il gradevole pensiero nei miei confronti.
Infondo un po' di verità c'era, si sarebbe sistemato tutto, era solo una stupida litigata.
"Devi incontrare Mariano Dybala e ti vesti in quel modo?" la sua faccia tramutò da sorpresa a schifata quando notò il mio outfit.
Sgranai gli occhi, chi dovevo incontrare?
"Sono sicura che non si farà problemi" alzai nuovamente gli angoli della bocca cercando di apparire la solita insolente senza far notare la punta di ansia che piano s'irradiava dentro di me.
Avrei avuto il primo contatto con il fratello del mio ragazzo per parlare di lavoro, sarei anche dovuta essere professionale e non accennare a quello che c'era tra noi e, soprattutto, a quello che era successo non troppe ore prima.
"Parli del diavolo.." sentii dire.
Mi voltai verso la porta e proprio in quel momento Agnelli ne varcò la soglia con il procuratore del numero 10, mi alzai in piedi salutando per poi stringere la mano ad entrambi.
"Ti lascio in buone mani" esclamò il presidente prima di recarsi fuori insieme al mio stagista che alzò i pollici senza farsi notare come a dire "andrà tutto bene".
"Speriamo" pensai accomodandomi poi con un sorriso cordiale.
"È un piacere conoscerti Carolina" disse sorprendendomi con il suo ottimo accento italiano.
"Il piacere è tutto mio. Allora, di cosa dobbiamo parlare esattamente?" domandai non sapendo effettivamente perché me lo avessero fatto incontrare.
"Del nostro Paulo ovviamente" lo aveva detto davvero?
Nostro.
"Uhm, s-sì certo" balbettai completamente in imbarazzo.
Beh, sapevo che il discorso sarebbe girato tutto intorno a suo fratello ma avevo bisogno di sapere di cosa precisamente si trattasse, contatti esterni, scadenze ecc.. visto che non ero stata avvisata precedentemente sull'argomento.
"Stai tranquilla, mi ha detto sempre bene di te, anche mamma"
Oh wow, avevano fatto una videochiamata di famiglia per informare gli altri sul mio conto?
Era tutto troppo strano e diverso per me, non ero abituata a quelle cose.
Iniziammo a discutere del suo contratto, era pronto a firmare per rinnovarlo fino al 2021 e io non potevo che esserne gioiosa, significava per me più tempo da passare con lui, sempre se ci sarebbe stato un futuro tra di noi..
Quando fui nuovamente sola con i miei pensieri venni invasa da un senso d'angoscia tremendo.
Paulo era lì, a più di undicimila chilometri di distanza, non eravamo riusciti a passare del tempo insieme dopo aver fatto l'amore, non ci eravamo salutati..
Lo dovevo chiamare? Lo dovevo chiamare.
No, non potevo farlo, a Buenos Aires era prima mattina, lo avrei disturbato, sicuramente riposava dopo il lungo viaggio.
Dentro di me sentivo che non chiamarlo significasse perderlo, per sempre.
Sì, sempre e solo negativa io.
Mi alzai scendendo verso i campetti dove si allenava l'Under 23, mi sedetti sugli spalti con lo smartphone tra le mani tremanti.
"Oh, e che cazzo" esclamai premendo il tasto a forma di cornetta sullo schermo.
Non avevo niente da perdere.
"¿Aló?" la sua meravigliosa voce assonnata.
Non riuscivo a parlare, mi si seccò la gola, grazie ghiandole salivari per essere andate in stand-by nel momento meno opportuno.
¿Quién habla? domandò ancora e a quel punto non potevo starmene zitta.
"Paulo" sussurrai.
Silenzio.
"Caro" il tono immediatamente più sveglio e attivo.
"Disturbo?" chiesi titubante.
"Tu non disturbi mai" disse e mi lasciai immediatamente andare in un sospiro, non mi ero nemmeno accorta di star trattenendo l'aria.
Non sapevo cosa dirgli, come cominciare.
"Mi manchi" uscii poi dalla mie labbra quasi in un singhiozzo.
"Mi manchi anche tu, qui non va per niente bene" iniziò e capii che avesse bisogno di sfogarsi per qualcosa che era successo.
"Racconta" lo invitai.
"Il mister ci è venuto a salutare quando siamo arrivati, io so di non essergli mai piaciuto ma me lo ha detto in faccia che non mi avrebbe fatto giocare. Non è giusto" avvertivo la sua frustrazione.
"Non è la sua scelta a determinare se sei un buon giocatore o meno" risposi cercando di rassicurarlo.
Ogni allenatore aveva le sue preferenze ma ciò che doveva significare per lui era il fatto che giocasse nella squadra migliore d'Italia e tra le più forti al mondo, quasi sempre da titolare tra l'altro.
"Non vedo l'ora di tornare da te" cambiò discorso.
Da me, quelle due semplici parole mi svoltarono la giornata, non voleva tornare nella sua abitazione o dai suoi amici, voleva farlo per stare con me.
"Sei bellissima, ieri eri bellissima" aggiunse distraendomi dai miei pensieri.
Arrossii leggermente mordendomi il labbro inferiore mentre sorridevo.
"Lo eri anche tu, davvero tanto" sussurrai.
"Scusami, mi sono comportato da coglione" sentivo il risentimento che provava.
"Non si dicono le parolacce" ridacchiai e lui fece lo stesso.
"Al final somos siempre nos" e fu la cosa più bella che mi potesse dire.
Sapevo che nonostante tutto saremmo rimasti uniti, ci eravamo scelti dal primo istante quando il mio sguardo aveva incrociato il suo vicino al parcheggio alle spalle di queste gradinate.
"Siempre Paulito, lo juro"

Joya💎 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora